Varese non trova lavoratori: 6.000 euro a chi si trasferisce

Nel cuore produttivo del Nord Italia mancano tecnici e operai: la Camera di Commercio lancia un bando per attirare under 40
13 Giugno 2025
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Lavoratori Colloqui

Seimila euro in tre anni, per venire a vivere e lavorare a Varese. Non è un premio fedeltà né una misura da area depressa: è la risposta di una provincia tra le più industrializzate d’Italia a un problema che, oggi, non fa più distinzioni tra Nord e Sud, tra città e valli. Le aziende ci sono, i contratti anche, ma mancano le persone. All’assemblea generale di Confapi, Mauro Vitiello – presidente della Camera di Commercio di Varese – è andato dritto al punto: “Servono strumenti reali, immediati. E dobbiamo metterli direttamente nelle mani degli imprenditori”. Il territorio è schiacciato tra due attrattori che assorbono lavoro e competenze: la Svizzera a nord, Milano a sud. E a Varese, terra di export, manifattura e tecnici specializzati, si resta scoperti.

La misura non ha fronzoli: voucher annuali da 2.000 euro netti per chi si trasferisce in provincia e firma un contratto di lavoro (apprendistato, tempo determinato o indeterminato, purché superiore ai 12 mesi). Limite d’età: 18-40 anni. Modalità di erogazione: digitale, tracciata, spendibile in beni e servizi locali. L’idea non è regalare soldi, ma attivare un circuito economico che rimetta in moto un mercato del lavoro inceppato da concorrenza salariale, fuga dei talenti e stagnazione demografica.

Il bando si apre il 15 settembre 2025. Dotazione: 300.000 euro. Scadenza: 15 dicembre. Ogni azienda può candidare fino a cinque lavoratori. Il resto è un esperimento territoriale: capire se un territorio come Varese può davvero diventare attrattivo non solo per i capitali, ma anche per chi quei capitali dovrebbe farli fruttare.

Il capitale umano c’è, ma se ne va

I numeri di partenza non sono tragici, ma nemmeno rassicuranti. In provincia di Varese ogni 10 giovani che si laureano, 4 se ne vanno. Lo fanno spesso per pochi euro in più al mese, attratti dalle buste paga svizzere o dai vantaggi logistici e professionali di Milano. Non si tratta di fughe epocali: sono scelte razionali, quotidiane, sistematiche. Un pendolarismo di competenze che indebolisce progressivamente le fondamenta produttive locali.

Eppure, sul territorio ci sono due università, decine di ITS, un sistema formativo tecnico che garantisce un tasso di occupazione post-diploma del 94%. Ma non basta. I profili tecnici si formano, ma poi migrano. E il paradosso è evidente: le imprese cercano proprio quei lavoratori che il territorio forma, senza riuscire a trattenerli.

La concorrenza con Milano e con il Canton Ticino non si gioca solo sullo stipendio. A parità di formazione, basta un incentivo in più – un benefit, un’abitazione, una mobilità più semplice – per far pendere l’ago della bilancia verso il capoluogo o oltre confine. “A un neoassunto possiamo garantire 1.700-1.800 euro – dice Vitiello – ma non possiamo offrire ciò che offre la Svizzera. Il nostro valore aggiunto è un sistema che si prende cura della persona”. Un sistema che, oggi, si cerca di rafforzare anche con un’iniezione economica che vada direttamente nelle tasche dei lavoratori.

I territori pagano per attirare capitale umano

La provincia di Varese non è sola. Il dato nazionale è noto ma ignorato: a maggio 2025, secondo Unioncamere, in un caso su due non è stato possibile coprire le assunzioni programmate dalle imprese. Mancano i profili tecnici, sanitari, specializzati. In tutta Italia. Ma quando il problema colpisce una delle prime province industriali per densità aziendale, la questione assume contorni urgenti. Qui non stiamo parlando di ripopolare borghi abbandonati o rianimare territori fragili. Qui mancano operai e tecnici nel cuore del Nord produttivo.

La decisione di erogare un incentivo a fondo perduto – 6.000 euro in tre anni – è l’ammissione di un cortocircuito: il lavoro c’è, ma le persone no. Ed è anche una forma di competizione tra territori che ormai agiscono come brand: Milano, Berlino, Zurigo, Barcellona, non sono solo città, ma hub attrattivi. Varese cerca di costruirsi un’identità locale competitiva, fondata su qualità della vita, servizi, e una nuova narrativa. Non slogan, ma scelte economiche mirate.

Nel frattempo, le altre regioni italiane fanno lo stesso. La Calabria ha messo sul piatto fino a 26.000 euro per i nuovi residenti nei piccoli comuni. Il Trentino finanzia la ristrutturazione delle case. Il Molise e la Sicilia puntano sulle politiche fiscali. A Bologna un’azienda ha stretto un accordo con i Salesiani per formare e assumere giovani immigrati. Tutti alla ricerca di capitale umano. Le aziende sono pronte a pagare. I territori sono pronti a pagare. Ma le persone disponibili scarseggiano. O scelgono altrove.

Oltre l’incentivo

Il bonus da 6.000 euro non è un’iniziativa estemporanea. È il primo tassello di una strategia più ampia che punta a rendere Varese più attrattiva, più abitabile, più interconnessa. La Camera di Commercio parla apertamente di ecosistema locale. Nelle parole di Vitiello, l’obiettivo è chiaro: «Non è solo una misura economica. È l’inizio di una logica territoriale condivisa. Dobbiamo costruire una provincia a misura di giovani».

Il bonus si appoggia a una piattaforma digitale – ReStart – che consente di spendere i voucher direttamente nei negozi, farmacie, servizi e attività della provincia. È un modo per tenere la spesa sul territorio, attivare il commercio, sostenere l’economia interna. In pratica: si attirano nuovi lavoratori, e allo stesso tempo si rafforza il tessuto economico di prossimità.

Non ci sono promesse irrealistiche: la misura da sola non basterà a colmare il gap. Ma è un punto di partenza operativo, misurabile, replicabile. E la sfida sarà proprio questa: passare da una misura spot a una politica integrata che unisca formazione, mobilità, welfare locale e sviluppo urbano. Serve un coordinamento stretto con i Comuni, con le aziende, con le agenzie per il lavoro. Senza questa rete, il rischio è che il bonus resti un palliativo ben confezionato, ma isolato.

E Varese non può permettersi interventi di facciata. Il suo tessuto imprenditoriale – solido, ma in trasformazione – ha bisogno di figure reali. Non tabelle. Non convegni. Persone da assumere, formare, integrare. È da qui che si misura, oggi, la competitività di un territorio. E la sua capacità di trattenere valore.

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