Un’area al largo di Maringkik, una piccola isola indonesiana, è stata identificata come potenziale terzo sito al mondo noto per ospitare un aggregato di squali tigre (tiger shark). La scoperta è stata possibile grazie alla collaborazione tra ricercatori e pescatori locali. Chelsea Black, ricercatrice postdoc presso l’Università del North Carolina a Chapel Hill, ha lavorato con Project Hiu, una Ong che lavora con ex pescatori di squali per riconvertire le loro attività verso il turismo sostenibile e la ricerca.
I tiger shark sono una specie altamente migratoria e la presenza continuativa di numerosi esemplari in un’area ristretta è un dato raro. Prima di questa ricerca, erano noti solo due aggregati simili: uno alle Bahamas e uno alle Maldive. Il sito indonesiano rappresenterebbe quindi un unicum nella regione. Il primo dato emerso dal lavoro sul campo, svolto in collaborazione con i pescatori locali, è stato confermato dalla tracciatura gps degli esemplari taggati. In pochi giorni, il team ha catturato, marcato e rilasciato 55 squali. I segnali satellitari hanno mostrato una concentrazione costante di spostamenti nello stesso punto individuato dai pescatori.
Questo tipo di aggregazione può indicare un’area cruciale per l’alimentazione o la riproduzione della specie. Il fatto che non fosse mai stata documentata prima sottolinea l’importanza delle conoscenze locali e della partecipazione delle comunità costiere alla ricerca scientifica. Senza l’esperienza diretta dei pescatori, quel tratto di mare sarebbe rimasto fuori dal radar della scienza.
I dati raccolti offrono elementi chiave per chiedere l’istituzione di regolamenti di pesca specifici per l’area. L’obiettivo è ridurre il rischio di pesca eccessiva in un sito che potrebbe essere essenziale per la sopravvivenza della popolazione regionale di tiger shark.
Ex pescatori di squali in prima linea
Durante la prima missione sul campo, i pescatori coinvolti hanno catturato squali vivi per la prima volta. Per anni avevano venduto le pinne al mercato del sud-est asiatico, contribuendo direttamente alla pressione sulla specie. Project Hiu li ha impiegati come collaboratori nella ricerca, retribuendoli per il loro lavoro sul campo e formando alcuni di loro in tecniche di ecoturismo.
Chelsea Black ha sottolineato che la trasformazione non è stata immediata. L’abbandono della pesca predatoria è stato accompagnato da incertezza, anche da diffidenza. La pratica di taggare e rilasciare squali vivi ha richiesto tempo per essere accettata. Ma il processo si è rivelato funzionale. I pescatori si sono dimostrati in grado di individuare con precisione i punti di maggiore concentrazione, e di gestire la manipolazione degli esemplari in sicurezza.
La loro collaborazione ha aumentato l’efficacia del monitoraggio: individuare e taggare decine di squali in pochi giorni è un risultato difficile da ottenere con team di ricercatori esterni non familiari con l’area. I dati raccolti durante le due prime spedizioni hanno una doppia valenza: da un lato, forniscono le prime informazioni sul comportamento degli squali tigre in acque indonesiane; dall’altro, dimostrano l’efficacia della citizen science in contesti complessi.
Il terzo viaggio di ricerca, previsto per settembre, continuerà questo approccio. L’obiettivo è consolidare il database sugli spostamenti degli squali e approfondire la comprensione dell’aggregazione. I ricercatori stanno anche valutando la possibilità di usare questi dati per sostenere una richiesta formale di protezione dell’area a livello nazionale.
Perché proteggere gli squali tigre conviene anche alle comunità locali
La protezione degli squali tigre non è solo un tema ecologico. Le implicazioni economiche sono immediate. La sovrapesca di questi predatori può alterare profondamente l’equilibrio delle reti trofiche marine. Come specie apicale, i tiger shark controllano le popolazioni di prede e contribuiscono alla stabilità degli ecosistemi. La loro scomparsa può provocare il collasso di interi comparti biologici, con ricadute dirette sulle risorse da pesca.
In un’area come quella dell’Indonesia, dove vaste comunità dipendono dalla pesca per la sopravvivenza economica, l’estinzione locale degli squali potrebbe causare una crisi sistemica. Il modello testato da Project Hiu propone una via alternativa. L’ecoturismo marino, supportato da dati scientifici affidabili, può generare reddito senza danneggiare gli stock ittici. I pescatori coinvolti non sono stati spostati su attività teoriche, ma impiegati in modo pratico in operazioni che sfruttano le loro competenze pregresse.
La possibilità di documentare un hotspot di squali attraverso tracciamento satellitare ha anche valore amministrativo. Gli strumenti legislativi esistono — come la designazione di aree marine protette o la regolamentazione delle licenze di pesca — ma sono spesso disattivati in assenza di dati. L’esperienza condotta da Black dimostra che è possibile produrre prove concrete, coinvolgendo chi tradizionalmente sarebbe escluso dai processi decisionali.
A oggi, l’area individuata non ha alcun tipo di protezione formale. È soggetta alla pesca commerciale, compresa quella finalizzata al mercato delle pinne. Senza un intervento regolatorio, la sopravvivenza della popolazione di tiger shark potrebbe essere compromessa nel medio periodo.