Mentre l’Europa cerca ricette per la mobilità sostenibile, la Spagna accelera.
Dal prossimo gennaio 2026, viaggiare su treni e autobus in tutto il territorio spagnolo costerà 60 euro al mese: una tariffa piatta, semplice e universale, che scende a 30 euro per i giovani under 26.
L’annuncio del premier Pedro Sánchez è un manifesto politico: lo Stato si fa carico della mobilità dei cittadini per ridurre le disuguaglianze e l’inquinamento, finanziando l’operazione anche attraverso una maggiore pressione fiscale sui grandi patrimoni.
Come funziona il “pass unico” spagnolo
La misura, che entrerà in vigore nella seconda metà di gennaio, punta a una semplificazione radicale. Con un unico titolo di viaggio, i cittadini potranno accedere ai treni di prossimità (Cercanías), ai convogli di media distanza e alla rete degli autobus statali. L’obiettivo dichiarato da Sánchez è ambizioso: “Cambieremo per sempre il modo in cui intendiamo il trasporto pubblico”.
Il piano prevede un’integrazione progressiva che mira a includere tutte le reti di trasporto pubblico regionale e locale, creando di fatto un sistema in cui il confine tra un mezzo e l’altro scompare per l’utente finale. Il risparmio stimato per le famiglie è importante. Secondo i calcoli del governo socialista, l’abbonamento unico permetterà di abbattere le spese di trasporto individuale del 60%, offrendo un’alternativa concreta all’auto privata proprio mentre i costi del carburante e della gestione dei veicoli continuano a pesare sui bilanci domestici e Bruxelles fa retromarcia sullo stop ai veicoli termici dal 2035, ammettendo le difficoltà del mercato.
Quali impatti ambientali ci si aspetta dal pass unico in termini di riduzione delle emissioni?
La scommessa di Madrid non è solo sociale, ma profondamente ecologica. Secondo le stime del Ministero dei Trasporti spagnolo, il pass unico mira a spostare quote massicce di traffico dall’aereo e dall’auto privata verso la rete ferroviaria e su gomma. I calcoli indicano che il trasferimento modale dai voli domestici a corto raggio verso l’alta velocità e i treni regionali potrebbe abbattere le emissioni di gas serra fino a 150.000 tonnellate di CO2 equivalente all’anno.
Inoltre, la misura incentiva un aumento del tasso di occupazione degli autobus, che oggi viaggiano spesso semivuoti: il governo punta a un incremento del 40% dei passeggeri su gomma “pubblica”, con una conseguente riduzione delle emissioni del settore del 25%. Spingere i pendolari e i viaggiatori d’affari a preferire il treno per le tratte come Madrid-Barcellona – dove il risparmio annuo per un lavoratore potrebbe superare i 1.000 euro – è la chiave per decongestionare le strade e ridurre l’impronta carbonica complessiva del Paese, in linea con gli obiettivi climatici europei.
“Meno Lamborghini, più autobus”
Per quanto storica, la mossa di Madrid non è inaspettata. Il premier Sánchez aveva riassunto e anticipato la linea diversi mesi fa con uno slogan molto efficace: “Meno Lamborghini, più trasporto pubblico”. La filosofia è redistributiva e prevede di tassare chi ha “abbastanza soldi per vivere cento vite” per finanziare servizi essenziali per la classe media e lavoratrice.
La Spagna segue così il modello tracciato dalla Germania con il Deutschlandticket (il biglietto unico da 49 euro), dimostrando che la mobilità integrata a basso costo non è un’utopia, ma una scelta di bilancio. È una strategia che unisce giustizia sociale e transizione ecologica: rendere il trasporto pubblico economicamente irresistibile è l’unico modo per svuotare le strade dalle auto senza imporre divieti impopolari.
Il confronto con l’Italia
Guardando all’Italia, il contrasto è stridente.
7Mentre Madrid lancia l’abbonamento universale, il nostro sistema di trasporto pubblico locale (Tpl) annaspa tra tagli e frammentazione. Non esiste nulla di paragonabile a un titolo di viaggio nazionale: ogni regione, e spesso ogni comune, fa storia a sé, con tariffe in aumento e servizi spesso inadeguati. I dati di Pendolaria 2024 sono impietosi: la sola città di Madrid ha più chilometri di metropolitana (291 km) di tutte le città italiane messe insieme (255 km).
Le associazioni ambientaliste denunciano che le ultime manovre finanziarie in Italia hanno ridotto i fondi destinati al Tpl e alla mobilità sostenibile, scaricando sui comuni l’onere di gestire i disservizi o alzare il prezzo dei biglietti. Se a Madrid si viaggia ovunque con 2 euro al giorno, in Italia quella cifra basta a malapena per una corsa singola in metropolitana a Milano o Roma, senza alcuna integrazione con il resto del Paese.
Il trasporto pubblico in Italia: perché siamo indietro rispetto alla Spagna?
Il divario tra Italia e Spagna non è frutto del caso, ma di decenni di scelte politiche e investimenti divergenti. Mentre la Spagna ha saputo sfruttare i fondi europei del Pnrr per modernizzare e integrare la sua rete – destinando quasi il 10% del totale alla mobilità elettrica e sostenibile – l’Italia sconta un ritardo strutturale cronico.
I dati rivelati da Clean Cities Campaign sono impietosi: le città italiane offrono in media un terzo dei “posti-km” (la capacità complessiva del trasporto pubblico) rispetto alle controparti europee come Madrid, e hanno reti su ferro sette volte meno estese.
A pesare è anche la frammentazione della governance: in Italia il trasporto pubblico locale è gestito da una miriade di aziende regionali e comunali che faticano a dialogare, rendendo tecnicamente e burocraticamente complesso creare un titolo di viaggio unico nazionale.
Inoltre, gli investimenti italiani si sono concentrati storicamente sulle grandi opere infrastrutturali (come l’alta velocità sulla dorsale principale) trascurando il trasporto locale e pendolare, che invece in Spagna è stato potenziato e reso capillare, permettendo oggi questa rivoluzione tariffaria. Senza un potenziamento del Fondo Nazionale Trasporti e una visione d’insieme che superi i confini regionali, l’Italia rischia di restare ferma al palo mentre i vicini corrono.