C’è chi lo indossa, chi lo guida, chi lo arreda e chi lo mangia. Poi c’è chi lo copia. Il Made in Italy è ovunque e vale oro. È uno dei pochi brand nazionali capaci di essere riconosciuti (e ammirati) in ogni angolo del mondo. Ma oggi, 15 aprile, non si tratta solo di marketing o di etichette con la bandierina tricolore. Si celebra, per legge, la Giornata Nazionale del Made in Italy, istituita nel 2023, e fissata proprio nel giorno della nascita di Leonardo da Vinci, simbolo eterno del genio italiano. Un’occasione ufficiale, ma anche concreta, per valorizzare e proteggere quello che per l’economia italiana non è folklore, ma infrastruttura portante: il saper fare, quello vero, che parte dalle mani degli artigiani e arriva alle vetrine delle fiere internazionali.
Quanto vale il Made in Italy
Moda, design, agroalimentare, turismo, meccanica, nautica, arredamento, cosmetica, automotive: il “marchio Italia” è trasversale e capace di generare un impatto economico enorme. Secondo i dati di Confindustria e ICE, il Made in Italy pesa oltre 500 miliardi di euro sull’economia nazionale, se si considera l’insieme delle filiere coinvolte. Di questi, circa 120 miliardi provengono dall’export di beni manifatturieri riconducibili a settori d’eccellenza come moda, agroalimentare e arredo-design.
Eppure, non è solo questione di grandi marchi. Dietro ogni cifra c’è un sistema diffuso di oltre 4 milioni di piccole e medie imprese, spesso a conduzione familiare, che reggono la spina dorsale produttiva del Paese. Dal calzaturificio di Fermo al laboratorio di ceramica a Grottaglie, dall’azienda agricola in Val d’Orcia alla bottega orafa di Arezzo: sono queste realtà a garantire che “italiano” non sia solo un aggettivo, ma una garanzia di qualità.
Il valore aggiunto del Made in Italy, infatti, non sta solo nel prodotto finito, ma nell’intera filiera: la cura nella scelta dei materiali, le tecniche tramandate, l’ingegno applicato alla produzione. Un esempio? L’agroalimentare: un barattolo di pomodori pelati “100% italiani” può valere il doppio di uno generico, ma solo se può dimostrare tracciabilità, origine, qualità e sicurezza. E la differenza la fanno i dettagli.
In parallelo, però, cresce anche l’interesse criminale: nel biennio 2023-2024, le forze dell’ordine hanno sequestrato oltre 532 milioni di euro di merce contraffatta, il 41% dei quali erano giocattoli, ma anche moda, elettronica e persino prodotti agroalimentari. La maggior parte dei sequestri (oltre il 90%) avviene nella fase di vendita, soprattutto ambulante, segno che la filiera dell’imitazione è lunga e sfuggente. Eppure, il danno al Made in Italy è profondo: economico, d’immagine e culturale.
Il Made in Italy cerca nuove mani
Non basta celebrare l’eccellenza, bisogna anche trasmetterla. E qui iniziano i problemi. In Italia, il passaggio del testimone tra generazioni non è affatto scontato. Unioncamere ha rilevato che tra il 2011 e il 2021 sono scomparse circa 170.000 imprese artigiane, con un calo del 41,9% delle imprese guidate da under 30 e un aumento del 47% delle ditte individuali guidate da over 70. Sono soprattutto botteghe storiche e microimprese manifatturiere a non trovare giovani disposti a imparare un mestiere. Non perché manchi l’interesse, ma perché troppo spesso mancano le occasioni di formazione mirata e accessibile.
Il mismatch tra domanda e offerta è evidente: mentre le aziende cercano tecnici specializzati, restauratori, sarti, falegnami, meccanici di precisione, i percorsi scolastici continuano a privilegiare lauree generaliste. Le scuole professionali e gli Istituti Tecnologici Superiori rappresentano ancora una percentuale marginale nel panorama dell’istruzione post-diploma, nonostante offrano tassi di occupazione superiori al 80% entro un anno dal diploma.
Eppure, qualcosa si muove. Con la legge che ha istituito la Giornata nazionale del Made in Italy, il Ministero delle Imprese ha lanciato un piano per rafforzare il legame tra scuola, territorio e imprese. L’obiettivo? Introdurre i ragazzi fin dalle superiori alla cultura del “saper fare italiano”, attraverso visite in azienda, laboratori, mentorship e percorsi duali. Alcune Regioni stanno già sperimentando nuovi format, come le academy aziendali in collaborazione con le imprese locali o i “campi estivi della manifattura” rivolti ai liceali.
Ma non basta. Serve anche un cambiamento culturale: restituire dignità e prestigio ai mestieri artigiani. Perché è proprio lì, nel gesto sapiente di chi cuce, assembla, fonde, scolpisce o modella, che il Made in Italy diventa realtà.
Il Made in Italy all’estero
L’Italia esporta più di quanto immaginiamo: non solo moda, cibo e design, ma anche macchinari, robotica, cosmetici, farmaceutica. Nel 2023 il valore dell’export ha superato i 650 miliardi di euro, con il Made in Italy che continua a essere sinonimo di qualità, cura e autenticità. Eppure, la penetrazione nei mercati internazionali è tutt’altro che semplice.
Uno degli ostacoli principali è il proliferare del falso Made in Italy, che secondo Coldiretti vale oltre 120 miliardi di euro l’anno. Una cifra enorme, che danneggia non solo le imprese italiane, ma anche i consumatori stranieri, spesso ignari di acquistare un “parmesan” americano o una borsa “italian style” cucita in Asia. La recente norma europea sulla trasparenza dell’etichettatura è un passo avanti, ma non basta. La tutela del Made in Italy richiede un’azione diplomatica continua, fatta di accordi bilaterali, marchi geografici riconosciuti, ma anche di controlli e sanzioni.
Poi ci sono i dazi, che minacciano l’equilibrio commerciale. L’esperienza della guerra dei dazi tra USA e UE, con il rischio di tariffe su prodotti simbolo come formaggi, vini, motociclette e abbigliamento, ha mostrato quanto il Made in Italy sia vulnerabile ai venti geopolitici. E oggi, con le tensioni commerciali globali in aumento – dagli attriti USA-Cina alle politiche protezionistiche in alcuni Paesi africani – l’export italiano è di nuovo in allerta.
A difendere le imprese c’è l’ICE (Agenzia per la promozione all’estero) e una rete di ambasciate economiche che lavorano per aprire nuovi mercati, rafforzare i legami commerciali e promuovere il Made in Italy anche nei Paesi emergenti. Ma è chiaro che il sistema deve essere più coordinato: troppe pmi non sanno come affrontare un mercato estero, e senza supporto rischiano di restare chiuse nei confini nazionali.
La scommessa, quindi, è duplice: rafforzare la protezione del marchio e potenziare la presenza italiana nel mondo, soprattutto in ambiti non ancora saturi.