Più caldo significa anche meno vènti: stiamo andando verso la ‘siccità eolica’? In Europa è già successo nel 2021, quando la velocità delle correnti d’aria è stata inferiore di circa il 15% rispetto alla media annuale, ma l’episodio rischia di non rimanere un caso isolato. Tutt’altro: negli ultimi decenni, le rilevazioni mostrano la progressiva diminuzione della velocità del vento, soprattutto nelle medie latitudini dell’emisfero settentrionale. Un rallentamento che ha un nome preciso – wind stilling – e che rischia di mettere in crisi uno dei pilastri della transizione ecologica: l’energia eolica. Una delle cause, spiegano gli scienziati, è il riscaldamento globale.
Lo studio: più caldo, meno vento, meno energia eolica
Un recente lavoro condotto dal climatologo Gan Zhang dell’Università dell’Illinois a Urbana-Champaign, dal titolo ‘Amplified summer wind stilling and land warming compound energy risks in Northern Midlatitudes’ e pubblicato su Environmental Research Letters, ha quantificato l’entità del problema, concentrandosi sugli impatti del riscaldamento climatico sulle risorse eoliche, in particolare alle latitudini medie settentrionali.
Le rilevazioni mostrano infatti che dal 1980 circa la velocità media dei venti al suolo si è ridotta, in alcune regioni anche del 10-15%. Secondo lo studio di Zhang, in Europa e Nord America la velocità media del vento in estate potrebbe ridursi del 5% già entro il 2050 a causa del riscaldamento globale, arrivando fino al 15% entro la fine del secolo in scenari di alte emissioni: è lo ‘stilling’. Il fenomeno presenta forti variazioni stagionali, con effetti deboli o misti in inverno e con una media annuale influenzata da variazioni opposte che si annullano parzialmente.
Un calo che a prima vista sembra minimo, ma che diventa enorme se tradotto in produzione elettrica, perché anche piccole variazioni si trasformano in oscillazioni significative dell’energia generata. E c’è una doppia criticità: la riduzione del vento avviene proprio quando le temperature aumentano e cresce la domanda di energia per il raffreddamento. In altre parole, meno vento quando servirebbe più elettricità: un mix che rischia di destabilizzare le reti energetiche di Europa e Nord America e portare a carenze energetiche estive.
Cos’è il wind stilling
Il wind stilling, dunque, è la progressiva diminuzione della velocità del vento osservata negli ultimi decenni in diverse aree del mondo, soprattutto nell’emisfero settentrionale. Le cause sono complesse e ancora oggetto di studio, ma le ipotesi più solide sono:
• aumento amplificato delle temperature della terra e della troposfera (lo strato dell’atmosfera più vicino alla superficie terrestre), che altera i modelli di circolazione atmosferica;
• cambiamenti nell’uso del suolo (urbanizzazione, deforestazione, agricoltura intensiva), che aumentano la rugosità del terreno e frenano i venti;
• aerosol e inquinanti, capaci di modificare la radiazione solare e i gradienti di pressione che guidano i venti.
E le conseguenze non riguardano solo la produzione elettrica: meno vento significa anche una peggiore qualità dell’aria – perché venti più deboli comportano minore dispersione degli inquinanti – e problemi per l’agricoltura – dove un vento più debole riduce l’impollinazione naturale e favorisce ristagni di umidità dannosi per le colture.
Eolico sotto pressione
Nell’Unione europea, nel 2024, l’energia eolica ha coperto circa il 17% della produzione elettrica, confermandosi la seconda fonte rinnovabile dopo il solare. Ma la riduzione estiva dei venti potrebbe minacciare la stabilità del sistema elettrico, soprattutto in presenza di ondate di calore che fanno schizzare i consumi.
Le simulazioni mostrano che tra il 2071 e il 2100 la produzione eolica in Europa e Nord America potrebbe calare a causa dello stilling del vento estivo fino al 25-30%, con punte del 40% in alcune condizioni. E se il vento manca, come accaduto nella già ricordata ‘siccità eolica’ europea del 2021, le conseguenze si fanno sentire subito: nel Regno Unito, la caduta della produzione costrinse il governo a riaprire due centrali a carbone.
Un’analisi del 2023 sui dati dal 1971 al 2015 in Cina ha rilevato un calo della velocità del vento del 5,5% per decennio. Il che si è tradotto in una diminuzione del fattore di capacità media dal 20,7% al 14,9% tra il 2001 e il 2015, cifre importanti in un Paese che fa larghissimo uso dell’eolico.
Le possibili risposte
Per gli scienziati comunque il rischio di stilling non significa la fine dell’eolico, che resterà comunque competitivo rispetto alle fonti fossili. Ma servirà adeguare la pianificazione energetica secondo tre direttrici:
• diversificare le fonti rinnovabili: affiancare solare, idroelettrico e altre soluzioni all’eolico per compensarne i cali;
• potenziare e aggiornare le reti elettriche: con interconnessioni capaci di bilanciare la produzione in aree diverse;
• investire negli accumuli e nel miglioramento dell’efficienza del sistema: batterie e altre tecnologie per immagazzinare energia nei momenti di abbondanza e rilasciarla nei picchi di domanda.
Garantire un futuro all’energia eolica significa dunque ripensare le reti e accettare che la transizione verde non può prescindere dall’adattamento a un clima che cambia. Perché nemmeno il vento è più quello di una volta.