Aumentano le Pmi europee che investono in decarbonizzazione, Italia al top per consapevolezza

Più investimenti, ma diminuiscono le aziende che la vedono come un’opportunità
6 Giugno 2024
5 minuti di lettura
Riunione dei manager
Obiettivi di decarbonizzazione delle Pmi

Il 17% delle piccole e medie imprese Ue investe oltre il 10% del proprio capitale annuale in piani strutturati di decarbonizzazione. Un risultato incoraggiante, ma con luci e ombre quello che emerge dal rapporto “Argos – BCG Climate Transition Barometer 2024” di Argos Wityu e Boston Consulting Group che riconosce agli imprenditori italiani la maggiore sensibilità sul tema.

Le Pmi italiane, infatti, sono quelle più attenti alla riduzione delle emissioni nel panorama europeo, con il 73% delle aziende che attribuiscono grande rilevanza a questo obiettivo.

Più in generale, il rapporto evidenzia una crescita degli investimenti green, ma anche il contestuale calo delle aziende che vedono un’opportunità nella decarbonizzazione. Vediamo come si conciliano questi due aspetti.

Il ruolo delle Pmi nella decarbonizzazione

Le Pmi rappresentano una parte significativa del Pil europeo e ancora di più del tessuto economico italiano e sono fondamentali per raggiungere gli obiettivi degli Accordi di Parigi. Infatti, fino a due terzi delle emissioni di gas serra dell’Ue sono generate dalle piccole e medie imprese. Nonostante questo, spesso il loro ruolo nella lotta al cambiamento climatico è trascurato e le normative si riferiscono principalmente alle grandi imprese, anche perché sono le più pronte economicamente e finanziariamente ad affrontare il cambiamento.

“Sebbene il percorso verso la decarbonizzazione presenti sfide significative, è incoraggiante osservare gli sforzi delle aziende italiane per la transizione. Dimostrano consapevolezza diffusa e impegno concreto, nonché la capacità di essere leader della sostenibilità. È essenziale che le politiche nazionali ed europee continuino a supportare questi sforzi, fornendo le risorse e gli incentivi necessari,” ha spiegato Ferrante Benvenuti, Partner di BCG. “L’attuale contesto di incertezze geopolitiche ed economiche richiede un equilibrio tra l’adozione di soluzioni sostenibili e la garanzia di un’autonomia energetica stabile, equilibrio cruciale per mantenere la competitività e la sicurezza energetica del nostro Paese.”

I settori e i Paesi analizzati

L’analisi condotta a marzo 2024 ha coinvolto oltre 700 Pmi leader in Francia, Italia, Germania, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo, che operano in settori critici per la decarbonizzazione tra cui:

  • quelli molto energivori;
  • trasporti e logistica;
  • costruzioni;
  • chimico;
  • agroalimentare;
  • commercio al dettaglio ed e-commerce.

Emerge sempre la necessità di conciliare istituzioni e aziende nel percorso di decarbonizzazione. Jean Pierre Di Benedetto, Managing Partner di Argos Wityu in Italia, sottolinea l’importanza di supportare le Pmi nella riduzione della CO2 nei loro processi: “Il nostro fondo Argos Climate Action investe nelle Pmi, aiutandole a ridurre le emissioni sulla base dei nostri modelli proprietari e dell’esperienza maturata in Europa. Così, allineiamo i nostri interessi legando parte delle commissioni di performance al raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione.”

Investimenti crescenti ma meno ottimismo

In base ai risultati del rapporto “Argos – BCG Climate Transition Barometer 2024”, l’85% dei dirigenti delle Pmi europee considera la transizione verso la decarbonizzazione importante o cruciale.

Quest’anno, la consapevolezza è accompagnata da una maggiore maturità delle aziende: il 17% dichiara di aver investito oltre il 10% del proprio capitale annuale in strategie strutturate per la decarbonizzazione. Nel 2023, le aziende che oltrepassavano questa soglia erano l’11%. La quota di aziende che non ha ancora avviato nessuna iniziativa è scesa dal 27% al 22% in un anno.

Paradossale la situazione dell’Italia che perde 13 punti percentuali ma resta al primo posto in termini di percezione della decarbonizzazione come opportunità, idea condivisa dal 73% delle Pmi italiane. Il calo è dovuto probabilmente all’incertezza economica e geopolitica, ma il Belpaese resta primo in questo indicatore perché anche in Francia, seconda in classifica, sono diminuite le imprese che accolgono la decarbonizzazione come un’opportunità (67%, 6 punti percentuali in meno rispetto all’anno scorso).

Al contrario, aumenta la fiducia nella decarbonizzazione in Germania (68%) e nei Paesi del Benelux (62%), cresciuta rispettivamente di 5 e 2 punti percentuali.

I compensi dei manager

È come se negli ultimi mesi l’attenzione Esg sia passata dall’essere una priorità dei manager, ad essere una priorità dell’azienda. In mezzo, si è venuto a creare un importante ponte economico per le aziende italiane: già il Rapporto Consob 2022 sulla Rendicontazione non finanziaria delineava una crescente integrazione tra sostenibilità e finanza, elemento chiave per rendere la transizione ecologica non solo auspicabile, ma reale.

Come riportato dalla Commissione nazionale per le società e la borsa, nel 2022 i fattori Esg hanno concorso a determinare i compensi degli amministratori delegati in 127 società con azioni ordinarie negoziate sul mercato Euronext Milan, pari al 58,5% del totale, un incremento dell’11,5% rispetto alle 106 del 2021.
A premiare i dirigenti delle quotate è stata l’attenzione ai questi elementi: capitale umano, sicurezza sul lavoro, soddisfazione dei clienti, innovazione (fattori sociali); riduzione delle emissioni di CO2, economia circolare, gestione dei rifiuti, energie rinnovabili (fattori ambientali) e l’avanzamento negli indici e nei rating Esg o l’aumento dei prodotti Esg offerti dalla società (fattori di governance).

Negli anni, anche i lavoratori in ruoli non dirigenziali hanno aumentato le loro conoscenze in ambito Esg, sia per curiosità personale che tramite programmi di formazione ad hoc organizzati dalle aziende.

Nel 2024 cosa traina le Pmi ad aumentare gli investimenti Esg?

Quali sono i principali driver della transizione per le Pmi

Occorre una premessa: gli investimenti in decarbonizzazione variano tra i diversi settori e i sei Paesi analizzati.
A livello europeo, il numero di Pmi che investono nella decarbonizzazione è aumentato di 5 punti nel 2024, passando dal 38% al 43%.

I dirigenti dichiarano di essere stati incentivati da questi fattori:

  • regolamentazione (72%) e in tal senso va l’impegno green dell’Unione europea, spesso al centro di accesi dibattiti tra le forze politiche;
  • l’aumento dei prezzi dell’energia (62%);
  • la crescente pressione di alcuni clienti (56%, un aumento di 5 punti rispetto al 2023), in particolare nel settore B2B dove le grandi aziende richiedono sempre più sforzi di decarbonizzazione ai propri fornitori. Sul punto, giova ricordare la recente indagine SumUp che mostra come i consumatori si allontanino da alcune imprese anche per motivi legati al climate change.

C’è poi da considerare il principio del costo-opportunità che appartiene al DNA di ogni vero imprenditore. La paura, confermata da alcune ricerche, è che non decarbonizzare costi di più di decarbonizzare con inevitabili ricadute sull’affidabilità e la solidità dell’impresa.

Tuttavia, la media europea si basa su realtà molto diverse tra loro. Se la consapevolezza sulla necessità di decarbonizzare è diffusa, non si può dire lo stesso sugli investimenti. Il barometro mostra infatti una crescente divergenza delle dinamiche di investimento tra i Paesi: aumenti in Francia (+12 punti percentuali) e Benelux (+10 punti percentuali) rispetto al 2023, mentre in Italia si osserva una diminuzione di 4 punti percentuali.

La dinamica di investimento è più accentuata in alcuni settori: la percentuale di PMI che dichiarano di aver investito “fortemente” o “significativamente” nella decarbonizzazione aumenta nei settori dell’agricoltura e dell’alimentazione (+14 punti rispetto al 2023), della distribuzione (+9 punti), dei trasporti e della logistica (+7 punti), mentre le aziende del settore delle costruzioni (-2 punti) o della chimica (+2 punti) si mostrano più prudenti.

Principali vantaggi e svantaggi della transizione

Guardare l’altro lato della medaglia significa anche capire quali sono i vantaggi che le Pmi europee si aspettano da un rinnovato approccio Esg. Dai risultati di ”Argos – BCG Climate Transition Barometer 2024” emerge che i principali vantaggi per le piccole e medie imprese dei sei Paesi Ue analizzati sono:

  • l’efficienza energetica e la riduzione dei costi (58%, +4% rispetto al 2023);
  • la possibilità di conquistare nuove quote di mercato (54%, +3%);
  • la possibilità di attrarre nuovi talenti (40%, +15%).

Tuttavia, le Pmi affrontano diverse sfide, a partire dalla carenza di risorse interne, segnalata dal 46% delle aziende. Il 41% delle Pmi considera le regolamentazioni, come la direttiva Csrd, essenziali per strutturare il percorso verso la decarbonizzazione, ma molte aziende con meno di 250 dipendenti non sono ancora pronte per queste normative. Addirittura, più di un’azienda su quattro (28%) tra quelle sotto questa soglia di dipendenti neppure conosce la Csrd, che verrà applicata a partire dal 2026.

Si pone quindi un problema di conoscenza delle norme e il ruolo delle istituzioni. A chi bisogna attribuire maggiori competenze per la transizione, agli Stati membri o all’Unione europea? Domande che troveranno importanti risposte nelle elezioni del Parlamento europeo che iniziano domani con il voto degli olandesi e terminano domenica prossima (8-9 giugno in Italia). Intanto, come emerge dall’approfondita indagine di Polling Europe, solo un cittadino su europeo su quattro ritiene che la transizione energetica e la green economy siano una priorità dell’Unione europea.

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