Inquinamento invisibile: microplastiche trovate anche nel cervello umano

Uno studio rileva che i tessuti cerebrali sono l’ultimo avamposto della conquista del nostro corpo da parte delle microplastiche
27 Agosto 2024
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Microplastiche Canva

Il corpo umano è composto al 60% di acqua, mentre il resto rischia di diventare… plastica. Un’esagerazione, certo, ma il problema è serio: secondo un recente studio, infatti, ormai le microplastiche sono ovunque, addirittura nei tessuti cerebrali. “Non c’è luogo che non venga toccato’’, dai mari allo Spazio al corpo umano, afferma con preoccupazione Bethanie Carney Almroth, ecotossicologa presso l’Università di Gothenburg in Svezia.

La recente ricerca, in fase di pre-print e di revisione paritaria, è pubblicata online dai National Institutes of Health ed ha esaminato campioni provenienti da corpi sottoposti ad autopsia presso l’Office of the Medical Investigator di Albuquerque (New Mexico, USA) in due tempi, 2016 e 2024. I risultati, che dovranno essere approfonditi da ulteriori indagini a più ampio raggio, sono preoccupanti ma purtroppo, in fondo, non sorprendenti.

Il cervello infatti è solo l’ultimo avamposto della conquista del nostro corpo da parte delle microplastiche, che erano già state trovate nei polmoni, nella placenta, negli organi riproduttivi, nel fegato, nei reni, nelle articolazioni del ginocchio e del gomito, nei vasi sanguigni e nel midollo osseo. Tutti organi dove schegge e granelli microscopici di plastica – frammenti con un diametro che va da 500 micrometri fino a 1 nanometro – si vanno accumulando nel tempo.

Cervelli di plastica

Ma quello che lo studio condotto in New Mexico evidenzia è che il cervello è l’organo che ha mostrato le maggiori concentrazioni di nano e microplastiche (MNP) rispetto a fegato e reni, con il polietilene come polimero predominante.

Non solo: dal 2016 e il 2014 sono stati anche rilevati aumenti consistenti nella presenza di MNP, pari a circa il 50% in più: le MNP dunque sembrano accumularsi selettivamente nel cervello umano e le loro concentrazioni aumentano nel tempo.

Il che è in linea con quello che sta succedendo nell’ambiente, ormai letteralmente invaso da particelle di plastica più o meno grandi.

In poche parole, il cervello, secondo i ricercatori, è “uno dei tessuti più inquinati dalla plastica mai campionati”. Per rendersi conto della situazione, un dato impressionante su tutti: i campioni di cervello raccolti all’inizio del 2024 contenevano in media circa lo 0,5% di plastica in peso. E ne contenevano in media circa da 10 a 20 volte di più rispetto agli altri organi.

Matthew Campen, tossicologo e professore di scienze farmaceutiche presso l’Università del New Mexico, nonché autore principale dello studio, si è detto ‘scioccato’ dai risultati dell’indagine.

Da dove vengono le microplastiche

La plastica, ormai presente ovunque, è una caratteristica dell’Antropocene, cioè fa indissolubilmente parte dell’attuale epoca geologica, plasmata e trasformata dall’uomo che con le sue attività ha inciso anche sui processi geologici.

Gli esseri umani sono esposti sia alle microplastiche, che si creano dalla progressiva rottura di un pezzo in parti via via più piccole, sia alle sostanze chimiche utilizzate per produrre la plastica. La causa è la dispersione dell’ambiente delle materie plastiche, un inquinamento diffuso che non risparmia niente e nessuno: non l’aria, non l’acqua, e nemmeno animali, piante e alimenti.

La plastica può essere ingerita, inalata o assorbita tramite la pelle, attraverso il cibo, le bevande compresa l’acqua, i tessuti sintetici, le creme, i cosmetici, i giocattoli. L’Associazione Medici per l’Ambiente (ISDE) e la Rete Italiana Medici Sentinella segnalano che il 77% della dispersione di MNP viene dalle famiglie, solo il restante 23% dalle attività economiche. Ognuno di noi quindi ha una grossa responsabilità, ma anche un importante margine di azione.

I danni per la salute

Ma tutta questa plastica che mangiamo e respiriamo, ci farà mica male? Il dubbio è più che lecito, tuttavia gli scienziati non hanno ancora perfettamente messo a fuoco i danni che le MNP provocano agli organismi viventi, oltre che all’ambiente in generale. Un problema ancora discusso è quale quantità sia tollerata dal corpo, e dal cervello, senza che ci siano conseguenze negative. “La dose fa il veleno”, spiega lo studio citando Paracelso, e la domanda è proprio quale sia questa dose. Se da una parte la Food and Drug Administration afferma che “le attuali prove scientifiche non dimostrano che i livelli di MNP rilevati negli alimenti rappresentino un rischio per la salute umana”, tuttavia diversi studi negli anni hanno correlato le microplastiche con patologie e disfunzioni di vario tipo.

In particolare, le ricerche mostrano che la plastica aumenta il rischio di malattie cardiovascolari e di stress ossidativo, che comporta infiammazioni e danni alle cellule. Analisi condotte su animali suggeriscono anche interferenze con la fertilità, alterazioni sul sistema endocrino e quello immunitario, cancro, difficoltà di memoria e apprendimento.

Inoltre, le MNP possono trasportare nel corpo sostanze chimiche tossiche collegate alla plastica come i ftalati, il cui impatto negativo sulla salute è quasi accertato.

Come evitare di fare il pieno di plastica?

Nello studio condotto da Campen, la mancanza di correlazione con l’età del deceduto indica che le variazioni nelle concentrazioni delle MNP tra le persone possa dipendere da fattori genetici, dietetici e di stile di vita.

Anche se è impossibile eliminare del tutto l’esposizione alla plastica, possiamo comunque mettere in pratica piccoli accorgimenti per ridurla al minimo possibile. La Società Italiana di Medicina Interna ha stilato un vademecum ad hoc:

  • diminuire il consumo di plastica monouso e scegliere alternative riutilizzabili – borracce in acciaio inossidabile, contenitori di vetro, borse della spesa in tessuto
  • scegliere abbigliamento in fibre naturali: cotone, lana, viscosa e canapa, rispetto a materiali sintetici come poliestere, poliammide, polipropilene e nylon che rilasciano microplastiche durante la produzione e il lavaggio
  • installare filtri contro le microplastiche nelle lavatrici per catturare le MNP rilasciate dai tessuti durante il lavaggio (non ci sono però prove certe sulla loro efficacia)
  • evitare prodotti cosmetici contenenti microplastiche, accertandosi dall’etichetta che non siano presenti PE (polietilene), PMMA (polimetil metacrilato), PET (.polietilene tereftalato) e PP (polipropilene)
  • prevenire la contaminazione con cibi di plastica: ridurre al minimo l’acquisto di cibi confezionati in imballaggi e contenitori di plastica, scegliendo alternative in vetro, acciaio inossidabile, silicone o sacchetti di carta. Anche in frigorifero, usare il meno possibile contenitori di plastica e pellicole.
  • consumare alimenti freschi e integrali: gli alimenti processati potrebbero contenere livelli più alti di microplastiche a causa delle modalità di lavorazione e degli imballaggi
  • acquistare prodotti ittici provenienti da fonti sostenibili

Inoltre possiamo:

  • ridurre/eliminare l’uso della plastica nella preparazione del cibo, in particolare quando si cuoce nel microonde: il calore proveniente da lavastoviglie e microonde può rilasciare MNP
  • bere acqua del rubinetto invece di quella in bottiglia
  • spolverare e pulire spesso per prevenire l’accumulo di polvere, che è contaminata dalla plastica
  • evitare tessuti sintetici, che perdono fibre in MNP per usura, attrito, luce diretta ecc
  • utilizzare filtri HEPA per l’aspirapolvere

Infine, è fondamentale riciclare. In Europa, secondo dati diffusi a marzo dall’Europarlamento, quasi un terzo dei rifiuti in plastica viene riciclato. Per avere idea delle dimensioni del problema, basti pensare che la produzione di plastica è aumentata esponenzialmente in pochi decenni, passando dal milione e mezzo di tonnellate del 1950 ai 359 milioni di tonnellate del 2018. Solo nella prima metà del 2020, a causa del Covid, la produzione è fortemente calata, per poi riprendere a pieno ritmo già nella seconda metà dell’anno. Di conseguenza questo tipo di scarto è esploso, con tutte le conseguenze annesse.

Occorre perciò “dichiarare un’emergenza globale”, concludono gli autori dello studio condotto in New Mexico: sarebbe un primo passo per affrontate l’inquinamento da plastica in modo incisivo.

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