Gallipoli, Salento, estate 2024. Il sole batte su una strada che, a detta di Google, è pubblica. Ma secondo un 56enne del posto, quella zona dovrebbe rimanere privata. Al centro della controversia un’immagine che mostra l’uomo mentre fa la doccia all’aperto, nel cortile della sua abitazione. Una foto che è finita su Street View e ha scatenato una battaglia legale tra l’uomo e il colosso di Jeff Bezos.
Ripreso mentre si fa la doccia: la foto finisce in tribunale
Il 56enne, assistito dall’avvocato Vincenzo De Vittorio, sostiene di essere stato ritratto “in abiti succinti e nel mentre era intento a fare la doccia all’interno del cortile della propria abitazione”. Secondo la sua versione, le telecamere di Google avrebbero immortalato il suo volto “ben riconoscibile e chiaro”, prima che diventasse oggetto di scherno e derisione nella comunità locale.
Prima di intraprendere le vie legali, l’uomo ha inviato diffide a Google Italy e Google Usa e si è rivolto al Garante della Privacy. Le immagini, sostiene la difesa, sono rimaste online per lungo tempo, con una “lieve sfocatura” applicata successivamente e ritenuta insufficiente dal soggetto della ripresa.
La replica di Amazon
Google respinge ogni accusa con una strategia difensiva che sostiene una interpretazione diversa dei fatti. I legali del colosso tecnologico – Marco Berliri, Massimiliano Masnada, Michele Traversa, Ambra Pacitti e Giacomo Bertelli – sostengono che l’uomo si trovasse “fuori dal cancello di casa sua e sulla pubblica strada mentre indossava un costume da bagno”.
La linea difensiva di Mountain View si articola su tre punti fondamentali:
- Irriconoscibilità: il soggetto risulterebbe “distante e i lineamenti facciali sono talmente irriconoscibili da rendere impossibile l’identificazione di qualsivoglia individuo, anche utilizzando lo zoom”;
- Contesto normale: in una località balneare come Gallipoli, durante l’estate, sarebbe “poco credibile credere che una persona possa essere derisa e schernita per essere uscita in strada indossando un costume da bagno”;
- Responsabilità limitata: Google Italy si occupa solo della vendita di spazi pubblicitari, non della gestione diretta di Street View.
Il peso del comportamento processuale
La tensione del caso ha generato persino una querelle tra le parti. L’avvocato De Vittorio ha segnalato al giudice l’uso di espressioni ritenute “sconvenienti” negli atti da parte dei difensori di Google, come la frase “se non fossimo nel mezzo di un procedimento giudiziario, si sarebbe autorizzati a pensare ad una barzelletta” e accuse di “sciatteria processuale”.
I legali di Google hanno respinto le accuse e chiesto a loro volta la condanna del collega per lite temeraria secondo l’articolo 96 del Codice di procedura civile italiano. Il giudice Alessandra Cesi della prima sezione civile dovrà quindi decidere non solo sul merito della causa, ma anche sul comportamento processuale delle parti.
La proprietà privata fin quando è tale?
Un elemento cruciale della vicenda riguarda la natura della strada da cui è stata scattata la fotografia. Il 56enne ha prodotto una perizia tecnica secondo cui la strada in questione sarebbe “di pertinenza del complesso abitativo” e quindi non una via pubblica. Con questa tesi, l’uomo punta a rendere illegittima la documentazione da parte di Street View.
Il caso di Gallipoli si inserisce in un quadro normativo già definito dal Garante per la Privacy nel 2010. Le prescrizioni per Street View in Italia prevedono:
- Comunicazione preventiva dei luoghi e tempi delle registrazioni con tre giorni di anticipo;
- Pubblicizzazione dell’attività tramite quotidiani locali ed emittenti radio;
- Riconoscibilità dei veicoli utilizzati per le riprese;
- Possibilità di opposizione attraverso la funzione “Segnalare un problema”;
Il sistema prevede che Google oscuri automaticamente persone e targhe, ma questi filtri non sempre funzionano perfettamente.
La richiesta di risarcimento
L’uomo ha avanzato una richiesta di risarcimento fissata a 80mila euro e successivamente ridotta a 38mila euro. Google rifiuta di versare qualsiasi somma, aprendo la strada a una decisione giudiziaria che potrebbe fare giurisprudenza. La prossima udienza, fissata per il 2 ottobre 2025 presso il Tribunale di Lecce, potrebbe vedere una nuova proposta di conciliazione o una prima decisione sul merito.
Il caso solleva questioni fondamentali sui limiti della documentazione digitale del territorio e sui diritti individuali nell’era della sorveglianza algoritmica.
Il precedente della moglie adultera
Il caso di Gallipoli non rappresenta un unicum nel panorama giudiziario italiano. Tre anni fa, con la sentenza 27224/2022, la corte di Cassazione si è pronunciata sul tradimento di una donna, scoperto dal marito proprio grazie alle telecamere di Street View.
La storia inizia quando un marito scopre l’auto della moglie parcheggiata in una “via insolita” consultando Google Maps. L’immagine, catturata dal servizio Street View, mostra il veicolo con la targa non oscurata, violando le prescrizioni del Garante per la Privacy. Sotto pressione, la donna confessa l’esistenza di un amante, portando alla fine del matrimonio. Qualcosa di analogo è successo con la kiss cam dei Coldplay, che ha involontariamente rivelato un tradimento rovinando non solo un matrimonio, ma anche la carriera professionale dei due protagonisti Andy Byron e Kristin Cabot.
La donna decide di citare in giudizio Google Italy, attribuendo al colosso tecnologico la responsabilità del naufragio della sua unione. La sua tesi si basava su una violazione oggettiva: l’azienda non aveva infatti oscurato la targa come previsto dalla normativa italiana e non aveva fornito alcuna avvertenza sul fatto che in quella strada si stessero effettuando riprese fotografiche, a dispetto delle linee guida su viste.
La corte di Cassazione ha però respinto il ricorso, stabilendo un principio che fa giurisprudenza: nonostante Google avesse “effettivamente violato il Codice della Privacy”, i giudici hanno sottolineato la mancanza di un nesso causale diretto tra la violazione e la scoperta dell’adulterio. Una vicenda che ricorda da vicino quanto successo con la vicenda kiss cam dei Colpdplay.
Come si legge nella sentenza, serviva una “prova diabolica” (ovvero quasi impossibile da raggiungere) per dimostrare che il marito si fosse “accorto del parcheggio sospetto consultando Google Maps e che da tale scoperta fossero derivate poi le conseguenze descritte dalla ricorrente”.
Inoltre, ha sottolineato la Cassazione, la donna avrebbe dovuto citare Google LLC con sede negli Stati Uniti, il vero gestore del servizio, e non Google Italy.
Questo precedente stabilisce un principio fondamentale: anche quando in presenza di una chiara violazione delle norme sulla privacy, il danneggiato deve dimostrare un nesso causale diretto tra la violazione e il danno subito. Un criterio che potrebbe influenzare anche l’esito del caso di Gallipoli, dove il 56enne dovrà provare che le conseguenze negative derivino effettivamente dalla pubblicazione dell’immagine su Street View.