Non più solo destinataria delle politiche europee, ma parte attiva nella loro ridefinizione. L’Italia vuole “cambiare le regole del gioco” nella transizione energetica, sottraendola alla rigidità ideologica del Green Deal. È il messaggio lanciato dal ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, in occasione dell’evento Adnkronos Q&A “Sostenibilità al bivio”.
Nel suo intervento, Urso definisce la transizione “una delle sfide più rilevanti per il nostro Paese e per l’Europa”, ma anche una sfida “ingabbiata dalla logica ideologica del Green Deal, che ha tarpato le ali alle imprese europee”. Da qui la volontà di imprimere una svolta pragmatica, che metta al centro la competitività industriale e la neutralità tecnologica, contro un approccio “orientato in via esclusiva all’elettrificazione, cioè a una tecnologia che è dominio di altri, della Cina, e su cui noi siamo sensibilmente indietro”.
Dietro il lessico asciutto e politico del ministro, si coglie una strategia precisa: spostare il baricentro della sostenibilità europea da un modello vincolato all’elettrico a uno che valorizzi l’intero spettro delle tecnologie a basse emissioni, dall’idrogeno ai biocarburanti fino all’efficienza industriale. Una direzione che, nelle intenzioni del governo, non si limita alla critica ma si traduce in atti concreti: documenti congiunti con Berlino, dossier industriali comuni con Parigi e la costruzione di una posizione italiana più incisiva nei tavoli europei.
Il tono è quello di chi intende smontare un paradigma, non di chi si limita a gestirne gli effetti. “Abbiamo deciso di assumere un ruolo da protagonisti proponendo in Europa un approccio equilibrato, responsabile e realistico per renderlo sostenibile”, afferma Urso. Un equilibrio che, nelle intenzioni del governo, deve consentire di salvaguardare la manifattura nazionale senza rinunciare alla decarbonizzazione.
L’automotive come cartina di tornasole della nuova strategia industriale europea
Se c’è un terreno su cui la partita si gioca a carte scoperte, è quello dell’automotive. È qui che la contrapposizione fra ideologia e pragmatismo si è trasformata in un confronto diretto con Bruxelles. “La questione centrale dell’auto ci fa capire che non basta fare i compiti a casa: è necessario assolutamente cambiare le regole europee, come finalmente anche la Germania vuole fare, con noi”, dichiara Urso.
Il riferimento è al cosiddetto non paper italiano, presentato un anno fa alla Commissione europea e sottoscritto da una solida alleanza di Paesi membri e rappresentanti della filiera industriale. Quel documento ha rappresentato la base per la revisione del regolamento sulle emissioni di CO₂, aprendo la strada a una correzione di rotta rispetto alla linea originaria del Green Deal. Non più un’elettrificazione obbligata, ma un principio di “neutralità tecnologica” che consenta di utilizzare tutte le soluzioni disponibili per ridurre le emissioni, dai biocarburanti all’idrogeno, senza preclusioni di principio.
Un cambio di prospettiva che trova sponda anche a Berlino. Il ministro parla apertamente di “documento congiunto” tra Roma e il ministero dell’Economia tedesco, a cui si sono aggiunti altri attori industriali europei che “hanno condiviso le nostre posizioni e premono sull’Europa affinché agisca subito”. L’obiettivo è evitare che la transizione verso l’auto a zero emissioni si traduca in una desertificazione industriale del continente, con l’Asia pronta a occupare gli spazi lasciati liberi.
La partita dell’automotive è dunque più ampia di quanto sembri. È una metafora dell’intero equilibrio tra sostenibilità e competitività, tra vincoli ambientali e sovranità industriale. Urso non lo nasconde: “Oggi siamo finalmente nel merito delle riforme che occorre realizzare e si sta aprendo la strada a soluzioni più rispondenti alle esigenze del lavoro, dei cittadini e delle imprese europee”.
Dietro queste parole si muove una tensione evidente: quella di un’Europa chiamata a riformulare la propria strategia senza perdere il passo dell’innovazione globale.
Dall’Industrial Accelerator Act alla difesa delle imprese energivore
L’industria energivora è la linea del fronte della transizione. Siderurgia, ceramica, vetro, chimica, carta: settori ad alta intensità energetica che pagano il prezzo più alto della decarbonizzazione accelerata. Per Urso, la priorità è difendere “la spina dorsale della nostra manifattura e della sovranità europea minacciata alle fondamenta”. Il riferimento è all’Industrial Accelerator Act, il progetto di politica industriale comune su cui l’Italia, insieme a Francia e Germania, sta cercando di imprimere una direzione chiara a Bruxelles.
Servono misure immediate: “Chiediamo alla Commissione di agire subito con energia a costi competitivi, mobilitazione di capitali privati per investimenti verdi, regole comuni e difesa da pratiche sleali, misure di salvaguardia alla frontiera”. Il riferimento è al meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (Cbam), concepito per evitare la concorrenza sleale delle produzioni extraeuropee, ma che secondo l’Italia “rende non competitive le imprese energivore europee rispetto ai concorrenti asiatici”.
Parallelamente, il governo spinge per un pacchetto di riforme settoriali che toccano nodi cruciali: dalla chimica ai semiconduttori, dallo spazio ai materiali critici. Urso rivendica che l’Italia sia stata “il primo Paese in Europa a regolamentare l’attività dei privati nello spazio” e chiede a Bruxelles una legge comune anche in questo ambito. Sul fronte dei microchip, il ministro invoca un Chips Act 2 per rafforzare la filiera europea e ridurre la dipendenza esterna.
La strategia, in sintesi, è quella di spingere per un nuovo paradigma industriale europeo, capace di coniugare sostenibilità e autonomia produttiva. Non più un Green Deal vissuto come vincolo, ma un patto industriale basato su competitività, innovazione e sicurezza economica. È un discorso che tocca nervi scoperti a Bruxelles, ma che intercetta una crescente consapevolezza anche in altre capitali europee: senza una base produttiva solida, la transizione rischia di restare un esercizio teorico.
Transizione 5.0: incentivi, innovazione e la sfida della sostenibilità competitiva
Sul fronte interno, la scommessa si chiama Transizione 5.0. Il piano, finanziato con le risorse del Pnrr attraverso il capitolo Repower Eu, rappresenta l’asse portante della politica industriale italiana per la decarbonizzazione dei processi produttivi. “Si sta concludendo il piano Transizione 5.0, che ha ottenuto già prenotazioni per 2,5 miliardi e a fine anno supererà verosimilmente i 3 miliardi di euro in 15 mesi di attivazione dello strumento”, annuncia Urso, definendo il risultato “significativo”.
Il meccanismo premia gli investimenti in tecnologie digitali e sostenibili, con un’attenzione particolare alle imprese che intendono ridurre le emissioni e aumentare l’efficienza energetica. Ma l’obiettivo del ministero è andare oltre, costruendo una misura permanente di supporto all’innovazione. “Stiamo lavorando affinché ci sia una misura di innovazione e investimenti a supporto delle nostre imprese utilizzando le risorse del bilancio nazionale dei prossimi tre anni”, spiega Urso.
Una misura “che a questo punto, finanziata con risorse nazionali, potrà essere finalmente libera dai vincoli del Green Deal. Potranno usufruirne le imprese che ne hanno più bisogno, quelle energivore”.
È un punto politico cruciale: sottrarre parte delle misure di sostegno ai vincoli regolatori europei per indirizzarle verso i settori più esposti. Secondo Urso, si tratta di “una delle misure importanti a fianco delle altre che abbiamo messo in campo come il contratto di sviluppo 2020, la misura sull’innovabile e le batterie, e il contratto di sviluppo per la sostenibilità dei processi produttivi”.
Accanto a questi strumenti, si inseriscono anche gli “sportelli per i mini contratti Step” dedicati a progetti in settori chiave come l’idrogeno e la digitalizzazione industriale. Tasselli di una politica che cerca di restituire competitività al sistema produttivo, in un contesto in cui i costi energetici e la concorrenza internazionale continuano a pesare.
L’obiettivo, nelle parole del ministro, è “vincere la duplice sfida del digitale e del green”, trasformando la transizione da vincolo a opportunità.