L’Italia non dispone di una definizione o di un indicatore ufficiale di povertà energetica. Secondo le stime nazionali, la povertà energetica è aumentata dal 7,3% nel 2014 all’8,5% nel 2022 (circa 2,2 milioni di famiglie). Tuttavia, nel 2022, la percentuale di famiglie che non erano in grado di riscaldare sufficientemente la propria casa era in linea con la media Ue, pari al 2,7%, mentre la quota di arretrati era del 5%, inferiore alla media Ue (6,9%).
A denunciare la situazione è il “Country report 2024” stilato dalla Commissione Ue con le raccomandazioni sulle “politiche economiche, sociali, occupazionali, strutturali e di bilancio dell’Italia”. Scopriamo insieme cos’è emerso.
La povertà energetica
Con il termine “povertà energetica” si intende la quota di famiglie che non è in grado di mantenere adeguatamente calda la propria casa rispetto al totale della popolazione. Come riportato nel report Ue a vivere questa condizione di disagio sono le “famiglie che vivono in condomini più vecchi o nelle regioni meridionali” e che sembrano essere quelle che “sono più a rischio”.
Gli indicatori di povertà energetica sono migliorati significativamente in Italia, ma l’impennata dei prezzi dell’energia ha peggiorato la situazione. La percentuale di popolazione che non è in grado di mantenere adeguatamente calda la propria casa, secondo il report, è scesa dal 17,0% nel 2015 all’8,8% nel 2022, al di sotto della media Ue (9,3%). L’indicatore, però, è aumentato di 0,7 punti percentuali tra il 2021 e il 2022 sulla scia degli aumenti dei prezzi dell’energia dovuti ai vincoli di fornitura causati dalla pandemia causata dalla diffusione del Covid-19 e dalla guerra in Ucraina, nonostante le misure di emergenza attuate in Italia.
“In particolare – scrive la Commissione -, il 17,6% della popolazione a rischio povertà (media Ue: 20,1%) e il 9,7% delle famiglie a reddito medio-basso nel 2022 (media Ue: 11,6%) non sono riusciti a mantenere la propria casa sufficientemente calda. D’altro canto, nel gennaio 2023, il 52,3% della popolazione a rischio di povertà ha speso una parte considerevole del proprio budget (più del 6%) in carburanti per i trasporti privati (UE: 37,1%). Il Prr prevede misure per promuovere la ristrutturazione delle abitazioni residenziali. Si prevede che questi obiettivi consentiranno di ottenere risparmi energetici, generare occupazione e sostenere le famiglie a basso reddito”.
Disuguaglianze ambientali
E il problema della povertà energetica spesso è associato a quello delle disuguaglianze ambientali, altra criticità italiana che segnala numeri superiori alla media dell’Ue. Nel 2021, le emissioni medie pro capite per il 20% della popolazione con il reddito più alto erano 3,4 volte superiori a quelle del 20% più povero. Per il 20% delle famiglie più ricche, l’impronta di consumo è maggiore per cibo e mobilità, mentre per le famiglie più povere è cibo e alloggio.
L’esposizione all’inquinamento atmosferico
I livelli medi di inquinamento atmosferico nel 2021 erano superiori alla media dell’Ue, con il 94% della popolazione che vive in regioni esposte a livelli critici di inquinamento atmosferico, causando circa 46.800 morti premature all’anno. I benefici per la salute derivanti dall’attuazione del Programma Nazionale di Controllo dell’Inquinamento Atmosferico per l’Italia sono stimati in 29,7 miliardi di euro entro il 2030 (utilizzando come riferimento il 2010) o l’1,84% del PIL del 2010, raggiungendo il 3,4% del PIL regionale in Lombardia nel bacino del fiume Po inquinato.
Il bilancio della Commissione su questo aspetto mira a migliorare la crescita della transizione verde del Paese: “L’Italia sta iniziando a compiere passi verso una transizione equa, anche se è ancora necessaria una maggiore attenzione alle sfide specifiche poste dalla transizione. L’Italia è consapevole della necessità di aumentare l’occupabilità della propria forza lavoro, affrontare il divario tra domanda e offerta di lavoro e aumentare le politiche di miglioramento delle competenze e di riqualificazione con particolare attenzione alle competenze verdi. Il programma GOL e le riforme dell’Agenzia nazionale per le politiche del lavoro (ANPAL) rappresentano passi importanti, anche se è ancora necessaria una maggiore attenzione alle politiche di green upskilling e reskilling. La rete di ricerca dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), che mira a valutare i rischi emergenti dalle transizioni digitale e verde, è un’altra organizzazione che può fornire assistenza in questo settore. Sono necessari ulteriori sforzi per migliorare la raccolta dei dati sui posti di lavoro e sulle competenze verdi e fornire incentivi fiscali efficaci alle imprese verdi”.
Nello specifico, la transizione verde dell’industria e dell’ambiente urbano, in particolare relativa alla decarbonizzazione, all’efficienza delle risorse e alla circolarità, è essenziale per rilanciare la competitività dell’Italia. La priorità per il nostro Paese, secondo la Commissione, è aumentare l’uso di materiali circolari nell’industria e nell’edilizia.
Il futuro verde dell’Italia
“L’Italia è sulla buona strada per raggiungere gli obiettivi del Piano d’azione per l’economia circolare dell’UE, grazie agli elevati tassi di riciclo e riutilizzo dei materiali – si legge nel report -. L’impronta materiale dell’Italia è scesa a 10,2 tonnellate pro capite nel 2020 e ha ripreso ad aumentare nel 2021. Ha raggiunto le 12,78 tonnellate pro capite nel 2022, rimanendo al di sotto della media Ue di 14,83 tonnellate pro capite. Anche la produzione totale di rifiuti pro-capite è aumentata e nel 2020 è stata pari a 2,9 tonnellate pro capite, ancora al di sotto della media dell’Ue. Dal 2022, l’Italia dispone di una strategia per l’economia circolare e di un programma nazionale sui rifiuti, entrambi supportati dal piano di ripresa e resilienza. Tuttavia, il sistema di registrazione ‘Rentri’ introdotto nel 2023 per migliorare la tracciabilità dei rifiuti non è attualmente operativo”.
In tutti i settori industriali, il 29% delle emissioni proveniva dalle raffinerie, il 23% dalla produzione di cemento e calce, il 16% dall’industria dei metalli, il 5% dall’industria chimica e il 28% da altre industrie. Dal 2019, il settore energetico ha ridotto le proprie emissioni del 22%; i settori industriali hanno visto un calo del 14%. L’industria dei metalli ha registrato il calo maggiore (25%). Dal 2013, le emissioni di gas serra del settore chimico sono diminuite del 40%, mentre le emissioni delle restanti industrie sono diminuiti di un modesto 11%.
C’è spazio per aumentare l’efficienza dell’Italia nell’utilizzo delle risorse nel settore industriale. L’Italia è tra i Paesi con il più alto tasso di utilizzo di materia secondaria. Questo tasso è diminuito tra il 2019 e il 2022, raggiungendo il 18,7%, ma è ancora superiore alla media europea.
La produttività delle risorse, invece, è aumentata costantemente negli ultimi anni, al di sopra della media dell’Ue. Nel 2022 era pari a 3,71 pp/kg. Migliorare la produttività delle risorse può aiutare a minimizzare gli impatti negativi sull’ambiente e a ridurre la dipendenza dai mercati volatili delle materie prime. Nel 2022 l’Italia dipendeva dalle importazioni per il 46,8% dei materiali utilizzati, collocandosi al quinto posto tra tutti i Paesi Ue in termini di vulnerabilità.