Sono oltre duemila gli eventi estremi che si sono verificati sul territorio italiano. Di questi, ben 816 riguardano i comuni costieri. Un numero che cresce rispetto all’anno scorso quando se ne verificarono 712 e che rappresenta il 39,1% del totale. Inoltre, gli eventi meteo-idro si sono concentrati in 265 dei 643 comuni costieri, pari al 41,2% (in leggero aumento rispetto al 37,3% dello scorso anno), mentre in rapporto al totale dei comuni italiani che hanno subito danni dal 2010 (1.037) quelli costieri impattati sono il 25,5%. A segnalarlo è l’ultimo Rapporto Spiagge 2024 di Legambiente, che vuole sensibilizzare sugli eventi climatici che si abbattono sul 3,3% del totale dei comuni italiani (265 costieri su 7.901 comuni nazionali) e denunciare l’andamento delle concessioni balneari.
La dimensione del fenomeno
“Questi dati raccontano anche l’importanza di attuare piani di adattamento e strumenti di governance che riducano il rischio per le persone, le abitazioni e le infrastrutture, e che permettano di programmare interventi volti al miglioramento della gestione dei territori – si legge nel Report -. La recente pubblicazione sul censimento delle spiagge di Ispra mostra come, in Italia, la superficie complessiva delle spiagge misuri solamente 120 chilometri quadrati, meno del territorio del solo municipio di Ostia a Roma. Questo perché mediamente le spiagge italiane sono profonde circa 35metri e occupano il 41% delle coste, ovvero 3.400 chilometri su un totale di più di 8.300 chilometri”.
I dati analizzati, relativi al 2020 e sulla base di immagini satellitari, sottolineano come la distribuzione della superficie delle spiagge non sia affatto uniforme tra le varie Regioni con, ad esempio, Liguria ed Emilia Romagna con una risorsa relativamente ridotta. Importante il riferimento agli accumuli di Posidonia spiaggiata e altri materiali vegetali (tronchi, canne) che, quando non eliminati, possono costituire un elemento di protezione contro l’azione delle mareggiate e che sono presenti, almeno parzialmente, sul 53% delle spiagge italiane.
La questione “concessioni balneari”
“Nonostante i ritardi (la comunicazione è arrivata solo a fine ottobre 2023) i risultati della mappatura sono stati a dir poco sconcertanti: secondo i tecnici del ministero, solo il 33% delle coste italiane è oggetto di concessioni – ha scritto Legambiente -. Il calcolo è stato effettuato sul totale della costa italiana e non sulle sole aree balneabili e di costa bassa, includendo quindi anche i tratti di costa rocciosa, quelli non accessibili, le spiagge non appetibili per motivi oggettivi o quelle che non possono essere date in concessione perché sono presenti infrastrutture e manufatti. Inoltre, i criteri tecnici utili a determinare la sussistenza della scarsità della risorsa naturale tengono conto del dato nazionale, aggirando l’importante questione di fondo degli squilibri rispetto alla diffusione degli stabilimenti balneari nel nostro Paese, ossia la presenza di regioni dove il litorale è occupato al 70% (come Liguria, Emilia-Romagna e Campania) e ancor di più in specifici Comuni, mentre in altre regioni l’occupazione è molto più ridotta”.
Gli eventi climatici estremi
Gli scenari climatici elaborati dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) richiamati all’interno del Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC), approvato in via definitiva a fine 2023 dopo molti anni di stand-by, sono molto chiari: nel bacino Mediterraneo si verifica un innalzamento della temperatura superficiale del mare (differenza fra il trentennio 2021-2050 rispetto al valore medio del trentennio 1981-2010) compreso fra 1 e 2 gradi, con conseguenze importanti e ancora poco studiate su eventi meteo estremi, biodiversità, pesca e turismo.
“Tutte le aree costiere italiane saranno caratterizzate da un aumento di temperatura rispetto al periodo di riferimento 1981-2010, da un minimo di 1,9 gradi nelle zone del Mediterraneo Centrale e Occidentale e nel Mar Ligure, a un massimo di 2,3 gradi nell’Adriatico settentrionale e centrale”, scrive Legambiente.
Altro tema fondamentale è quello dell’innalzamento del livello del mare che si prevede decisamente significativo e compreso fra i 7 e i 9 centimetri: “Questi valori, nello scenario peggiore (RCP8.5 come definito dall’IPCC) diventerebbero drammatici – denuncia la Onlus -, raggiungendo durante il periodo 2036-2065 un minimo di +16 centimetri per le tre sottoregioni del bacino Adriatico, e fino ad un massimo di +19 centimetri nei mari Tirreno e Ligure e nel Mediterraneo occidentale”.
Il Pnacc ha sottolineato come in Italia la forte antropizzazione delle aree costiere abbia aumentato l’esposizione al rischio. Il consumo di suolo nella fascia costiera italiana ha, infatti, valori nettamente superiori rispetto al resto del territorio nazionale. Reso artificiale al 22,8% entro i 300 metri e tra le regioni con valori più alti ci sono Marche e Liguria, con quasi la metà di suolo consumato. Emilia-Romagna, Abruzzo, Campania e Lazio hanno valori compresi tra il 31% e il 37%.
Il Pnacc affronta il settore “zone costiere” con 26 azioni previste, tra le quali la rinaturalizzazione delle coste ossia intraprendere azioni atte a ripristinare le caratteristiche ambientali e la funzionalità ecologica di un ecosistema in relazione alle sue condizioni potenziali, determinate dalla sua ubicazione geografica, dal clima, dalle caratteristiche geologiche del sito e dalla sua storia. Importante poi l’identificazione delle aree più favorevoli all’espansione degli habitat esistenti, mentre lascia perplessi l’azione denominata “Riduzione dell’intensità dell’uso del suolo”.
O ancora, le azioni che riguardano l’edificato, come la “Creazione e gestione di aree non edificabili”, “Costruzione di edifici e infrastrutture più resilienti”, l’attuazione di strumenti pianificatori per limitare o proibire la ricostruzione in zone a rischio, la previsione di incentivi per l’abbandono di aree esposte all’innalzamento del livello del mare e la “Creazione di aree cuscinetto inondabili”.
Cruciali anche gli interventi previsti per l’innalzamento delle infrastrutture di trattamento dei reflui al di sopra dei livelli di inondazione e delle mareggiate, oltre allo sviluppo di un’assicurazione specifica contro i rischi legati alla perdita di benefici ecosistemici.
Le proposte per la valorizzazione delle coste
Secondo Legambiente, è necessario attuare il PNACC, istituire l’Osservatorio Nazionale per l’Adattamento ai Cambiamenti Climatici e stanziare risorse economiche per il suo funzionamento. È fondamentale per l’Italia definire un piano specifico per l’adattamento delle coste, dato l’importanza dei litorali per settori produttivi come il turismo.
E ancora, bisognerebbe superare la logica dell’emergenza. Gli interventi invasivi per la difesa delle coste dall’erosione hanno risolto solo temporaneamente i problemi locali. È necessario approfondire la durata e la stabilità degli interventi “morbidi” di ricostituzione delle spiagge e recuperare l’equilibrio naturale del sistema costiero.
Oltre alla mitigazione delle emissioni, esistono misure di adattamento per ridurre il rischio di inondazioni nelle zone costiere, come la rinaturalizzazione delle coste e la creazione di sistemi di previsione e di allerta. Così come, assume un ruolo importante la legge sullo stop al consumo di suolo, bloccata in Parlamento dal 2016, che prevede di non cementificare ulteriormente entro il 2050.
Infine, si deve garantire il diritto alla libera e gratuita fruizione delle spiagge, con almeno il 50% delle spiagge in ogni Comune lasciato libero; intervenire per ripristinare la legalità nelle aree costiere, dove spesso si trovano costruzioni abusive e situazioni di illegalità diffusa e rilanciare la costruzione e l’adeguamento dei sistemi fognari e di depurazione, regolamentare lo scarico in mare dei rifiuti liquidi e risolvere il problema della depurazione in Italia.