Per molti, quello che Klarna vuole fare con l’intelligenza artificiale è la rappresentazione concreta della più grande paura su questa tecnologia: l’Ai ci ruberà il lavoro?
Sì, potranno rispondere gli oltre 1.500 dipendenti che la fintech svedese specializzata nei pagamenti rateizzati sugli acquisti online vuole rimpiazzare proprio con l’Ai. L’azienda, in perdita ma prossima alla quotazione in borsa, ha annunciato che intende rimpiazzare con l’intelligenza artificiale metà dei dipendenti, già passati da 5.441 a 3.800 nell’ultimo anno.
L’adozione dell’intelligenza artificiale nelle aziende non è più solo una questione di efficienza operativa; sta trasformando radicalmente il mercato del lavoro. Sempre più spesso, le imprese scelgono di sostituire dipendenti umani con sistemi automatizzati, in particolare nei settori legati al servizio clienti, marketing e gestione dei dati. Questa tendenza, alimentata dalla promessa di riduzione dei costi e aumento della produttività, solleva interrogativi sul futuro del lavoro.
Klarna sostituisce i dipendenti con l’Ai
Klarna, fondata nel 2005, ha recentemente adottato l’Ai come parte centrale della sua strategia di riduzione dei costi. Il CEO, Sebastian Siemiatkowski, ha apertamente elogiato questa tecnologia per la sua capacità di sostituire numerosi dipendenti, sostenendo che l’automazione può svolgere il lavoro di centinaia di persone ma con maggiore efficienza. Già nel 2023, l’azienda ha licenziato 700 persone, circa il 10% della sua forza lavoro, attribuendo queste riduzioni all’efficacia dei nuovi sistemi di Ai implementati. Questo cambiamento ha contribuito a un notevole aumento del fatturato medio per dipendente e a una crescita significativa del fatturato negli Stati Uniti.
Il CEO è entusiasta “Il nostro assistente Ai – dice Siemiatkowski – svolge il lavoro di 700 dipendenti riducendo il tempo medio di risoluzione dei problemi da 11 a 2 minuti e mantenendo gli stessi standard di soddisfazione dei clienti”.
Anche per effetto dei licenziamenti, l’azienda ha portato il fatturato annuo medio a crescere da 400 mila a 700 mila dollari in un anno e registrato una crescita del 93% negli Usa. Ora per il CEO è arrivato il momento di intende ulteriormente il personale perché “non solo possiamo fare di più con meno, ma possiamo fare molto di più con meno”. Il piano di licenziamenti non è ancora calendarizzato ma l’intento, dichiarato al Financial Times, è di impiegare in totale 2 mila persone circa nei prossimi anni. Il caso di Klarna offre anche uno scenario interessante sui settori più esposti al “rischio sostituzione”: nell’azienda fintech, saranno sostituiti con l’intelligenza artificiale gli impiegati nei servizi clienti e di marketing, mentre gli ingegneri e figure con profili specifici rimarranno forza da attrarre.
Nonostante l’ottimismo mostrato da Siemiatkowski, la decisione di Klarna di puntare sull’intelligenza artificiale ha suscitato critiche, soprattutto per l’impatto sui lavoratori e per le implicazioni di lungo termine di un’azienda che si affida sempre più a sistemi automatizzati. La direzione intrapresa da Klarna è sintomatica di un cambiamento più ampio nel settore fintech e non solo, dove l’Ai sta diventando una forza trainante, con conseguenze non solo per i lavoratori, ma anche per i consumatori e la società nel suo complesso.
L’intelligenza artificiale prende il posto dei lavoratori
Le aziende stanno rapidamente adottando l’Ai per rimpiazzare il personale in una vasta gamma di ruoli. Molti processi ripetitivi, come la gestione delle richieste dei clienti, la moderazione dei contenuti online e l’analisi dei dati, sono ora automatizzati grazie a sistemi avanzati di machine learning. Questo ha portato a una diminuzione del numero di impiegati necessari per svolgere tali compiti, con alcune aziende che segnalano riduzioni della forza lavoro fino al 50%. Le tecnologie AI, infatti, non solo riducono il tempo necessario per completare determinate attività, ma sono anche in grado di mantenere standard di qualità e soddisfazione del cliente simili, se non superiori, a quelli umani.
Molte aziende stanno seguendo un percorso simile a quello di Klarna, che desta più scalpore per le dimensioni dell’azienda e dei tagli al personale.
Implicazioni future e reddito universale
La sostituzione dei lavoratori con l’Ai rappresenta una tendenza che non sembra destinata a rallentare. Se da un lato offre alle aziende la possibilità di ridurre i costi operativi e aumentare la produttività, dall’altro pone serie questioni etiche e sociali.
La sfida per le aziende sarà trovare un equilibrio tra l’adozione di tecnologie avanzate e la responsabilità sociale nei confronti dei propri dipendenti. Mentre alcuni vedono nell’automazione un inevitabile progresso, altri temono un futuro in cui l’AI possa erodere la dignità del lavoro umano, portando a una crescente disoccupazione e a disuguaglianze sociali sempre più marcate.
In questo contesto si inserisce la proposta di reddito universale rilanciata da Elon Musk, ma anche da personalità di orientamento opposto al suo come l’imprenditore e politico democratico newyorkese Andrew Yang. Quest’ultimo, fondatore dell’organizzazione non-profit Venture for America, è un convinto sostenitore del reddito universale, detto anche Universale Basic Income (Ubi), soluzione che propone almeno dal 2018, quando nessuno parlava ancora di intelligenza artificiale. La soluzione, tuttavia, non è priva di critiche e criticità.
L’idea rilanciata dal Ceo di Tesla, recentemente finito nel ciclone per le dichiarazioni shock nei confronti della figlia transgender, è quella di corrispondere 1.000 dollari al mese a tutti, a prescindere dalla situazione economica di ciascuno, anche se per ora la cifra è del tutto indicativa.
Secondo Yang, i benefici di questa forma di reddito base universale includono “persone più sane, persone meno stressate, persone meglio istruite, comunità più forti, più volontariato, più partecipazione civica. Non vi è burocrazia associata perché non è necessario verificare se le situazioni cambiano”.
Citando le previsioni del Roosevelt Institute, Yang sostiene che il reddito di universale “creerebbe fino a 2 milioni di nuovi posti di lavoro nelle comunità [americane]”, sostenuti dalla possibilità di realizzare i propri progetti. L’idea di base è di fornire una sicurezza finanziaria universale, riducendo la povertà e incentivando una maggiore libertà individuale nella scelta del percorso di vita.
Ancora più netta la posizione di Elon Musk che intervenendo a Viva Tech, la conferenza sulle nuove tecnologie che si è svolta a maggio in Francia, ha risposto così ad alcune domande del pubblico: “In uno scenario benigno, in uno scenario positivo, probabilmente nessuno di noi avrà un lavoro. Ci sarà un reddito universale alto, non un reddito di base universale. Non ci sarà scarsità di beni o servizi. Penso che questo sia lo scenario più probabile, c’è l’80% circa di probabilità che accada tutto questo, a mio parere”.
Un aiuto contro la crisi demografica e di competenze?
L’ingente rimpiazzo dei dipendenti con l’Ai da parte di Klarna rinvigorisce la frangia degli scettici, anche se in materia di Ai serve equilibrio. La stessa sostituzione del personale potrebbe essere un’ancora di salvezza in quei Paesi, come l’Italia, dove il personale è sempre meno sia per motivi demografici, che di competenze richieste dal mercato.
Secondo lo studio dell’agenzia delle Nazioni Unite, ‘Generative AI and Jobs: un’analisi globale dei potenziali effetti sulla quantità e qualità del lavoro’, la maggior parte dei posti di lavoro e dei settori industriali è solo parzialmente esposti all’automazione. Il rapporto spiega che è più probabile che molti lavori vengano integrati piuttosto che sostituiti dalle Ai generative come ChatGPT, Bard e Perplexity. Pertanto, l’impatto di questa tecnologia probabilmente non sarà la distruzione di posti di lavoro, ma un radicale cambiamento nella qualità dello stesso, in particolare sotto il profilo dell’intensità e dell’autonomia.
Dello stesso tenore è lo studio dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo) pubblicato il 22 agosto scorso, secondo cui l’Ia generativa ha maggiori probabilità di aumentare i posti di lavoro anziché distruggerli, automatizzando alcune mansioni piuttosto che sostituendole completamente.
Bisogna poi considerare le scelte delle aziende. Sul finire del 2023, solo il 6,9% delle piccole aziende italiane utilizzava i robot per agevolare i processi produttivi, e appena il 5,3% delle piccole e medie imprese aveva adottato sistemi di intelligenza artificiale. Sullo sfondo la paura che l’uomo venga sostituito in toto, come si può percepire dal rapporto di Confartigianato sul tema secondo cui il 33% dei posti di lavoro italiani (oltre 8,4 milioni) sarebbe minacciato dalla diffusione dell’intelligenza artificiale.