Il divario tra Nord e Sud Italia si riflette chiaramente nelle retribuzioni dei lavoratori, un segnale inequivocabile delle diverse realtà economiche che coesistono all’interno del Paese. Secondo l’analisi dell’Ufficio Studi della Cgia di Mestre, basata su dati Inps e Istat, i lavoratori del Nord guadagnano in media il 35% in più rispetto ai loro colleghi del Sud, con una retribuzione giornaliera lorda di 101 euro contro i 75 del Mezzogiorno.
Le cause del divario: produttività e settori dominanti
Il differenziale salariale è principalmente legato alla produttività. Al Nord, la produttività del lavoro è del 34% superiore rispetto al Sud, un fattore determinante per le retribuzioni più elevate. La Lombardia, ad esempio, guida la classifica delle regioni con la retribuzione media annua più alta: 28.354 euro, più del doppio rispetto ai 14.960 euro della Calabria. In termini di produttività oraria, la Lombardia raggiunge i 45,7 euro, mentre la Calabria si ferma a 29,7 euro.
Questo squilibrio è radicato nella struttura economica delle due macroaree: al Nord, prevalgono industrie ad alto valore aggiunto, come l’automotive, la meccanica e il biomedicale, che garantiscono stipendi più alti. Al contrario, il Sud soffre di una maggiore presenza di economia sommersa e settori con stipendi mediamente più bassi, come agricoltura e servizi.
Le differenze tra aree urbane
Un altro aspetto critico evidenziato dall’analisi riguarda la concentrazione delle grandi aziende e delle multinazionali nel Nord Italia, soprattutto nelle aree urbane e industrializzate. Queste realtà, caratterizzate da una forza lavoro altamente qualificata e con livelli di istruzione elevati, offrono stipendi significativamente superiori alla media nazionale. Inoltre, il lavoro irregolare è meno diffuso rispetto al Mezzogiorno, fattore che abbassa ulteriormente il livello salariale medio.
Contrattazione collettiva: uno strumento inadeguato?
La contrattazione collettiva nazionale, introdotta per uniformare le retribuzioni su tutto il territorio italiano, ha solo parzialmente attenuato le differenze salariali tra Nord e Sud. L’assenza di una diffusa contrattazione decentrata, come avviene ad esempio in Germania, ha reso più difficile mantenere i salari in linea con il costo della vita e l’inflazione locale, ampliando il divario tra le diverse regioni.
La contrattazione decentrata è un tipo di negoziazione salariale e lavorativa che avviene a livello locale, aziendale o territoriale, e non a livello nazionale. In pratica, si tratta di accordi che vengono stipulati tra sindacati e datori di lavoro direttamente in una singola impresa o in una specifica area geografica, tenendo conto delle specifiche condizioni economiche, produttive e organizzative di quel contesto.
Nella contrattazione collettiva nazionale, vengono stabiliti i minimi contrattuali validi per tutti i lavoratori di un determinato settore su scala nazionale, senza differenziare tra le diverse regioni o aziende. La contrattazione decentrata, invece, consente di adattare questi accordi generali alle particolari esigenze di una singola azienda o di un territorio, come ad esempio potrebbe avvenire nel Nord o nel Sud Italia, dove le condizioni economiche e di produttività possono essere molto diverse.
Contratti scaduti e salari da rinnovare
Oltre a incentivare la contrattazione decentrata, la Cgia evidenzia la necessità di rinnovare i contratti di lavoro scaduti. A giugno 2024, ben 4,7 milioni di lavoratori, pari al 36% del totale, erano in attesa del rinnovo contrattuale. Il problema riguarda in particolare il settore pubblico, dove i tempi di attesa per il rinnovo raggiungono in media i 23,2 mesi, contro i 4,2 mesi del settore privato.
Dove si lavora di più?
Oltre al divario retributivo, esistono differenze significative anche nel numero di giorni lavorati. Nel 2022, i lavoratori del Nord hanno totalizzato in media 253 giornate retribuite, contro le 225 del Sud, ovvero 28 giorni lavorativi in più, pari a cinque settimane aggiuntive. Questa differenza è attribuibile non solo alla maggiore diffusione di lavoro sommerso nel Mezzogiorno, ma anche alla prevalenza di contratti precari, stagionali e a tempo parziale.
Le province dove si lavora di più sono Lecco (264,2 giorni) e Vicenza (262,6 giorni), mentre le aree con meno giorni lavorativi sono Vibo Valentia (190,8 giorni) e Nuoro (203,4 giorni).
Le città con gli stipendi più alti e più bassi
Nel 2022, Milano è stata la città con le retribuzioni medie più alte: 32.472 euro lordi all’anno. Seguono Parma (26.861 euro) e Modena (26.764 euro). Le città con gli stipendi più bassi si trovano tutte nel Sud: Vibo Valentia chiude la classifica con appena 12.923 euro annui, seguita da Trapani (14.365 euro) e Cosenza (14.313 euro).
Il divario retributivo tra Nord e Sud rappresenta una delle sfide più grandi per l’Italia. Pur riconoscendo l’importanza della contrattazione collettiva, appare evidente la necessità di riforme che favoriscano una maggiore contrattazione decentrata e il rinnovo dei contratti, affinché il salario rifletta meglio le specificità produttive e inflazionistiche locali. Solo così si potrà ridurre l’ampio gap che continua a dividere il Paese.