Sánchez: “Salari dignitosi non sono estremismo”

Il fenomeno del lavoro povero è in aumento con le annesse ricadute sociali
4 Dicembre 2025
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Il presidente spagnolo Pedro Sanchez (Fotogramma)
Il presidente spagnolo Pedro Sanchez (Fotogramma)

Il premier spagnolo Pedro Sánchez ha rilanciato la centralità dei salari adeguati come pilastro della sostenibilità sociale. Un futuro migliore passa da “salari dignitosi, con case accessibili e con più diritti”, ha affermato il capo del governo spagnolo durante il Consiglio dell’Internazionale socialista a Malta. Le parole di Sánchez si inseriscono in un dibattito sempre più urgente sul futuro del modello sociale europeo, dove la questione retributiva si intreccia con gli obiettivi di sostenibilità definiti dall’Agenda Onu 2030, che include tra i suoi 17 obiettivi il “lavoro dignitoso” e la riduzione delle disuguaglianze.​

Salari e coesione: l’impatto sull’uguaglianza sociale

La posizione del premier spagnolo trova riscontro nei principi Esg, dove la “S” (social) richiede alle imprese rendicontazione su condizioni di lavoro, parità di trattamento e diritti connessi al lavoro secondo gli standard Esrs S1 e S2. La direttiva europea sui salari minimi adeguati, il cui termine di recepimento è scaduto a novembre 2024, stabilisce l’obbligo di garantire che il salario minimo assicuri un tenore di vita dignitoso, la riduzione della povertà lavorativa e una maggiore equità sociale. Il provvedimento è stato approvato con il sostegno di tutti gli Stati membri tranne l’Ungheria.​

Di recente, il premier spagnolo ha prospettato un salario minimo Ue, sostenendo che “un futuro migliore dipende da noi” e dalle scelte delle istituzioni in termini di uguaglianza sociale.

La Spagna rappresenta un caso emblematico: il governo Sánchez ha aumentato il salario minimo del 61% negli ultimi sette anni, portandolo da 735 euro nel 2018 a 1.184 euro mensili nel 2025. Questo incremento ha beneficiato principalmente lavoratori vulnerabili, il 60% dei quali sono donne. Il tasso di disoccupazione spagnolo è sceso al 10,45%, il livello più basso dall’inizio della crisi finanziaria del 2008 e l’economia spagnola, per decenni tra le meno salubri dell’Ue, sta vivendo un exploit senza precedenti.

Il monito di Giorgetti: “I privati facciano la loro parte”

Il tema dei salari adeguati non riguarda solo la Spagna. Anche il ministro dell’Economia italiano Giancarlo Giorgetti, il 24 settembre scoro, ha lanciato un appello diretto ai datori di lavoro, invitandoli a “fare la loro parte e riconoscere ai lavoratori aumenti stipendiali”. Le parole pronunciate a Palazzo Madama durante il dibattito sul Documento di programmazione fiscale evidenziano che la contrattazione collettiva non basta a garantire retribuzioni adeguate in un contesto inflattivo. “Nel pubblico impiego abbiamo recuperato contratti che erano fermi” e ora il settore privato deve adeguarsi, ha spiegato il ministro.​

La richiesta di Giorgetti arriva mentre i dati certificano una contrazione drammatica del potere d’acquisto: nel 2023 l’inflazione è aumentata a una velocità doppia rispetto agli stipendi, con i salari cresciuti del 3,1% mentre l’inflazione reale ha raggiunto il 5,9%. Il presidente Sergio Mattarella ha sintetizzato la gravità della situazione il Primo Maggio 2025: “L’Italia si distingue per una dinamica salariale negativa nel lungo periodo, con salari reali inferiori a quelli del 2008”, unica in Ue insieme alla Grecia.

Il divario europeo e la direttiva sui salari minimi

Tra i 22 Paesi Ue che hanno un salario minimo garantito per legge esistono differenze marcate. Il Lussemburgo mantiene il primato europeo con 2.704 euro mensili lordi, seguito dall’Irlanda con 2.282 euro e dai Paesi Bassi con 2.246 euro. La Germania occupa la quarta posizione con 2.161 euro e ha annunciato aumenti che porteranno il salario minimo a 14,60 euro l’ora entro il 2027. All’estremo opposto si colloca la Bulgaria con 551 euro mensili.​

Cinque Paesi non hanno ancora un salario minimo nazionale: Italia, Danimarca, Austria, Finlandia e Svezia. Mentre i Paesi nordici vantano sistemi di contrattazione collettiva estremamente sviluppati, l’Italia presenta tassi di inosservanza delle tutele salariali superiori all’8% della forza lavoro.

La direttiva europea sui salari minimi, confermata dalla Corte europea lo scorso mese, non impone un importo unico ma stabilisce che il salario minimo deve assicurare un tenore di vita dignitoso. Roxana Mînzatu, vicepresidente esecutiva della Commissione europea per i diritti sociali, ha dichiarato: “La sentenza della Corte rafforza il modello sociale europeo, basato su salari equi e adeguati e su una solida contrattazione collettiva, che porta sia equità sociale che benefici economici”.​

Il fenomeno dei working poor in espansione

La questione salariale si traduce in emergenza sociale attraverso il fenomeno dei “working poor”, i lavoratori che pur essendo occupati vivono sotto la soglia di povertà. Secondo i dati Eurostat 2024, in Italia oltre il 10% dei lavoratori è a rischio povertà, un valore in aumento rispetto all’anno precedente e superiore alla media dell’Unione europea. Nella fascia tra i 16 e i 29 anni il rischio di povertà lavorativa raggiunge l’11,8%, mentre scende al 9,3% tra i 55 e i 64 anni, riflettendo profonde disuguaglianze generazionali.​

Gli occupati con un reddito inferiore al 60% di quello mediano nazionale al netto dei trasferimenti sociali sono stati il 9% nel 2024, in aumento dall’8,7% del 2023, mentre tra i maggiorenni impiegati almeno per metà anno quelli a rischio povertà sono il 10,2%, quasi il triplo della Germania (3,7%) e più della Spagna (9,6%). L’Osservatorio 2025 sulla povertà in Italia di Antoniano conferma questa tendenza: le persone con un’occupazione che si sono rivolte alla rete di Operazione Pane sono aumentate del 4% rispetto al 2024.​

Le disuguaglianze salariali e l’impatto sulla classe media

L’analisi dell’Eurofound sulla disparità di reddito nell’Ue dal 2006 al 2021 evidenzia che la percentuale di persone al di sotto della soglia di povertà è aumentata in due terzi degli Stati membri. Lo Stato sociale svolge un ruolo importante nell’attenuare la disparità del reddito di mercato, riducendola in media del 42% nei vari Paesi, ma il suo indebolimento ha contribuito all’aumento della disparità di reddito in alcuni Stati membri.​

Uno studio dello European Trade Union Institute pubblicato nel 2024 mostra che la disuguaglianza salariale è diminuita leggermente tra i Paesi Ue, dell’11% in media, ma è aumentata in sei dei 25 Stati membri, tra cui Italia e Spagna, dove la disuguaglianza è cresciuta del 36% circa. Il rapporto Censis 2024 commissionato dalla Confederazione dei dirigenti e delle alte professionalità evidenzia che più della metà degli italiani (54,2%) prova un senso di regressione sociale e il 75,1% di coloro che si considerano ceto medio crede che le generazioni future vivranno peggio di quelle attuali.

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