La sostenibilità ambientale non è nemica dell’economia, ma alleata. Seppure contestata da molti, questa relazione è ampiamente dimostrata dal Rapporto Città Clima 2024 – Speciale agricoltura di Legambiente. In questo contesto, l’agricoltura (è il caso di dire) fa il brutto e il cattivo tempo: da una parte è il settore più danneggiato dall’inquinamento, dall’altra è uno di quelli che più emette gas serra.
Qualche numero dal rapporto di Legambiente. In Italia, dal 2015 al settembre 2024 si sono registrati 146 eventi climatici estremi che hanno danneggiato gravemente il settore agricolo e hanno rappresentato il 7,4% del totale degli eventi estremi avvenuti in Italia. Parliamo di violente grandinate, siccità, raffiche di vento, allagamenti e esondazioni fluviali, con effetti devastanti su colture, infrastrutture e intere economie locali.
Gli eventi estremi in Italia
Gli eventi dannosi sono così distribuiti:
– 64 eventi di grandine, che hanno devastato colture in regioni come Veneto ed Emilia-Romagna;
– 31 episodi di siccità prolungata, con danni particolarmente intensi in Pianura Padana;
– 24 raffiche di vento e trombe d’aria, che hanno distrutto vigneti e frutteti in aree come il Friuli-Venezia Giulia;
– 15 allagamenti e 10 esondazioni, che hanno sommerso decine di migliaia di ettari di terreni agricoli, causando danni irreparabili.
Bisogna poi considerare che la siccità è un fenomeno più difficile da confrontare con le altre categorie di eventi estremi, trattandosi di un fenomeno più ampio e diffuso sia temporalmente che geograficamente. Nel 2022 anche gran parte del centro-nord ha attraversato un lunghissimo periodo di siccità. Secondo i dati di Isac-Cnr, nei primi sette mesi di quell’anno le piogge sono diminuite del 46% rispetto alla media degli ultimi trent’anni.
Allargando lo sguardo a tutti gli eventi estremi, il Piemonte è la regione più colpita con 20 eventi registrati, seguita da Emilia-Romagna (19), Puglia (17), Sicilia (14) e Veneto (14).
I danni economici del cambiamento climatico
Gli gli eventi climatici estremi stanno aumentando a un ritmo impressionante: solo negli ultimi due anni ci sono stati 79 eventi, oltre la metà del totale registrato negli ultimi dieci anni.
Il 2023, in particolare, è stato l’annus horribilis per il Paese, mentre dall’inizio del 2024 sono stati battuti decine di record nazionali di temperature elevate. Secondo lo studio “Global warming and heat extremes to enhance inflationary pressures”, pubblicato su Nature, il surriscaldamento globale potrebbe causare un aumento dei prezzi dei prodotti alimentari di oltre il 3% all’anno entro il 2035, rispetto a solo l’1,2% circa dell’inflazione complessiva. Nei Paesi Ocse, si prevede che le rese di mais, grano e riso saranno inferiori, in media, rispettivamente del 10%, 7% e 6% entro il 2050, rispetto a una situazione in cui prevarrebbero le condizioni (qui per leggere come cambiano le colture con il surriscaldamento)
La siccità del Po nel 2022 e le ondate di caldo in Sicilia nel 2024 sono emblematiche. Nel Delta del Po, l’intrusione di acqua salata ha reso inutilizzabili intere aree agricole, mentre la Sicilia ha registrato una riduzione della produzione di olio d’oliva dell’80%. Anche il settore del miele ha subito un crollo del 95%, a causa della mancata fioritura, mentre in Puglia il raccolto di orzo è calato del 25% e anche la pesca dei mitili è in crisi. Infatti, il surriscaldamento del mare è un altro fattore di grande pericolo per l’essere umano. Il 15 agosto 2024, il Mediterraneo ha raggiunto 28,9°C, superando i 28,7°C registrati nel luglio 2023. Questo riscaldamento contribuisce all’aumento dell’umidità atmosferica e favorisce fenomeni meteorologici estremi aumentando l’energia potenziale che può essere trattenuta dall’atmosfera. Eventi come la tempesta Boris e la DANA che ha devastato l’area di Valencia sono le tragiche conseguenze.
La perdita di suolo coltivabile
Negli ultimi 50 anni, l’Italia ha perso una superficie agricola utilizzata (Sau) pari a quella dell’intera Pianura Padana. Secondo i dati Istat, la Sau è scesa dai 17,5 milioni di ettari del 1970 agli attuali 12,5 milioni. Le aziende agricole sono 1,1 milioni, cinquant’anni fa erano 3,6 milioni.
Questo drammatico calo è dovuto principalmente a due fattori:
- Abbandono delle terre marginali: particolarmente nelle aree interne di collina e montagna, dove l’agricoltura tradizionale non riesce più a competere con il modello industriale introdotto dalla cosiddetta rivoluzione verde. Questo fenomeno ha determinato una perdita del presidio agricolo e una crescente vulnerabilità idrogeologica;
- Consumo di suolo fertile: le aree di pianura e costiere, tra le più produttive, sono state compromesse dalla cementificazione. Secondo l’Ispra, 2,2 milioni di ettari sono stati impermeabilizzati per costruzioni urbane e infrastrutture, riducendo drasticamente la capacità produttiva del Paese.
Il combinato disposto di questi fenomeni mette a rischio non solo la sicurezza alimentare nazionale ma anche il prestigio dell’export agroalimentare italiano.
Il sesto Rapporto Ipcc del 2023 evidenzia come il cambiamento climatico abbia ridotto la sicurezza alimentare e idrica a livello globale. Le alterazioni nelle precipitazioni e l’aumento degli eventi climatici estremi hanno aggravato le condizioni di coltivazione, particolarmente in Paesi come l’Italia, dove il settore agricolo è altamente vulnerabile.
Secondo il rapporto Oecd, entro il 2050 si prevede una riduzione delle rese di mais (-10%), grano (-7%) e riso (-6%) nei Paesi Ocse.
L’agricoltura inquina?
Il settore dell’agricoltura è una cartina tornasole per il cambiamento climatico: non solo ne subisce le conseguenze, ma è anche tra le principali cause per via delle emissioni di gas serra. Tra le emissioni attribuibili al comparto agroalimentare, spiccano quelle di metano, il secondo gas serra più climalterante, che, a livello globale, derivano dal settore agricolo per il 60%. La metà delle emissioni del comparto agroalimentare sono direttamente imputabili all’allevamento di bestiame.
Le risposte istituzionali: il Piano Nazionale di Adattamento
Il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (Pnacc), approvato nel 2023, identifica 28 misure specifiche per l’agricoltura. Tra queste:
– Investimenti in reti irrigue per ridurre le dispersioni;
– Realizzazione di micro-bacini per la ritenzione idrica;
– Promozione di pratiche agricole sostenibili come l’agricoltura di precisione e il pascolo arborato;
– Diversificazione delle colture per aumentare la resilienza.
Tuttavia, il Pnacc soffre di criticità legate alla mancanza di fondi specifici e a una governance poco chiara. L’assenza di un Osservatorio nazionale rende difficile monitorare l’efficacia delle misure.
I costi del non adattamento
Secondo il piano, entro il 2050 l’agroalimentare italiano potrebbe perdere fino a 30 miliardi di euro annui in uno scenario di mancato adattamento. Le perdite riguardano non solo la quantità, ma anche la qualità dei prodotti agricoli, con effetti diretti sulle esportazioni e sulla sicurezza alimentare nazionale.
Come cambiare rotta
L’agricoltura italiana, simbolo di eccellenza e qualità, si trova oggi di fronte a un bivio. Investire in soluzioni innovative e in una gestione sostenibile del suolo è l’unica via per garantire la sicurezza alimentare e preservare un settore cruciale per l’economia del Paese. Tuttavia, come dimostrano i dati, le sfide sono globali e richiedono un impegno condiviso tra governi, imprese e cittadini.
Legambiente suggerisce interventi urgenti:
- Stop al consumo di suolo: proteggere le aree agricole da urbanizzazione e infrastrutture non sostenibili;
- Sostegno alla transizione agroecologica: incentivare l’agricoltura biologica e la riduzione di pesticidi e fertilizzanti;
- Investimenti nelle aree interne: riqualificare territori collinari e montani per nuove colture e insediamenti produttivi;
- Innovazione tecnologica: promuovere sistemi agrivoltaici e pratiche digitali per ridurre l’impatto ambientale.
La combinazione di politiche climatiche ambiziose, adattamento locale e investimenti tecnologici può rappresentare una via d’uscita, ma il tempo stringe: ogni decisione rinviata aumenta i rischi per le generazioni future. Anche l’ex presidente della Bce Mario Draghi, il cui nome rimanda all’economia più che all’ambiente, ha avvertito i Paesi europei: senza una decisa svolta ecologica, l’intera economia Ue rischia il tracollo.