Tim Friede, un ex meccanico di camion del Wisconsin oggi 57enne, si è fatto mordere volontariamente da serpenti velenosi 202 volte nell’arco di 18 anni. Questa scelta estrema, motivata inizialmente dalla necessità di proteggersi come collezionista di serpenti, ha finito per trasformarsi in un contributo potenzialmente rivoluzionario alla medicina d’emergenza.
Tim Friede, la scienza e una passione pericolosa
Tutto è iniziato quando Friede, appassionato collezionista di serpenti, ha deciso di sviluppare un’immunità personale per proteggersi dai rischi del suo hobby. Senza alcuna formazione scientifica, ha avviato un processo di auto-immunizzazione che lo ha portato a subire 202 morsi e a iniettarsi 654 dosi di veleno estratte dai suoi stessi animali. “Volevo spingermi il più vicino possibile alla morte, fino al punto in cui mi trovo praticamente in bilico, e poi tirarmi indietro”, ha raccontato Friede.
Il metodo utilizzato da Friede consisteva nell’esporsi gradualmente a dosi crescenti di veleno provenienti da diverse specie di serpenti. Questo approccio, estremamente rischioso, gli ha permesso di sviluppare nel tempo un’immunità a più di una dozzina di serpenti velenosi, tra cui alcuni dei più letali al mondo: mamba neri, cobra egiziani, taipan, serpenti a sonagli e serpenti corallo.
Un percorso segnato da incidenti e rischi mortali
In un’occasione particolarmente rischiosa, fu morso due volte nell’arco di un’ora: prima da un cobra egiziano e poi da un cobra monocolo. Questa doppia esposizione si rivelò eccessiva anche per il suo sistema immunitario già allenato, portandolo al coma per quattro giorni. “Praticamente sono andato in arresto cardiaco e sono morto”, ha raccontato. “Non è stato divertente. Avevo accumulato abbastanza immunità per un morso, ma non per due. Ho completamente sbagliato”.
Nonostante i rischi evidenti, Friede ha continuato il suo pericoloso esperimento, descrivendo ogni morso come “doloroso, come una puntura d’ape moltiplicata per cento”. Ha documentato le sue esperienze su YouTube, avvertendo gli spettatori di non imitare il suo comportamento con messaggi come: “Non guardate questo a meno che non vogliate vedere un uomo morso da un taipan della Papua Nuova Guinea e da un mamba nero in rapida successione”.
L’incontro con la scienza ufficiale
La svolta nella storia di Friede è arrivata nel 2017, quando l’immunologo Jacob Glanville dell’azienda biotecnologica Centivax lo contattò dopo aver letto la sua storia sui giornali. “Potrebbe essere una domanda imbarazzante, ma mi piacerebbe davvero ricevere un po’ del tuo sangue”, gli disse Glanville. La risposta di Friede fu emblematica: “Aspettavo questa chiamata da così tanto tempo”.
Quello che rendeva il sangue di Friede così prezioso era la presenza di un assortimento unico di anticorpi, sviluppati in risposta all’esposizione ripetuta a veleni di diverse specie. Questi anticorpi si sono rivelati capaci di neutralizzare le neurotossine di ben 19 specie di serpenti considerate tra le più letali al mondo dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Verso un antidoto universale?
Grazie alla collaborazione tra Friede e il team di Glanville, gli scienziati di Centivax hanno potuto studiare questi anticorpi speciali e sviluppare un potenziale antidoto universale contro i morsi di serpente. Uno degli anticorpi di Friede, denominato Centi-LNX-D9, ha dimostrato particolare efficacia negli esperimenti di laboratorio, fornendo “una protezione ampiamente neutralizzante contro il veleno di cobra monocolo, mamba nero, serpente di mare bocca gialla, cobra egiziano, cobra del Sudafrica, cobra indiano e cobra reale”.
Questa scoperta rappresenta un potenziale punto di svolta nella lotta contro gli avvelenamenti da morso di serpente, che secondo l’Oms causano ogni anno tra le 81.000 e le 138.000 vittime e fino a 400.000 disabilità permanenti. Glanville spera di poter arrivare alla commercializzazione del prodotto in circa cinque anni, sotto forma di siringhe pronte da somministrare, conservabili a temperatura ambiente nelle cliniche mediche sul campo.
Un’alternativa ai metodi tradizionali
L’approccio sviluppato grazie al sangue di Friede rappresenta un’innovazione significativa rispetto ai metodi tradizionali di produzione degli antidoti. Attualmente, gli antiveleni vengono creati raccogliendo gli anticorpi da pecore o cavalli che sono stati ripetutamente esposti al veleno di una singola specie di serpente. Questo spiega perché gli antidoti disponibili siano spesso specifici per una determinata specie o regione, rendendo difficile la preparazione di un kit di pronto soccorso universale.
Inoltre, poiché gli anticorpi tradizionali non provengono da esseri umani, esiste sempre il rischio di reazioni avverse nei pazienti trattati. Un antidoto basato su anticorpi umani potrebbe ridurre significativamente questo rischio, offrendo un trattamento più sicuro ed efficace.
Cosa rischia chi si fa mordere dai serpenti
È fondamentale sottolineare che l’esperimento di Friede, per quanto abbia portato a risultati scientificamente interessanti, rappresenta un comportamento estremamente pericoloso che nessun medico consiglierebbe mai. L’auto-envenomazione ha ripetutamente messo a rischio la sua vita, portandolo in diverse occasioni vicino alla morte.
Senza una supervisione medica adeguata e senza le conoscenze scientifiche necessarie, Friede ha corso rischi enormi. Il fatto che sia sopravvissuto e abbia sviluppato un’immunità è più un caso fortunato che un risultato prevedibile. La sua esperienza non deve in alcun modo essere considerata replicabile o consigliabile.
Una collaborazione insolita per il futuro della medicina
Oggi, Tim Friede ricopre il ruolo di direttore di erpetologia (dal greco “herpein” che significa “strisciare”) è una branca della zoologia che studia i rettili e gli anfibi presso Centivax[5], trasformando la sua passione rischiosa in un contributo formale alla ricerca scientifica. La partnership tra un immunologo professionista e un ex meccanico appassionato di serpenti rappresenta un esempio insolito di come la curiosità personale, per quanto espressa in modi estremi, possa talvolta aprire strade inaspettate per la scienza.
Se il progetto avrà successo, l’antidoto universale sviluppato grazie al sangue di Friede potrebbe salvare decine di migliaia di vite ogni anno, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo dove l’accesso a trattamenti specifici è estremamente ridotto.