L’Italia è il Paese europeo con il peggior tassi di occupazione femminile e allo stesso tempo quello con il maggior numero di donne imprenditrici in valore assoluto. Un controsenso solo apparente che racconta molto della (dis)parità di genere del Paese.
In Italia solo una donna su due trova lavoro presso le aziende (52,5% delle donne in età lavorativa), mentre, nel solo 2023, ben 1.610.000 donne italiane hanno avviato attività come artigiane, commercianti o libere professioniste. In senso assoluto più di Francia e Germania, rispettivamente con 1.433.100 e 1.294.100 lavoratrici autonome. I dati diffusi dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre riflettono un fenomeno più unico che raro.
Numeri significativi, disparità persistenti
Il risultato italiano è particolarmente rilevante se si considera la popolazione femminile complessiva. Nel nostro Paese, le donne in età lavorativa (20-64 anni) sono 17,2 milioni, contro i 19,1 milioni della Francia e i 24,6 milioni della Germania. Questo significa che, in proporzione, le italiane hanno maggiori probabilità di scegliere il percorso dell’autoimprenditorialità, anche se l’Italia continua a scontare un basso tasso di occupazione femminile rispetto agli standard europei.
Secondo il Global Gender Gap Report 2023 del World Economic Forum, l’Italia si colloca al 79° posto nella classifica globale sulla parità di genere, registrando un significativo divario nel mercato del lavoro. Come spesso avviene, vita privata e professionale si intrecciano: nel 2022 oltre 44 mila donne hanno lasciato il lavoro, spesso dopo essere diventate madri. Che a licenziarsi siano soprattutto le donne neomamme lo conferma il 72,8% delle dimissioni convalidate. A differenza delle donne, infatti, i neopapà hanno affermato che la motivazione principale riguarda il passaggio a un’altra azienda (78,9%), motivazione che viene indicata solo dal 24% delle lavoratrici donne. Il 32,2% delle motivazioni relative alle difficoltà di conciliazione riguardano l’assenza di parenti di supporto, l’elevata incidenza dei costi di assistenza al neonato come asilo nido o baby-sitter e il mancato accoglimento al nido.
Non solo: quando lavorano, le donne guadagnano in media il 18% in meno rispetto agli uomini e questa percentuale sale al 25% tra le lavoratrici autonome. Il fatto che, rispetto alle altre cittadine europee, le donne italiane siano più propense a mettersi in proprio nonostante l’aumento della forbice salariale dimostra quanto sia necessario intervenire sul work-life balance. Spesso, per una donna italiana, avviare un’attività autonoma è l’unica strada per poter conciliare gli impegni professionali con la cura della famiglia perché non è tenuta a rispettare ritmi e orari decisi da altri. Altre volte, come vedremo, la scelta è ancora più forzata.
Chi sono le imprenditrici italiane
La maggioranza delle imprenditrici italiane, il 56%, opera nel settore dei servizi alla persona e alle imprese. Questo include professioni come parrucchiere, estetiste, consulenti immobiliari, agenzie di viaggio, fotografi e videomaker, oltre a servizi come pulizie e noleggio veicoli.
Il commercio rappresenta la seconda area di attività, impiegando il 20% delle imprenditrici, mentre il 10% è attivo nel settore Horeca (ospitalità e ristorazione). Settori come l’industria e l’agricoltura contano rispettivamente il 6% di presenza femminile, percentuale significativa considerando le maggiori barriere all’ingresso in queste aree.
Questo panorama mostra come le donne italiane sfruttino la flessibilità offerta dall’autoimprenditorialità per conciliare gli impegni lavorativi e familiari. Tuttavia, la scelta non sempre nasce da un’opportunità, ma spesso si configura come una necessità, dettata da difficoltà strutturali nel reinserimento lavorativo dopo una gravidanza o dalla mancanza di contratti stabili.
Le imprenditrici assumono più donne
L’imprenditoria femminile non solo garantisce un’alternativa lavorativa per chi fatica a trovare spazio nel mercato tradizionale, ma rappresenta anche un volano per l’occupazione di altre donne. Diversi studi dimostrano come le imprenditrici abbiano maggiori probabilità di assumere personale femminile rispetto ai colleghi maschi. Questo effetto moltiplicatore contribuisce a ridurre, seppur parzialmente, il divario occupazionale tra uomini e donne.
Secondo un’analisi dell’Oecd del 2023, gli interventi politici per promuovere l’imprenditoria femminile, come incentivi fiscali o accesso semplificato al credito, possono migliorare significativamente l’economia generale di un Paese, aumentandone la produttività e stimolando l’innovazione.
La geografia dell’imprenditoria femminile in Italia
Il fenomeno dell’imprenditoria femminile in Italia varia notevolmente da Nord a Sud. Le province del Mezzogiorno registrano la maggiore incidenza di attività a conduzione femminile rispetto al totale delle imprese locali. Al primo posto si trova Cagliari, dove il 40,5% delle attività è guidato da donne, seguita da Benevento (30,5%), Avellino (30,2%) e Nuoro (29,3%).
Al Nord, la prima provincia per incidenza di imprese femminili è La Spezia, con il 26,4%. In termini assoluti, Roma guida la classifica con 76.519 attività femminili, seguita da Milano (57.341) e Napoli (55.904). Questa polarizzazione geografica riflette un’economia più dinamica al Nord e un mercato del lavoro stagnante al Sud, dove l’autoimprenditorialità diventa spesso una necessità piuttosto che una scelta.
Una strada ancora lunga
La parità di genere e il supporto all’occupazione femminile sono fondamentali per un progresso sostenibile. Eppure, l’Italia fatica a garantire condizioni di lavoro equo per le donne nonostante sempre più uomini chiedano una maggiore equità di genere.
Una maggiore redistribuzione del lavoro di cura, politiche di congedo parentale condiviso e incentivi mirati all’autoimprenditorialità potrebbero abbattere molte delle barriere che le donne affrontano.
L’Italia vanta un primato nell’imprenditoria femminile, ma per trasformare questo record in un motore di crescita sostenibile, è necessario uno sforzo coordinato tra istituzioni, imprese e società civile. Dal canto loro, le aziende possono migliorare le condizioni lavorative delle donne offrendo maggiore elasticità organizzativa e più servizi aziendali, ma da sole non possono risolvere il problema.
Con questa consapevolezza, lo scorso 17 ottobre, la Camera ha approvato una mozione per promuovere la parità di genere sotto ogni profilo. Con questa il Governo si impegna a dare piena attuazione alla Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026, prevedendo che l’autorità politica delegata alle pari opportunità ne illustri al Parlamento lo stato di attuazione. Come ha ricordato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante la cerimonia al Quirinale per il conferimento delle Stelle al merito del lavoro 2024:
“La nostra Costituzione, all’articolo 37, stabilisce che la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, deve avere le stesse retribuzioni che spettano ai loro colleghi di genere maschile. Sappiamo che il cammino per giungere al rispetto di questo principio è tuttora incompiuto, da concludere, ma va ricordata questa prescrizione e il conseguente dovere delle istituzioni di operare per renderla ovunque effettiva”.