La sostenibilità entra sempre di più nelle scelte degli italiani. Nove cittadini su dieci desiderano ridurre la propria impronta ecologica, e più di nove consumatori su dieci apprezzano la trasparenza delle aziende riguardo alle strategie di sostenibilità. Fin qui, niente di strano, considerando che queste preferenze non richiedono che il consumatore faccia un vero e proprio sacrificio.
Gli italiani e il greenwashing
Poi però, i dati della ricerca “Il cittadino consapevole: il valore del trust nelle scelte di consumo sostenibile”, il quarto report dell’Osservatorio Deloitte sui trend di sostenibilità e innovazione, si fanno particolarmente interessanti. Secondo l’indagine, 6 consumatori italiani su 10 (il 59%) interrompono o limitano i propri acquisti a causa del greenwashing.
Più nello specifico (risposte sovrapponibili, ciascun intervistato può reagire con più modalità):
- Il 17% interrompe completamente l’acquisto di prodotti e servizi dall’azienda coinvolta;
- il 42% limita gli acquisti futuri;
- Il 26% dichiara di aver reso almeno una volta un prodotto a causa del greenwashing;
- Il 21% ha azionato richieste di risarcimento (21%);
- Il 38% lascia recensioni o fa un passaparola negativo (36%);
- Il 29% si rivolge alle associazioni di categoria (29%);
- Il 29 condivide le lamentele attraverso il servizio clienti (29%).
i settori più esposti al greenwashing
Gli italiani fiutano il greenwashing attraverso diverse pratiche:
- omissione di informazioni rilevanti sulle caratteristiche sostenibili del prodotto o servizio (30% dei casi);
- enfatizzazione di una singola e non cruciale caratteristica sostenibile (26%);
- uso di un linguaggio vago e approssimativo nella descrizione del prodotto o servizio (24%);
- impiego di termini che suggeriscono l’esistenza di una certificazione inesistente (24%).
I settori maggiormente esposti al greenwashing sono quelli dei beni di consumo, con il comparto alimentare in testa (29%), seguito dal settore moda (15%). La maggior parte dei casi di greenwashing viene identificata attraverso ricerche online (35%) o sui social media (26%). Altri canali di identificazione includono il parere di esperti (24%), il supporto di Ong (21%) e associazioni di categoria (20%), e i media tradizionali (20%).
Il 78% degli intervistati esprime maggiore fiducia verso le aziende che condividono pubblicamente i propri obiettivi Esg (Environmental, Social, and Governance).
“Gli italiani sono sempre più attenti al tema della sostenibilità e la loro fiducia verso le aziende rappresenta un tema cruciale nel contesto di mercato attuale”, commenta Stefano Alfonso, Growth Leader di Deloitte Central Mediterranean che aggiunge: “Basata su responsabilità reciproca e consapevolezza ambientale, la relazione tra consumatori e brand non è solo un simbolo di autenticità e impegno verso un futuro sostenibile, ma anche una chiave per il successo delle organizzazioni”.
La sostenibilità vale solo se trasparente
Le basi del marketing individuano quattro fasi cruciali nel rapporto tra aziende e consumatori: farsi conoscere, far acquistare, far aumentare la spesa media (spesso aumentando il numero di beni o servizi venduti) e fidelizzare, ovvero trasformare il cliente da occasionale ad abitudinario.
Il prezzo resta un aspetto fondamentale nelle scelte dei consumatori, ma si esaurisce al breve termine, alla scelta isolata. L’impegno verso pratiche sostenibili, invece, è un elemento chiave nella costruzione di relazioni solide con i consumatori, come suggerisce oltre il 40% del campione intervistato. Un cliente fidelizzato, inoltre, è anche disposto a spendere di più perché crede nelle qualità del prodotto/servizio e del brand. Sul punto, la ricerca Deloitte mostra che il 71% dei cittadini rafforza la fiducia in una marca se questa adotta una posizione pubblica condivisa su temi Esg, mentre il 51% degli italiani dichiara che la fiducia diminuirebbe se la posizione dell’azienda non fosse condivisa.
“In un momento storico di grande incertezza e complessità,” spiega Alfonso, “la fiducia è indispensabile nella relazione tra un brand e i suoi clienti. Una marca in grado di ispirare fiducia sarà maggiormente in grado di creare relazioni stabili, durature, coinvolgenti e di valore per i propri clienti. In questo contesto, emerge la centralità della sostenibilità quale driver strategico per le aziende: infatti, queste non devono limitarsi alle sole dichiarazioni d’intenti, ma devono integrarla in modo organico nel proprio core business, ripensando la governance, i processi e la relazione con gli stakeholder”.
Insomma, se per anni le aziende hanno potuto più o meno fingere sulle loro azioni sostenibili, ora la stessa trasparenza diventa oggetto di valutazione da parte dei consumatori, sempre più smaliziati di fronte alla comunicazione dei brand.
Greenwashing, come si informano gli italiani?
La conseguenza di questo contesto è che i prodotti e i servizi sostenibili sono sempre più diffusi tra gli italiani. Negli ultimi sei mesi, poco più della metà degli intervistati ha dichiarato di aver acquistato prodotti sostenibili, e tra questi 3 su 4 hanno aumentato la frequenza degli acquisti sostenibili rispetto all’anno prevedente.
Il trend è in costante aumento e oltre due terzi di chi non ha effettuato acquisti green dichiara che in futuro almeno li prenderà in considerazione.
La ricerca Deloitte dimostra che per reperire informazioni sulla sostenibilità dei prodotti o servizi, i consumatori italiani utilizzano vari canali. Quasi il 60% degli intervistati si affida principalmente all’etichetta del prodotto, seguita dalle certificazioni (52%). Altri canali informativi includono i siti aziendali ufficiali (32%), le recensioni online su siti specializzati (32%), l’opinione di esperti (29%) e i media tradizionali (27%).
Direttiva greenwashing
Più della metà degli italiani (55%) ritiene di non essere adeguatamente tutelato dalla crescente diffusione del greenwashing. La responsabilità di garantire una maggiore tutela è condivisa tra vari soggetti: aziende (55%), istituzioni nazionali come il governo (28%) e autorità amministrative indipendenti (26%), e istituzioni sovranazionali come l’Unione Europea (26%).
Una risposta concreta è arrivata proprio dal Parlamento europeo che a marzo scorso ha approvato la Direttiva Green Claims (“Dichiarazioni ambientali”). Anche se quattro mesi fa è stato approvato dal Parlamento uscente, il provvedimento è vincolante per la nuova legislatura europea. La Direttiva Green Claims mira a porre fine alla diffusione di dichiarazioni ecologiche fuorvianti e a promuovere pratiche di sostenibilità autentiche. Con questo voto, l’Europarlamento ha inviato un chiaro segnale alle imprese affinché assumano un approccio più responsabile e trasparente nei confronti dei consumatori, in modo che la transizione verso un’economia verde e sostenibile non sia solo di facciata (qui per approfondire cosa prevede la direttiva Green Claims).
Italiani poco soddisfatti
Guardando al profilo nazionale e imprenditoriale, meno di un partecipante su cinque all’indagine Deloitte si dichiara soddisfatto del contributo di aziende e governo nella lotta al greenwashing. “Secondo i cittadini italiani, sono tre le principali aree d’intervento su cui il governo e le istituzioni nazionali dovrebbero agire per contrastare il fenomeno del greenwashing e garantire una miglior tutela del consumatore finale,” conclude Stefano Alfonso di Deloitte.
“In primo luogo, attraverso un impianto normativo efficace e aggiornato che tuteli e incentivi scelte d’acquisto consapevoli. In secondo luogo, attraverso una comunicazione più efficace e una maggiore educazione sul tema del greenwashing, nonché sugli strumenti disponibili a tutela. Infine, attraverso una crescente responsabilizzazione delle aziende, fondata sulle tecnologie digitali, rendendo le loro affermazioni sulla sostenibilità non solo verificabili ma anche vincolanti.”