Esposizione a polveri sottili e rumore continuo: cosa stabilisce la Cassazione

La Suprema Corte condanna Roma Capitale: risarcimenti ai residenti e obbligo di interventi per ridurre immissioni acustiche e particolato fine
14 Novembre 2025
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Quando l’aria che si respira in casa supera i limiti di legge e il rumore del traffico diventa una presenza continua, non è più una questione di convivere con la città, è un problema di responsabilità pubblica. Sempre più spesso i tribunali intervengono proprio su questo punto, stabilendo che l’inquinamento non può essere trattato come un effetto inevitabile della vita urbana. E l’ultima decisione della Cassazione – come riportato da Il Sole 24 Ore – che riguarda Roma Capitale, conferma con chiarezza che, quando le immissioni superano le soglie previste, l’amministrazione deve rispondere sia economicamente sia con interventi concreti.

Quando il danno supera il confine della “normalità”

La Suprema Corte ha confermato che Roma Capitale dovrà risarcire i residenti esposti per anni a rumore e polveri sottili oltre soglia, respingendo il tentativo dell’amministrazione di annullare la condanna maturata in appello. La Cassazione ha stabilito che, in presenza di immissioni intollerabili prodotte da una gestione insufficiente del territorio, l’ente pubblico risponde non solo del danno ma anche della mancanza di interventi adeguati.

Il riferimento all’articolo 8 della Cedu – il diritto al rispetto della vita privata e familiare – rende il quadro ancora più netto. Per i giudici, la tutela dall’inquinamento non è un lusso e non è negoziabile. Non basta distribuire piccoli indennizzi e attendersi che i cittadini adottino soluzioni individuali per compensare le carenze strutturali dell’amministrazione.

In primo grado Roma Capitale era stata condannata a versare 2mila euro a ciascun ricorrente residente, mentre ai residenti veniva indicato di installare a proprie spese finestre autoventilanti. Una soluzione che spostava tutto il peso sugli abitanti, trattando l’esposizione prolungata a rumore e polveri come una conseguenza inevitabile del vivere accanto al traffico.

La Corte d’Appello ha invece imposto un cambio di passo, stabilendo che spettasse al Comune predisporre barriere fonoassorbenti e ridurre la velocità a 30 km/h nel tratto interessato. La Cassazione ha convalidato la decisione: quelle misure rientrano nell’articolo 2058 del Codice civile e rispondono al principio del neminem laedere. L’amministrazione deve intervenire quando il suo operato – o la sua inerzia – genera danni.

Barriere fonoassorbenti e limite dei 30 km/h

Le finestre autoventilanti, presentate dal primo giudizio come soluzione “ragionevole”, si sono rivelate irrilevanti secondo la consulenza tecnica disposta dal tribunale. Non schermano il rumore continuo del traffico, né impediscono l’ingresso delle particelle più fini, quelle che penetrano nelle abitazioni e si depositano sulle superfici. I tecnici hanno fotografato una situazione in cui sia il rumore sia il particolato superano in modo costante i valori consentiti dal quadro normativo.

A quel punto la Corte d’Appello ha individuato due interventi immediati e verificabili: barriere fonoassorbenti lungo il tratto critico e riduzione del limite di velocità a 30 km/h. La Cassazione ha confermato la piena legittimità di questi obblighi. Non si tratta di interventi particolari né di soluzioni innovative: sono misure ordinarie di mitigazione del traffico e rientrano pienamente nelle competenze del Comune. La riduzione della velocità incide sia sull’emissione di rumore sia sulla dispersione delle polveri. Le barriere, se progettate correttamente, assorbono o deviano parte dell’onda sonora, riducendo l’esposizione delle abitazioni che si affacciano sul tratto stradale. Sono interventi che altre città europee applicano da anni, anche in assenza di contenziosi.

Il risarcimento elevato a 10mila euro, riconosciuto anche agli eredi, sottolinea la durata dell’esposizione e il valore attribuito al danno non patrimoniale.

I dati sanitari che spiegano perché il problema non può essere derubricato a “fastidio” urbano

La decisione dei giudici arriva in un contesto nazionale che vede livelli crescenti di preoccupazione per la qualità dell’aria. In Lombardia, e più in generale nella Pianura Padana, il particolato fine sta superando con frequenza le soglie giornaliere. E anche Roma ha registrato in più occasioni valori vicini o superiori ai limiti, tanto da spingere il Comune a diffondere avvisi ai cittadini.

Alessandro Miani, presidente della Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima), ha descritto un quadro sanitario preciso: “Negli ultimi giorni si è registrato un aumento significativo dei livelli di particolato fine, in particolare Pm2.5 e in parte Pm10”, ha dichiarato all’Adnkronos Salute. Il Pm2.5 è la frazione più critica: penetra in profondità nei polmoni e può oltrepassare la barriera alveolo-capillare, entrando nel circolo sanguigno. I suoi effetti non riguardano dunque solo l’apparato respiratorio, ma anche quello cardiovascolare.

Le stime citate da Miani colpiscono per la loro evidenza: un incremento di 10 microgrammi per metro cubo nella media annuale delle polveri sottili corrisponde a un aumento della mortalità generale del 7%, del 10% per le malattie cardiovascolari e respiratorie e del 26% del rischio di infarto. Numeri difficili da ignorare. A questi si aggiungono correlazioni con alcune forme di demenza, con disturbi del neurosviluppo e con tumori polmonari.

In condizioni di picco – come quelle registrate recentemente – gli ospedali osservano un incremento degli accessi per asma, bronchiti, Bpco e aritmie. I gruppi più esposti restano i bambini, gli anziani, i pazienti cronici e le donne in gravidanza.

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