Stop con multe ai titoli al femminile negli atti pubblici. Ma Lega frena: “Iniziativa personale”

No all’uso di “sindaca”, “avvocatessa” e simili, ma il partito ritira la proposta. Perché il linguaggio inclusivo deve essere la normalità?
22 Luglio 2024
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Donna Timbra Atto Pubblico

Multe fino a 5.000 euro per chi usa il femminile negli atti pubblici scritti.
La proposta di legge del senatore leghista Mandredi Potenti ha subito scatenato le polemiche e ora potrebbe non vedere mai la luce.
Infatti, secondo fonti del partito, la Lega ha già ritirato il ddl precisando che si tratterebbe di un’iniziativa del tutto personale. La vicenda ricorda quanto successo con il redditometro, decretato dal Sottosegretario all’Economia Maurizio Leo, e poi ritirato dalla presidente Meloni.

La proposta di Potenti, dal titolo ‘Disposizioni per la tutela della lingua italiana, rispetto alle differenze di genere’, si pone(va) l’obiettivo di “preservare l’integrità della lingua italiana ed in particolare, evitare l’impropria modificazione dei titoli pubblici dai tentativi ‘simbolici’ di adattarne la loro definizione alle diverse sensibilità del tempo”, dice il senatore leghista.

Femminile in atti pubblici, il testo

L’Adnkronos ha visionato in bozza il testo del disegno di legge. All’art. 2 si prevede che “in qualsiasi atto o documento emanato da Enti pubblici o da altri enti finanziati con fondi pubblici o comunque destinati alla pubblica utilità, è fatto divieto del genere femminile per neologismi applicati ai titoli istituzionali dello Stato, ai gradi militari, ai titoli professionali, alle onorificenze, ed agli incarichi individuati da atti aventi forza di legge”.

Sotto il profilo delle sanzioni, l’art. 4 prevede multe da 1.000 a 5.000 euro in caso di violazione delle norme.

La politica deve “scongiurare che la legittima battaglia per la parità di genere, al fine di conseguire visibilità e consenso nella società ricorra a questi eccessi non rispettosi delle istituzioni”, sostiene Potente, che aggiunge: “Una decisione assunta da una ‘sindaca’ potrebbe essere addirittura impugnabile poiché non prevista dal nostro ordinamento”. La notizia del senatore leghista ha subito scatenato le critiche di chi ritiene che il linguaggio abbia un ruolo silenzioso ma fondamentale nella società, soprattutto nei confronti dei più giovani, che ora si stanno formando.

Il ruolo del linguaggio inclusivo

Negli ultimi anni il dibattito è sempre più polarizzato tra chi ritiene che l’uso del femminile sia una delle tante “follie ideologiche” di questo tempo e chi invoca un cambiamento.

Ciò che è certo è che la lingua italiana non è neutra o maschile; il linguaggio è uno strumento potente che riflette e modella la nostra percezione della realtà. L’uso del maschile come genere neutro nei documenti ufficiali e nella comunicazione pubblica ha radici profonde nella storia della società, ma questo approccio tende a rendere invisibili le donne e le loro esperienze. Quando si parla di “medici”, “ingegneri” o “professori” senza specificare il genere, si perpetua implicitamente l’idea che queste professioni siano prevalentemente maschili.

Chi si oppone alla proposta di Potenti sottolinea che il linguaggio utilizzato nella società ha molteplici ricadute. In primo luogo, un linguaggio inclusivo può contribuire a ridurre i pregiudizi di genere, su cui l’Italia non se la cava proprio bene. Se le bambine vedono frequentemente figure femminili rappresentate in ruoli di potere e responsabilità, dicono i sostenitori del linguaggio inclusivo, sarà più probabile che crescano con l’idea che anche loro possano aspirare a tali posizioni. In secondo luogo, il linguaggio inclusivo rafforza l’idea che le donne e gli uomini abbiano uguale valore e diritto alla visibilità.

L’adozione di un linguaggio inclusivo è anche una questione di giustizia e rispetto. Ogni persona ha il diritto di essere riconosciuta nella sua identità di genere e di non essere ridotta a un’anonima massa neutra. Questo principio è particolarmente importante negli atti pubblici e ufficiali, dove il linguaggio deve rispecchiare la realtà e la diversità della popolazione che rappresenta.

Il femminile negli atti ufficiali: un dibattito europeo

La questione dell’uso del femminile nei documenti ufficiali è al centro di un dibattito non solo italiano, ma europeo. Diversi Paesi hanno intrapreso percorsi differenti per affrontare il problema della rappresentazione di genere nel linguaggio amministrativo e pubblico.

In Spagna, la Ley de Igualdad de Género (Legge sulla Parità di Genere) del 2007 ha sancito l’uso obbligatorio del linguaggio inclusivo in tutti i documenti ufficiali. Questa legge ha avuto un impatto significativo, portando a una revisione completa del linguaggio utilizzato nei testi legislativi, amministrativi e scolastici con un duplice obiettivo: promuovere l’uguaglianza di genere e prevenire la discriminazione.

La Francia ha vissuto un dibattito particolarmente acceso sulla questione.
L’Académie Française, l’istituzione incaricata di proteggere la lingua francese, ha a lungo resistito all’introduzione del femminile nei titoli professionali e in altre forme di linguaggio inclusivo. Tuttavia, la pressione sociale e politica ha portato a cambiamenti graduali. Nel 2019, il governo francese ha emanato linee guida per l’uso del linguaggio inclusivo nei documenti ufficiali, che includono l’uso del punto mediano (come in “étudiant·e·s”) per rappresentare entrambi i generi.

In Germania, il dibattito si è focalizzato sull’uso dello “Schrägstrich” (barra obliqua) e dell’asterisco per includere tutti i generi nei testi scritti. Ad esempio, “Student*innen” include sia studenti maschi che femmine, oltre a persone non binarie. Questa pratica è stata adottata in molte università e istituzioni pubbliche, ma non senza polemiche. L’uso dell’asterisco, inoltre, è un espediente molto frequente anche nel linguaggio informale italiano.

In Italia, l’introduzione del femminile nei documenti ufficiali è stata più lenta e frammentaria. Alcune amministrazioni locali e università hanno adottato linee guida per l’uso del linguaggio inclusivo, ma manca una normativa statale che obblighi a questa pratica. Sul punto, presentando la sua proposta, il senatore Potente ha ricordato come l’ateneo di Trento abbia introdotto l’utilizzo del cosiddetto ‘femminile sovraesteso’ per le cariche e i riferimenti di genere, ovvero “che i termini femminili usati (…) si riferiscono a tutte le persone”, come si legge in un documento dell’università, citato nel testo di legge. “Con la conseguenza -sottolinea il senatore leghista – che, ad esempio, si è utilizzato ‘rettrice’ anche per l’incarico di rettore rivestito da un uomo”.

Esempio di Trento a parte, in Italia l’uso del femminile viene portato avanti semplicemente per rispecchiare il genere del soggetto agente volta per volta.
Il disegno di legge del senatore Potenti, ritirato dalla Lega, rappresentava quindi non solo una resistenza a questa tendenza, ma anche una potenziale inversione di tendenza rispetto agli sforzi compiuti in altre parti d’Europa.

Infine, il dibattito sul femminile nei documenti ufficiali è emblematico delle diverse visioni della parità di genere in Europa. Mentre alcuni Paesi vedono il linguaggio inclusivo come un passo necessario verso l’uguaglianza, altri lo considerano un cambiamento superfluo o addirittura dannoso e irrispettoso delle istituzioni.

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