Il bilancio ambientale del Giubileo dei Giovani: Roma alle prese con il post-evento

Un milione di presenze, migliaia di rifiuti. Tor Vergata funziona, ma la città scopre le sue fragilità fuori dal perimetro dell’evento
4 Agosto 2025
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Roma, Giovani Pellegrini All’alba A Tor Vergata, Per Il Giubileo Dei Giovani 2025
Giubileo dei Giovani 2025 a Tor VErgata (Ipa/Fotogramma)

Un milione di giovani, due giorni di eventi religiosi, centinaia di migliaia di bottigliette, imballaggi, sacchetti, contenitori monouso. Al termine del Giubileo dei Giovani 2025, la scena che si è presentata agli occhi degli operatori Ama è quella di una città da rimettere in piedi. Roma, che pure ha retto l’urto di un evento mastodontico senza veri intoppi logistici, si è trovata a fare i conti con la parte meno spirituale dell’accoglienza: i rifiuti. Tanti, inevitabili, e in alcuni casi, gestiti male.

Lo scenario non è stato ovunque uguale. A Tor Vergata, dove si è svolta la grande veglia e la messa con Papa Leone XIV, la macchina organizzativa si è mossa con precisione chirurgica. Ma basta allontanarsi di qualche chilometro, o uscire dalle aree coperte dal piano speciale, per trovare una città visibilmente affaticata: cumuli di rifiuti, cartoni di pizza abbandonati, bottigliette ovunque.

L’accoglienza ha funzionato. Ma sulla gestione dei rifiuti, il conto da pagare è ancora aperto.

Migliaia di operatori Ama in campo

Nel cuore del Giubileo, a Tor Vergata, l’operazione di pulizia è scattata in simultanea con il deflusso dei partecipanti. E non poteva essere altrimenti: l’area ha ospitato centinaia di migliaia di giovani pellegrini, in uno spazio aperto riconfigurato per accogliere messa, veglia, momenti di preghiera e socializzazione. Ama ha schierato una vera task force: 4.600 turni di lavoro distribuiti su due giorni, 320 mezzi operativi, dai compattatori alle autobotti, fino ai trattori con casse “ragno” per la rimozione dei materiali abbandonati.

Solo nell’area principale dell’evento sono stati posizionati 1.600 contenitori, con una capacità complessiva superiore a 1,7 milioni di litri. Eppure, secondo le stime preliminari, i rifiuti raccolti da Ama nei giorni dell’evento sono stati oltre il 30% in più rispetto alla media stagionale. Un dato che segnala quanto l’impatto ambientale di manifestazioni di questa portata sia ancora difficile da assorbire, anche con una pianificazione dettagliata.

“Il piano speciale predisposto in coordinamento con Roma Capitale e con le Autorità di Pubblica Sicurezza ha funzionato”, ha dichiarato il direttore generale di Ama, Alessandro Filippi, sottolineando l’impegno di operatori e operatrici “in queste giornate che hanno visto la Capitale al centro dell’attenzione mondiale”.

Ma dietro le cifre, resta la constatazione: anche quando tutto fila liscio, anche con il massimo impegno delle municipalizzate, un milione di persone lasciano inevitabilmente il segno. E i numeri, in questo caso, parlano di un evento che ha fatto lievitare sensibilmente il volume della raccolta, con decine di tonnellate in più rispetto ai consueti standard urbani.

I quartieri “grigi” del post-evento

Mentre Tor Vergata si spegneva sotto il lavoro meticoloso delle spazzatrici, altri angoli della città mostravano un volto diverso. Non ci sono stati blackout nei servizi pubblici, né veri episodi di emergenza, ma la gestione dei rifiuti è apparsa meno uniforme appena fuori dai perimetri ufficiali. Le zone di transito, le fermate bus, i marciapiedi dei quartieri semicentrali hanno registrato accumuli evidenti.

Ama ha mantenuto presidi mobili lungo 350 km di itinerari di avvicinamento e ha coperto 45 kmq di “punti sensibili”. Ma l’effetto di una presenza così massiccia, in parte mobile e in parte spontanea, ha comunque generato una tracimazione dei flussi. Il risultato? Marciapiedi trasformati in pattumiere occasionali, con sacchetti di rifiuti appoggiati ovunque, contenitori stracolmi e materiali lasciati a terra in assenza di alternative immediate.

Non si tratta di abbandono sistematico o di comportamenti incivili generalizzati. In molte aree, semplicemente, i contenitori disponibili non erano sufficienti o non erano stati svuotati con frequenza adeguata. A fare il resto, la logica del consumo “on the go”: snack, bevande, panini, confezioni monouso. Tutto pensato per essere comodo, tutto destinato a finire rapidamente nella spazzatura.

In alcune zone, come Prati o San Giovanni, le segnalazioni di criticità sono arrivate anche dai residenti. Ema Stokholma, voce nota di Radio2 e influencer seguita da decine di migliaia di follower, ha documentato personalmente il degrado accumulato sotto casa. Il video, girato la domenica mattina dopo l’evento, mostra cestini stracolmi e rifiuti sparsi ovunque. “Un grande applauso ai turisti del Giubileo – ha scritto ironicamente – che hanno sm**rdato la città peggio di quanto lo facciamo già noi romani”.

Il Giubileo come stress test

Guardando la mole delle risorse impiegate – migliaia di turni, centinaia di mezzi, presidi fissi e mobili – si può facilmente concludere che Ama abbia fatto il massimo. Eppure, il problema resta. Perché eventi di questa portata, in una città già fragile sul piano dei servizi ambientali, portano al limite l’intero sistema. E quel limite, spesso, coincide con l’impossibilità di agire in modo diffuso e capillare fuori dalle aree presidiate.

Il modello operativo adottato per il Giubileo dei Giovani è quello della “logica dell’evento”: tutto viene potenziato, ma solo per il tempo strettamente necessario. Una volta passata l’ondata, la città torna alle sue criticità ordinarie. E non è una questione di qualità del servizio, ma di sostenibilità strutturale. Per ogni Tor Vergata, ci sono decine di strade secondarie, piazze, snodi di transito che restano esposti.

Anche i dati positivi – come l’assenza di criticità sanitarie, gli scarsi interventi medici, l’ordine nei luoghi di culto – non riescono a coprire un vuoto organizzativo: quello legato alla gestione post-deflusso. Nei punti di distribuzione pasti, ad esempio, il decoro è stato garantito fino alla chiusura delle attività. Ma molte confezioni e imballaggi sono stati consumati altrove, lasciando scorie in strade e piazze che non avevano alcun presidio.

Il Giubileo è stato ordinato, civile, partecipato. Ma è anche stato – e resta – un banco di prova.

Tutto sotto controllo, tranne l’impronta ecologica

Il comportamento dei giovani pellegrini è stato definito “composto” e “responsabile”. È vero. Le cronache non segnalano episodi di vandalismo, degrado attivo, né particolari tensioni con la cittadinanza. Ma tra il rispetto delle regole e la gestione concreta del proprio impatto ambientale, resta uno scarto significativo.

Non si tratta di demonizzare chi ha partecipato, né di negare l’eccezionalità del contesto. Tuttavia, l’idea che basti una buona condotta individuale per garantire il decoro collettivo si è rivelata illusoria. La verità è che la città è stata invasa – pacificamente, certo – da una massa di persone che ha inevitabilmente modificato gli equilibri. E lo spazio pubblico, ancora una volta, ha mostrato i suoi limiti.

La mole di rifiuti abbandonati fuori dalle aree attrezzate parla di un problema strutturale e culturale: la difficoltà, soprattutto tra i più giovani, di considerare la città come un’estensione del proprio ambiente. Non una tappa da consumare, ma un luogo da rispettare anche nella gestione delle proprie scorie. In questo senso, le campagne di sensibilizzazione servono a poco se non vengono accompagnate da strumenti concreti: contenitori ovunque, svuotamenti frequenti, incentivi al riuso, alternative al monouso.

In un evento in cui la spiritualità era centrale, la dimensione ambientale è rimasta un passo indietro. Nessuna plastica bandita, nessun incentivo visibile al riciclo, nessuna campagna mirata durante i giorni dell’evento. Il risultato? Un sistema efficiente sotto il profilo tecnico, ma ancora distante da una vera cultura della sostenibilità condivisa.

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