Il nuovo contratto collettivo per la Pubblica Amministrazione è nato sotto il segno della spaccatura, tanto nelle trattative quanto tra i sindacati. In un comparto che conta circa 195mila dipendenti, sparsi tra ministeri, agenzie fiscali ed enti pubblici come Inps e Inail, si è appena firmata un’ipotesi di accordo che promette di cambiare il volto del lavoro pubblico: aumenti salariali, maggiore flessibilità nello smart working, fino alla sperimentazione della settimana lavorativa di quattro giorni.
Ma mentre Cisl-Fp e sindacati autonomi come Confsal Unsa e Flp appoggiano il patto come una svolta, Fp-Cgil e Uil-Pa si oppongono, denunciando la firma come una “forzatura” che non risponde a pieno ai bisogni dei lavoratori. Con un rinnovamento in sospeso tra innovazione e conflitto, si apre così una nuova stagione per il settore pubblico italiano, che dovrà affrontare criticità e opportunità dettate dai cambiamenti strutturali.
Gli aumenti salariali
Gli aspetti economici del contratto risaltano tra le misure più discusse e, forse, controverse. L’accordo prevede infatti un incremento salariale medio lordo di 165 euro mensili su tredici mensilità, portando un aumento complessivo del 6% rispetto ai contratti precedenti. Gli arretrati medi mensili, calcolati fino a dicembre 2024, oscillano intorno ai mille euro, una somma che, nelle intenzioni del governo, dovrebbe rappresentare un segnale di rilancio per il pubblico impiego. Tuttavia, la risposta sindacale è stata contrastata: le sigle contrarie sottolineano come questo adeguamento sia ben al di sotto dell’inflazione registrata durante il triennio, che ha toccato picchi del 17%. Confrontando i dati, emerge una sensibile disparità tra la percentuale di aumento retributivo e la perdita del potere d’acquisto causata dai rincari, una divergenza che ha spinto Fp-Cgil e Uil-Pa a considerare gli aumenti come insufficienti e, in definitiva, non allineati alle aspettative del personale.
L’accordo introduce inoltre nuove fasce salariali per rispondere alla diversificazione dei ruoli: l’aumento sarà di 121,40 euro mensili per gli operatori, 127,70 euro per gli assistenti, 155,10 euro per i funzionari e 193,90 euro per le alte professionalità. Sebbene queste cifre rappresentino una conquista rispetto alle tornate contrattuali precedenti, la loro capacità di sostenere realmente i lavoratori in un contesto di inflazione galoppante rimane un’incognita. Per i sindacati favorevoli, il contratto segna comunque un punto di svolta, consolidando la tendenza all’aumento progressivo delle retribuzioni nel settore pubblico e portando continuità nei rinnovi contrattuali, che raggiungeranno complessivamente un 16% di incremento in tre cicli.
Smart working e flessibilità
Tra le novità più significative si trova l’introduzione di una maggiore flessibilità per lo smart working, destinato a divenire uno degli strumenti chiave del lavoro pubblico. Con l’eliminazione del vincolo della prevalenza fisica, i dipendenti pubblici potranno, in alcuni casi, svolgere oltre il 50% delle loro attività lavorative da remoto, favorendo una conciliazione più equa tra impegni professionali e vita privata. Inoltre, il contratto estende la possibilità di richiedere buoni pasto anche per le giornate in lavoro agile, una modifica importante rispetto alla disomogeneità delle normative precedenti, che lasciavano questa opzione alla discrezione delle singole amministrazioni.
Questo ampliamento dello smart working non è però immune da criticità: le amministrazioni centrali dovranno garantire che i servizi pubblici non subiscano rallentamenti o perdite di efficienza a causa della maggiore quota di lavoro a distanza. Alcuni sindacati, come Flp, sottolineano tuttavia che questa è una grande vittoria per i lavoratori e che l’integrazione del lavoro agile nella contrattazione integrativa rappresenta un passo fondamentale per la modernizzazione del comparto. L’obiettivo dichiarato è quello di creare un contesto lavorativo che riesca a soddisfare le esigenze dei dipendenti senza compromettere la qualità del servizio erogato ai cittadini, aprendo la strada a un sistema in cui il lavoro possa essere organizzato e gestito in modo più dinamico.
La settimana corta
Un altro aspetto innovativo è la possibilità di adottare, in via sperimentale e volontaria, una settimana lavorativa di quattro giorni mantenendo le 36 ore totali, ma con giornate lavorative di nove ore più la pausa. Questa modalità di lavoro, già esplorata con successo in altre realtà internazionali, è stata pensata per incentivare un equilibrio tra vita privata e impegni professionali, aumentando al contempo la produttività e la soddisfazione del personale. Tuttavia, questa riorganizzazione pone una sfida operativa non trascurabile: mantenere invariato il livello dei servizi erogati al pubblico.
Il presidente di Aran (l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni), Antonio Naddeo, ha sottolineato come questa iniziativa, pur essendo facoltativa e adottabile solo con il consenso dei lavoratori, rappresenti una mossa significativa verso la creazione di ambienti di lavoro più sostenibili e flessibili. Alcuni critici, tuttavia, temono che l’adozione della settimana corta possa comportare difficoltà operative, soprattutto in settori in cui la presenza fisica e l’interazione con il pubblico sono fondamentali. Resta inoltre da vedere se questo modello possa essere applicabile in modo uniforme nelle varie amministrazioni o se sarà destinato a rimanere una soluzione limitata alle realtà più organizzate.
Age management e patto intergenerazionale
Il nuovo contratto introduce anche concetti innovativi come l’“age management,” che punta a valorizzare le competenze dei lavoratori più esperti e a promuovere uno scambio proficuo tra generazioni. Con l’aumento dell’età media della popolazione nel settore pubblico, la possibilità di rimanere al lavoro oltre l’età di pensionamento rappresenta una leva per promuovere un ambiente di lavoro inclusivo, in cui le competenze acquisite possano essere trasmesse alle nuove generazioni. L’obiettivo, spiegato nel contratto, è di creare un “patto intergenerazionale” che favorisca il passaggio di conoscenze e supporti i giovani lavoratori nell’adozione delle tecnologie digitali, un aspetto ritenuto cruciale per una pubblica amministrazione moderna.
Il dissenso sindacale
La firma della pre-intesa del nuovo contratto Funzioni Centrali ha messo in luce profonde divisioni tra le sigle sindacali. Le rappresentanze di Cisl-Fp e dei sindacati autonomi, come Confsal Unsa e Flp, hanno salutato l’accordo come un passo avanti per la categoria, sottolineando come le nuove disposizioni possano migliorare la qualità della vita dei lavoratori. Per altre sigle, come Fp-Cgil e Uil-Pa, il contratto resta invece insoddisfacente e insufficiente a rispondere alle esigenze economiche e professionali del personale, e non manca la critica verso il governo, accusato di aver accelerato i tempi della trattativa a discapito del dialogo.
Fp-Cgil e Uil-Pa hanno quindi annunciato uno sciopero per il 29 novembre, con l’obiettivo di ottenere ulteriori garanzie per i lavoratori. I segretari Serena Sorrentino e Sandro Colombi si sono detti preoccupati per la scarsa considerazione data al potere d’acquisto e alle opportunità di carriera, temi che ritengono centrali per una valorizzazione completa del lavoro pubblico. I sindacati contrari proseguiranno anche con le assemblee in tutto il Paese per informare i dipendenti e portare avanti le loro ragioni.