Nella memoria collettiva, l’11 novembre ha sempre avuto un tono familiare. Era la data in cui il cielo si apriva dopo le prime piogge, la luce tornava per un attimo a scaldare la terra e i contadini potevano dire che “era arrivata l’estate di San Martino”. Il proverbio, tramandato da secoli, riassumeva un fenomeno osservabile: dopo i primi freddi autunnali, un anticiclone temporaneo portava qualche giorno di tepore.
Secondo la leggenda, quel sole improvviso era il riflesso di un gesto: Martino di Tours, ufficiale romano, taglia il proprio mantello per offrirlo a un mendicante infreddolito; subito dopo, il cielo si rischiara. La simbologia è chiara: la natura risponde alla generosità con un segno di clemenza.
Per generazioni, quella tregua è stata più di un’immagine religiosa: un segnale agricolo. La festa di San Martino coincideva con la chiusura dell’annata rurale, la spillatura del vino nuovo, la fine delle semine. L’intervallo mite aiutava a completare i lavori e a prepararsi all’inverno.
Oggi, però, il calendario non si piega più al racconto. Gli inverni arrivano in ritardo, gli autunni si allungano, le estati si prolungano fino a ottobre e l’11 novembre smette di rappresentare un confine riconoscibile. L’Italia del 2025 si presenta divisa: caldo anomalo in quota, nebbie e smog in pianura, piogge che si concentrano a ondate. Il proverbio continua a circolare, ma la realtà meteorologica lo smentisce quasi ogni anno.
Il mito del mantello resta, ma l’idea di una stagione prevedibile è saltata. E con essa un pezzo della cultura agricola che per secoli si è affidata alla regolarità dei cicli naturali.
È davvero novembre?
L’“estate di San Martino” del 2025, spiegano i meteorologi de iLMeteo.it, sarà caratterizzata da temperature sopra la media e tempo stabile ma non ovunque soleggiato. Lorenzo Tedici conferma che l’Italia vivrà “una settimana all’insegna di tempo mite, grazie all’espansione dell’anticiclone africano”.
È un quadro che ribalta la logica tradizionale: il caldo arriva non più da una bolla di alta pressione europea, ma da un fronte subtropicale che porta con sé effetti collaterali. In pianura, le inversioni termiche bloccano l’umidità e generano nebbie persistenti, nubi basse e pioviggini, mentre in quota il sole spinge lo zero termico fino a 3800 metri, quasi il doppio del normale livello stagionale di 1500-2000 metri.
Il fenomeno si accompagna a un altro dato: la latitanza del freddo. Le perturbazioni atlantiche restano ai margini e il primo vero fronte piovoso significativo è atteso solo a metà mese. Nel frattempo, le concentrazioni di polveri sottili (PM10 e PM2,5) nelle città padane superano i limiti di legge, con aria stagnante e visibilità ridotta. Le piogge del weekend, avverte Tedici, “saranno un toccasana per ripulire l’aria”, ma la normalità stagionale è altrove.
Negli ultimi anni questo schema si ripete: anticicloni africani a novembre, sbalzi termici e assenza di piogge regolari. Ispra registra per il 2024 un’anomalia termica media nazionale di +1,33°C rispetto al trentennio 1991-2020, con valori di +1,21 °C al Nord, +1,45 °C al Centro e +1,39 °C al Sud e nelle Isole. Sono numeri che ridisegnano il concetto stesso di “stagione di passaggio”. Il periodo mite c’è ancora, ma arriva per ragioni diverse e con effetti opposti: non più una breve tregua naturale, ma un segnale di riscaldamento strutturale.
L’autunno che non trova più forma
I numeri raccontano un Paese che vive stagioni sbilanciate. Secondo il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente, nel 2024 la temperatura media italiana è stata superiore di 1,33 °C rispetto al trentennio di riferimento, con un aumento ancora più marcato per le temperature minime (+1,40 °C). Al Nord le precipitazioni sono aumentate del 38 %, mentre al Sud e nelle isole si è ampliata la siccità.
Le oscillazioni non sono episodiche: tra il 2015 e il 2024 Legambiente ha censito 146 eventi meteorologici estremi che hanno colpito direttamente l’agricoltura, dalle grandinate alle trombe d’aria, con danni stimati in milioni di euro e perdite di raccolto diffuse.
Il risultato è un autunno che alterna ondate di caldo anomalo a bruschi crolli termici, con effetti concreti su raccolti, foreste e città. Le settimane centrali di novembre, un tempo stabili, sono diventate il punto più fragile della stagione.
Per gli agronomi, ciò significa dover riprogrammare le semine e accettare che il concetto di “fine dell’autunno” non ha più un corrispettivo fisso. Le alte pressioni di matrice africana bloccano le perturbazioni e favoriscono lunghi periodi di aria stagnante. Il clima mediterraneo, un tempo modello di equilibrio, mostra segni di snaturamento: caldo e umidità convivono, e l’instabilità diventa la regola.
Il proverbio “L’estate di San Martino dura tre giorni e un pochino” si rovescia nel suo opposto. Dove c’era un segnale di tregua, resta un sintomo di squilibrio. I “tre giorni” non mancano, ma non coincidono più con la serenità del clima; spesso arrivano come anticipo d’estate o preludio di piogge torrenziali.
Gli studi del Cnr-Isac descrivono un Mediterraneo in “fase di tropicalizzazione accelerata”, con scambi di calore intensi e fronti caldi che si spingono stabilmente sul continente europeo. L’Italia, sospesa tra il Sahara e l’Atlantico, è un laboratorio climatico a cielo aperto. Le cronache lo dimostrano: novembre che sembra settembre, dicembre che assomiglia a ottobre, e un inverno ridotto a poche settimane di vero freddo.