C’è un modo concreto per migliorare la vita degli italiani: far sì che il lavoro risponda alle esigenze dei lavoratori, senza danneggiare le imprese. Una soluzione win-win che sembra pura utopia e invece è realizzabile, come dimostra l’esperienza di Sace. Il gruppo assicurativo-finanziario italiano partecipato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze ha sperimentato con successo un nuovo modello chiamato Flex4Future che, tra le varie misure, prevede anche la settimana corta.
I risultati ottenuti sono il frutto di misure semplici che, però, sono lontane anni dal mondo del lavoro italiano: il contrasto tra le parti sociali è diventato ruvido, la distanza è apparentemente incolmabile.
Il modello adottato da Sace ci invita a riflettere su quell’avverbio: “apparentemente”. Ecco i risultati ottenuti con un mix di settimana corta, addio alla timbratura e smart working.
Settimana corta e non solo: così Sace ha conquistato i propri dipendenti
Sace ha adottato Flex4Future da gennaio 2024 affidando all’Osservatorio smart working della School of management del Politecnico di Milano il monitoraggio dei risultati, pubblicati a maggio 2025. I dati, raccolti lungo un intero anno, sono eloquenti:
- Il 65% dei dipendenti ha riportato un migliore work-life balance;
- Il 58% si è sentito più responsabile e più capace di gestire obiettivi e attività;
- Il 47% ha riferito un calo dello stress lavorativo;
- Il 51% ha aumentato l’utilizzo dell’Ai generativa;
- La produttività totale è aumentata del 26%.
Come spiega la compagnia sul proprio sito, “i pilastri del modello, sviluppato con l’accordo delle organizzazioni sindacali, sono l’eliminazione dei controlli sulle timbrature e smart working activity-based, a cui si aggiunge la sperimentazione su base volontaria della settimana di 4 giorni”. La specifica ‘activity-based’ per il lavoro agile significa che il dipendente può essere sempre in smart working tranne quando deve fare attività che vanno necessariamente espletate in presenza.
Per le tecnologie innovative è stata attivata una partnership con Microsoft che, a ottobre scorso, ha annunciato un piano di investimento dal valore di 4,3 miliardi di euro per lo sviluppo dell’Ai in Italia.
L’implementazione dell’intelligenza artificiale in un contesto attento alla sostenibilità può dare grandi risultati. Al contrario, se l’Ai viene utilizzata solo per by-passare l’essere umano, l’azienda va incontro a cattive notizie. È il caso di Klarna, il gigante del fintech che è tornato ad assumere gli esseri umani dopo aver puntato (troppo) sull’intelligenza artificiale.
Un nuovo patto sociale
L’equazione è semplice: maggiore è il benessere dei dipendenti, maggiore (e migliore) è la produttività. “Crediamo fortemente nel binomio benessere e produttività come motore di una crescita sostenibile”, ha dichiarato soddisfatta l’Amministratore Delegato di Sace, Alessandra Ricci, che ha aggiunto: “i risultati della ricerca dimostrano che avevamo ragione: dare alle persone il potere di decidere quando, dove e con che intensità lavorare sviluppa l’imprenditorialità, migliora il benessere fisico ma anche emotivo, e quindi aumenta la produttività”.
Italia prima in Europa per stress lavorativo
Il caso di Sace fa ancora più notizia perché arriva in un Paese, l’Italia, primo in Europa per stress lavorativo. Secondo dati Adp Research (“People at work: a global workforce view 2024”), il 64% dei lavoratori italiani soffre di elevati livelli di stress sul lavoro, la percentuale più alta del continente.
Il rapporto Gallup 2025, basato sulla media triennale 2022-2024, conferma questa tendenza: il 49% dei dipendenti italiani sperimenta stress su base quotidiana, molto più della media europea (38%) e di quella globale (40%). Parallelamente, l’engagement, ovvero il coinvolgimento attivo nel proprio lavoro, langue: solo il 10% dei lavoratori italiani si dichiara realmente coinvolto, un dato che posizione l’Italia al 28° posto su 38 Paesi europei, sebbene si sia registrato un lieve miglioramento di due punti rispetto al triennio precedente.
Spesso questi elevati livelli di stressi si traducono in burnout, che riguarda circa 8 lavoratori italiani su 10.
Secondo i dati dell’8° Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale (dati riferiti all’inizio del 2025), il 31,8% dei lavoratori ha sperimentato forme di esaurimento professionale. La situazione è particolarmente critica tra i più giovani: la percentuale di chi ha vissuto sensazioni di burnout sale al 47,7% nella fascia d’età 18-34 anni.
Lo stesso rapporto Censis evidenzia ulteriori problemi:
- Il 73% dei dipendenti vive forme di ansia o stress legate al lavoro;
- Il 76,8% fatica a bilanciare vita privata e professionale;
- Il 75,9% si sente sopraffatto dalle responsabilità quotidiane;
- Il 73,9% percepisce una pressione costante e insostenibile sul posto di lavoro.
Il confine tra casa e lavoro è sempre più fluido generando una condizione chiamata “sindrome da corridoio”.
Cosa insegna l’esperimento di Sace
I risultati ottenuti da Sace dimostrano che un ambiente di lavoro stressante non conviene a nessuno. Eppure, è la normalità del Belpaese, che ne paga le conseguenze anche da un punto di vista demografico.
È stato più volte dimostrato che una maggiore elasticità lavorativa e, più in generale, un ripensamento del rapporto azienda-dipendente può migliorare la vita di milioni di italiani. Per gli aspiranti genitori lo scarso equilibrio tra vita privata e lavoro è uno dei principali ostacoli alla scelta di avere figli.
Questa volta non parleremo di dati (ne trovate molti sul sito di Demografica), ma useremo le parole di Papa Francesco che, novembre 2024, lanciava l’allarme su questo tema: “Il lavoro diventa più stressante. Domando sempre ai genitori giovani, soprattutto ai papà, tu giochi con tuo figlio?‘”. La risposta è: “Ma quando io esco da casa lui dorme e quando torno lui sta dormendo”.
L’altro lato della medaglia è che le donne, in Italia, spesso sono costrette a licenziarsi dopo aver partorito per curare la crescita dei figli. Una condizione lucidamente fotografata dal report “Le Equilibriste – La maternità in Italia 2025”, pubblicato da Save the Children (potete consultarlo qui).
Insomma, c’è tanta strada da fare, ma l’esperimento di Sace è la chiara dimostrazione che le soluzioni ci sono, sono gratuite e non richiedono chissà quali sacrifici alle aziende. Bastano poche, ma coraggiose, scelte per far sì che la situazione migliori senza danneggiare nessuno.
In un mondo che enfatizza i contrasti tra le parti sociali, tra aziende e lavoratori, tra bianco e nero, gli italiani hanno un autentico bisogno di grigio.