Il fast fashion pesa (almeno) una valigia intera ogni anno

Ogni anno acquistiamo 19 kg di vestiti, ma il vero peso è quello che non vediamo: sfruttamento delle risorse, emissioni e rifiuti tessili fuori controllo
28 Marzo 2025
4 minuti di lettura
Valigia Piena

Siamo sommersi da vestiti, scarpe e tessili come mai prima d’ora. Nel 2022, il consumatore europeo ha acquistato, in media, 19 kg di abbigliamento, calzature e tessili per la casa. Questo equivale, grosso modo, a una valigia grande, piena di nuovi acquisti ogni anno. Se pensiamo che nel 2019 il dato era di 17 kg, ci rendiamo conto di come la moda e l’industria tessile abbiano aumentato il loro impatto sulle nostre vite. E, purtroppo, non solo sulla nostra vita quotidiana. Il settore della moda sta infatti contribuendo pesantemente alla crisi ambientale e climatica, a causa di un sistema produttivo e di consumo che non riesce ancora a diventare davvero circolare.

Oggi, il legame tra consumo e impatto ambientale è sempre più stretto, ma ci troviamo comunque a fare i conti con un fenomeno che sembra quasi inevitabile: l’onnipresenza del fast fashion. In questo contesto, il report dell’Agenzia europea dell’ambiente getta luce sugli enormi rischi e le sfide che l’industria tessile europea sta affrontando.

Come il fast fashion ha preso il sopravvento

In un’epoca di e-commerce e social media, i consumatori hanno accesso a una varietà infinita di stili e tendenze a portata di click. Il fast fashion, con la sua promessa di rendere la moda accessibile a tutti, ha trasformato il nostro approccio all’acquisto di abbigliamento. Prima di tutto, c’è da considerare il ruolo di Internet e delle piattaforme digitali, che hanno reso gli acquisti online facili e veloci, abbattendo le barriere geografiche e temporali. I colossi del fast fashion sono riusciti ad adattarsi perfettamente a questa rivoluzione digitale, facendo leva su costi di produzione bassissimi, l’uso di tessuti sintetici e una distribuzione capillare.

Se da un lato l’industria della moda ha creato una vera e propria cultura del consumo rapido, dall’altro lato questo sistema ha spinto il livello di produzione e acquisto a numeri record. I consumatori non solo acquistano di più, ma acquistano anche più frequentemente. Un fenomeno che sembra non arrestarsi, alimentato anche dalla velocità dei cambiamenti stagionali e dalle “nuove” collezioni che vengono lanciate sul mercato a ritmi sempre più serrati. Il risultato? Un carico eccessivo sui nostri armadi e, più in generale, sull’ambiente.

Gli effetti devastanti sull’ambiente

Dietro ogni capo di abbigliamento che acquistiamo si nascondono enormi costi ambientali. Secondo l’Agenzia Europea dell’Ambiente, il settore tessile è il quinto più grande per quanto riguarda le pressioni ambientali in Europa, superato solo da alimentazione, mobilità, abitazione e salute. L’industria della moda inquina e consuma risorse naturali come acqua e terra in modo esorbitante. La produzione di tessuti richiede materiali primari che vengono estratti o prodotti al di fuori dell’Europa, spesso in condizioni di sfruttamento intensivo. Ogni anno, l’industria tessile europea utilizza ben 234 milioni di tonnellate di materie prime, una cifra che si traduce in 523 kg di risorse naturali per ogni persona dell’Unione Europea, che sembra solo destinato ad aumentare. Due terzi di queste materie prime provengono dall’estero, in particolare da paesi come la Cina, il Bangladesh e la Turchia. A peggiorare la situazione ci sono le microplastiche, che non solo sono rilasciate durante la produzione, ma anche a seguito del lavaggio degli indumenti sintetici. Ogni volta che laviamo i nostri vestiti, infatti, milioni di piccole particelle di plastica vengono disperse nell’ambiente, entrando nei corsi d’acqua e negli oceani, dove si accumulano, minacciando la fauna marina e, infine, la nostra catena alimentare.

Non dimentichiamo le emissioni di gas serra. Se il consumo di abbigliamento e tessili per la casa fosse un paese, sarebbe tra i maggiori inquinatori del pianeta. La produzione e il consumo di tessuti sono responsabili di ben 159 milioni di tonnellate di CO2 equivalente all’anno in Europa, pari a 1.800 km percorsi da un’auto a benzina. Il nostro amore per la moda economica e il “fast fashion” ha un prezzo molto più alto di quello che ci fanno pagare alla cassa: l’impatto sul clima e sull’ambiente è devastante, eppure continuiamo a non vederlo (o forse facciamo finta).

Tessuti e rifiuti

Anche se l’industria della moda non smette di produrre, la triste verità è che gran parte degli abiti che acquistiamo finiscono nei rifiuti. Nel 2022, l’Unione Europea ha prodotto ben 6,94 milioni di tonnellate di rifiuti tessili, pari a 16 kg per persona. Non solo, l’85% di questi rifiuti non viene nemmeno raccolto separatamente, finendo in discariche o inceneritori, dove è impossibile recuperarli. La maggior parte di questi tessuti non viene mai riciclata, e nonostante la crescente consapevolezza sull’importanza della raccolta differenziata, solo una piccola parte dei rifiuti tessili viene effettivamente raccolta e riutilizzata. Il resto? Viene smaltito, bruciato, o, peggio, esportato in paesi lontani dove diventa rifiuto da incenerire o gettare in natura, contaminando territori spesso già vittime del nostro sfruttamento.

Questo scenario si sta evolvendo grazie alle leggi europee che, a partire dal 2025, obbligheranno i Paesi membri a raccogliere separatamente i rifiuti tessili, dando finalmente una possibilità di riutilizzo o riciclo a ciò che oggi viene sprecato. Tuttavia, la sfida rimane quella di ridurre la produzione iniziale di abbigliamento e incentivare la cultura del riuso, riparazione e riciclo, piuttosto che quella del consumo veloce e dell’obsolescenza programmata.

Tra tecnologia e circolarità

L’Unione Europea ha messo in campo una serie di strategie per rendere il settore tessile più sostenibile. La strategia sui tessili punta alla riduzione dell’impatto ambientale del settore, promuovendo la progettazione circolare e la produzione di capi di abbigliamento di qualità, che possano essere facilmente riutilizzati, riparati o riciclati. Ma c’è ancora molta strada da fare.

Una delle aree più promettenti riguarda l’uso delle tecnologie digitali. L’adozione di soluzioni innovative come la stampa 3D e la digitalizzazione della produzione potrebbe ridurre gli sprechi e migliorare l’efficienza. Tuttavia, c’è anche il rischio che queste tecnologie, abbassando i costi di produzione, finiscano per stimolare un consumo ancora maggiore, contribuendo a un ciclo di sovrapproduzione e sovraconsumo che continua a danneggiare l’ambiente.

A tal fine, l’Ue sta cercando di integrare nel settore la cosiddetta economia circolare, incoraggiando la creazione di prodotti che possano essere riciclati o riutilizzati, anziché finire inevitabilmente nelle discariche. Il recente regolamento sull’Ecodesign per prodotti sostenibili, che introduce l’obbligo di sviluppare “passaporti digitali” per i prodotti, è un passo importante verso la creazione di un sistema di tracciabilità che permetta di ottimizzare il ciclo di vita dei tessili.

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