In auto verso il lavoro, sull’Appia Antica a Roma, può capitare di ritrovarsi bloccati a causa di una manifestazione ambientalista. Odiati da molti, supportati da altrettanti, con l’approvazione in Camera dei deputati dell’articolo 14 del ddl Sicurezza non potranno più svolgere questo tipo di attività.
Il decreto introduce il carcere per il blocco stradale o ferroviario, fino a due anni se il fatto è commesso da più persone riunite.
Il ddl Sicurezza: le sanzioni ai blocchi stradali
Il provvedimento modifica il decreto legislativo 22 gennaio 1948, n. 66, che sanziona con una multa da 1000 a 4000 euro chi impedisce la libera circolazione su strada ordinaria, ostruendola con il proprio corpo.
Con la modifica, l’importo della multa si riduce ma trasforma la fattispecie in reato penale ed estende anche alla strada ferrata la sua efficacia.
Il nuovo testo di legge, quindi, prevede che “chiunque impedisce la libera circolazione su strada ordinaria o ferrata, ostruendo la stessa con il proprio corpo, è punito con la reclusione fino a un mese o la multa fino a 300 euro. La medesima sanzione si applica ai promotori ed agli organizzatori. La pena è della reclusione da sei mesi a due anni se il fatto è commesso da più persone riunite“.
“Dissenso diventa illecito penale”
L’approvazione era prevedibile. Si parla di una di quelle misure sulle quali la maggioranza si era espressa con chiarezza. Un atto di coerenza, quindi, quello di rendere penale una manifestazione che arreca danni, seppur temporaneamente, ad altre persone.
La notizia ha così creato polemiche e acceso il dibattito. La minoranza si espressa sostenendo che “Con l’approvazione dell’articolo 14 del ddl Sicurezza si introduce una norma liberticida. Gli operai della Whirlpool di Napoli che per tre anni hanno tenuta viva una vertenza difficilissima per salvare trecento posti di lavoro hanno fatto ben dieci blocchi stradali a cui hanno partecipato centinaia di persone. Hanno bloccato porto, aeroporto, strade e ferrovie. Con questa norma sarebbero finiti in galera per due anni”. Così si è espresso il capogruppo del Pd in commissione Lavoro alla Camera, Arturo Scotto.
“È una follia trasformare il dissenso in un illecito penale. Soprattutto perché in questi mesi ministri, deputati ed esponenti politici di tutti gli schieramenti sono stati in fabbrica per dare solidarietà ai lavoratori. Votando questa norma sarebbero dovuti andare a trovarli in galera. C’è da preoccuparsi davanti a un autunno molto difficile dove crolla la produzione industriale ed esplode la Cassa integrazione. Pensano di risolvere i conflitti con il carcere?”, ha concluso Scotto.
E il parere è comune tra chi si trova all’opposizione. “L’emendamento governativo al ddl Sicurezza che di fatto rende impossibili i sit-in e le manifestazioni non violente è molto grave – ha dichiarato il vicepresidente della Camera in quota Movimento 5 stelle, Sergio Costa -. Si prevede l’arresto da sei mesi a due anni per chi blocca le strade e fa sit-in. Il carcere per chi esprime il dissenso è liberticida e va contro la Costituzione. Resistenza significa anche sedersi per terra con le mani alzate. Oppure rimanere fermi, oppure sdraiarsi per terra. Non è resistenza violenta ma semplice e legittimo rifiuto civico non violento“.
“In qualità di vicepresidente della Camera e di ex ministro dell’Ambiente – prosegue -, ritengo che l’equilibrio tra l’ordine pubblico e la tutela dei diritti civili debba essere il principio cardine in ogni discussione su temi così delicati. Questo articolo, per come è scritto, è chiaramente mirato a vietare le manifestazioni di dissenso dell’attivismo ambientale. Devono essere garantite tutte le forme di dissenso, purché pacifiche. Stiamo sfociando nella criminalizzazione indiscriminata dell’attivismo e delle legittime forme di protesta, ed è molto, molto grave”.
I gruppi ambientalisti che manifestano per sensibilizzare su questioni quali l’uso di combustibili, smaltimento del nucleare e cambiamento climatico in generale, hanno finito per attrarre odio e allargare il consenso di una maggioranza che ha accolto l’istanza dei lavoratori, stanchi di arrivare tardi in ufficio, a causa di questi episodi. Dall’altro lato, però, c’è chi teme che questo possa essere solo l’inizio di una chiusura nei confronti della libertà di espressione e manifestazione, diritti garantiti rispettivamente dagli articoli 21 e 17 della Costituzione italiana.