Rovistare nei cassonetti per combattere lo spreco alimentare. È questo il dumpster diving, l’ultima tendenza anglosassone che ha raggiunto anche l’Italia. Una moda un po’ estrema che nasce nell’ottica del riciclo ma porta con sé numerosi rischi igienico-sanitari.
Intanto, alcuni ‘testimonial’ del dumpster diving promettono di aver abbattuto la propria spesa annuale sostituendo il cibo del supermercato con quello trovato in spazzatura. E non si tratta di homeless.
Dumpster diving, necessità o sensibilizzazione?
Il dumpster diving è nato come forma di sopravvivenza tra le fasce più povere della popolazione, un modo per accedere a cibo ancora commestibile ma scartato dai supermercati. Negli anni qualcosa è cambiato e oggi non sono solo i poveri a cercare cibo nei cassonetti, ma anche giovani ambientalisti per sensibilizzare la società contro lo spreco alimentare.
Almeno nel Regno Unito e negli Stati Uniti, dove è più praticato, il dumpster diving viene solitamente fatto nei cassonetti che si trovano fuori dai supermercati dove finiscono enormi quantità di cibo ancora commestibili ma scadute, non vendibili per difetti o per interruzione della catena del freddo, oppure ancora perché con confezioni danneggiate o comunque non conformi agli standard obbligatori per la vendita.
Secondo un rapporto della Fao, ogni anno finisce nella spazzatura circa un terzo della produzione mondiale di cibo. In Italia dal 2003 vige una legge che disciplina la distribuzione dei prodotti alimentari a fini di solidarietà sociale.
Questa consapevolezza ha spinto sempre più giovani verso il dumpster diving (che letteralmente significa “saltare nei cassonetti”). In Paesi come la Germania, il fenomeno ha raggiunto proporzioni notevoli, tanto che alcuni attivisti si sono organizzati in comunità per recuperare cibo e redistribuirlo. La piattaforma “Foodsharing.de”, ad esempio, conta migliaia di utenti registrati che collaborano per raccogliere alimenti vicini alla scadenza. Allo stesso tempo, in Inghilterra, dove il costo della vita sta spingendo molte famiglie al limite, per molti individui il dumpster diving è diventato un modo per sopravvivere alla crisi economica.
Il ruolo degli influencer
La documentarista Agnès Varda fu tra le prime a portare alla ribalta questo fenomeno con il film La vita è un raccolto del 2000, definendo “freegan” coloro che scelgono di vivere riducendo gli sprechi alimentari. I freegan (fenomeno nato negli Usa e arrivato anche in Europa) recuperano non solo cibo, ma qualsiasi oggetto o materiale destinato al rifiuto, promuovendo uno stile di vita anti-consumista. Dopo Varda, il dumpster diving si è trasformato, passando da atto di sopravvivenza a vera e propria scelta etica e, più recentemente, a contenuto virale sui social media.
Influencer come Sofie Juel Andersen hanno portato il fenomeno sotto i riflettori, utilizzando piattaforme come TikTok per mostrare come recuperare cibo dai cassonetti e, nel frattempo, sensibilizzare sugli 87 milioni di tonnellate di alimenti sprecati ogni anno in Europa.
Con più di 3 milioni di visualizzazioni su alcuni dei suoi video, Andersen si è autoproclamata “combattente dello spreco alimentare”. Documenta le sue incursioni nei cassonetti di diversi Paesi, mostrando prodotti ancora perfettamente commestibili ma scartati per difetti minimi, come confezioni ammaccate o frutti dalla buccia imperfetta. Questo tipo di contenuti ha ispirato non solo cittadini attenti alla sostenibilità, ma anche studenti e giovani che vedono in questa pratica una soluzione a problemi economici.
Dumpster diving e rischi per la salute
La viralità di queste storie contribuisce a una più ampia consapevolezza sul problema degli sprechi alimentari e sull’insostenibilità del sistema attuale. Tuttavia, se da un lato gli influencer stimolano discussioni sull’enorme quantità di cibo eliminato inutilmente, dall’altro rischiano di presentare questa pratica in modo eccessivamente romantico, ignorando i rischi sanitari associati al consumo di alimenti recuperati dai cassonetti. La sicurezza alimentare rimane una questione delicata, soprattutto per chi si avvicina al dumpster diving senza adeguate conoscenze su come riconoscere cibi sicuri o contaminati.
Il cibo abbandonato nei cassonetti è spesso esposto a batteri, parassiti e contaminazioni, soprattutto nei mesi più caldi. Il consumo di alimenti avariati può provocare intossicazioni alimentari gravi, come infezioni da Salmonella o Listeria. “È essenziale che le persone capiscano i pericoli legati a queste pratiche,” spiega il dott. Michael Koch, responsabile di un’associazione tedesca per la sicurezza alimentare. Anche in Italia, dove il fenomeno si sta lentamente diffondendo, le autorità sanitarie raccomandano estrema cautela.
Gli 87 milioni di tonnellate di cibo sprecati in Europa potrebbero, teoricamente, sfamare milioni di persone, ma puntare tutto sul dumpster diving non è una soluzione a lungo termine. Il rischio è che si riduca tutto a una moda temporanea, senza affrontare le radici profonde del problema.
L’obiettivo dovrebbe essere costruire un sistema più equo, con politiche che responsabilizzino i produttori e incoraggino il riutilizzo degli alimenti ancora buoni. Gli influencer hanno il potere di mantenere alta l’attenzione su questi temi, ma devono farlo con la consapevolezza del ruolo educativo che ricoprono, evitando di banalizzare una questione complessa.
Rovistare nei cassonetti è legale?
In alcuni Paesi, la pratica del dumpster diving è ostacolata da leggi che considerano la raccolta dai cassonetti una violazione della proprietà privata. Al contrario, in Germania e Francia, le normative stanno cambiando per incentivare la donazione del cibo invenduto. Ad esempio, la “legge Garot” in Francia obbliga i supermercati a donare i prodotti non vendibili, ma ancora commestibili, a enti caritatevoli. In Italia, iniziative come quelle del Banco Alimentare stanno cercando di colmare il divario tra spreco e necessità, raccogliendo eccedenze alimentari per ridistribuirle alle famiglie in difficoltà. Alcune app, come Too good to go (presente anche in Italia), permettono agli utenti di acquistare cibi prossimi alla scadenza a un prezzo molto ridotto e direttamente dai negozi convenzionati. Un’idea originale per far sì che quel cibo, nel cassonetto, neanche ci arrivi.