C’è una plastica che non galleggia nei mari, non si vede nelle campagne e non viene immortalata nelle immagini shock degli oceani soffocati. È una plastica silenziosa, nascosta, apparentemente innocua. Vive in fondo a un cassetto, dimenticata dietro una libreria, annidata in qualche scatola di vecchi cavi e accessori inutilizzati. Eppure, il suo impatto ambientale è tutt’altro che trascurabile. In occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente 2025, celebrata oggi 5 giugno con il tema #BeatPlasticPollution (sconfiggere l’inquinamento da plastica), si accende un riflettore su una forma di inquinamento tanto pervasiva quanto sottovalutata: quella generata dai piccoli dispositivi elettronici di uso quotidiano. Il messaggio è chiaro: la plastica è ovunque. Anche dove non la vediamo. E combatterla significa partire proprio da lì.
Gli oggetti molto ‘plastici’ che non ti aspetti
Non serve immaginare isole di rifiuti galleggianti nell’oceano per comprendere l’impatto della plastica sulla nostra vita. Basta aprire un cassetto qualsiasi in casa. Secondo Ecolight, consorzio nazionale impegnato nella raccolta e nel trattamento dei Raee (rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche), ogni famiglia italiana può “ospitare” inconsapevolmente circa 3 kg di plastica nascosta nei piccoli elettrodomestici. Un dato sorprendente, se si considera che meno di 1 oggetto su 5 viene correttamente avviato al riciclo. Il resto? Si perde in discariche, finisce nell’indifferenziata o, peggio, resta a lungo dimenticato, impedendo il recupero di materiali che potrebbero rientrare in una filiera virtuosa.
Ecolight ha individuato tre dispositivi emblematici per comprendere la portata del fenomeno. Il primo è il telecomando: onnipresente nelle nostre case, spesso inutilizzato dopo il cambio di televisore o decoder, può contenere fino all’85% del suo peso in plastica. Eppure, alla fine del suo ciclo di vita, raramente viene trattato come un rifiuto elettronico. Lo stesso destino tocca agli asciugacapelli, composti in media da 500 grammi di plastica distribuita tra scocca, impugnatura e griglia protettiva. Spesso finiscono nell’indifferenziata o nel cassonetto sbagliato. Infine, i caricabatterie: spesso duplicati, obsoleti o dimenticati dopo l’acquisto di un nuovo smartphone. Questi piccoli oggetti possono arrivare a contenere fino al 75% di plastica, tra rivestimenti e componenti isolanti, ma raramente vengono riconosciuti come Raee. Una plastica che si accumula, privando l’economia circolare di risorse preziose.
Come cambiare abitudini per combattere la plastica “fantasma”
Il primo errore è culturale: tendiamo a considerare gli oggetti elettronici non più funzionanti come scarti senza valore, mentre in realtà sono miniere di materie prime seconde, plastica compresa. “Ogni telecomando, caricabatterie o asciugacapelli correttamente gestito rappresenta un’opportunità di ridurre l’uso di nuova plastica e tagliare le emissioni legate alla produzione di materiali vergini”, afferma Giancarlo Dezio, direttore generale di Ecolight. Il problema, dunque, non è solo tecnico ma comportamentale: i cittadini non sanno dove e come smaltire questi oggetti. E anche quando lo sanno, spesso rimandano, dimenticano, sottovalutano.
Eppure le soluzioni esistono. Innanzitutto, riconoscere un Raee: qualsiasi oggetto che funziona con una spina o una batteria, una volta guasto o inutilizzato, deve essere trattato come rifiuto elettronico. Poi, occorre portarlo nel posto giusto: i centri di raccolta comunali accettano gratuitamente questi rifiuti. Ma non solo. Esiste il diritto al ritiro “uno contro uno”, che consente di restituire il vecchio apparecchio acquistandone uno nuovo di pari funzione. Ancora più utile è il ritiro “uno contro zero”, che permette di consegnare piccoli dispositivi fino a 25 cm di lunghezza in qualsiasi negozio che venda elettronica, senza obbligo di acquisto. Due strumenti semplici ma potentissimi, che però pochi conoscono e ancor meno utilizzano.
Il potenziale di miglioramento è enorme: solo il 36% degli italiani afferma di evitare sempre l’uso della plastica monouso, e appena il 25,6% utilizza energia da fonti rinnovabili. Ma il vero nodo è il divario tra consapevolezza e azione. L’87,7% dichiara di fare la raccolta differenziata in modo accurato, ma la gestione dei Raee resta un buco nero.
L’Italia sostenibile a metà
La sostenibilità ambientale è oggi una priorità per la maggioranza degli italiani: il 69% la considera un tema centrale, e l’82,8% riconosce che le proprie abitudini hanno un impatto sull’ambiente. Tuttavia, tra dichiarazioni e comportamenti concreti si apre un divario inquietante. Solo il 3,9% partecipa regolarmente a iniziative di pulizia del territorio, mentre oltre la metà (56,4%) non lo fa mai. Anche la mobilità sostenibile arranca: appena il 20,4% usa mezzi pubblici o ecologici con costanza, e quasi uno su cinque (18,5%) non li utilizza affatto.
Un altro dato che colpisce è la disponibilità economica: sebbene il 76,5% degli italiani si dica disposto a pagare un piccolo sovrapprezzo per prodotti sostenibili, solo il 10,8% accetterebbe un prezzo significativamente più alto. La sostenibilità, insomma, è desiderata ma ancora poco accessibile. Eppure, sono proprio i comportamenti individuali – come lo smaltimento corretto di un piccolo elettrodomestico – a fare la differenza nel quotidiano.
L’indagine di SodaStream, diffusa proprio in occasione del World Environment Day 2025, mostra anche significative differenze regionali. Il Veneto guida la classifica: il 99,2% degli abitanti fa la raccolta differenziata, con l’88,3% che la pratica con scrupolo e il 41,4% che sceglie prodotti a basso impatto. Seguono Toscana e Piemonte, regioni in cui la sensibilità ambientale si traduce in gesti concreti: uso più frequente di energia rinnovabile, attenzione allo spreco alimentare, sostituzione della plastica monouso. Il Lazio, invece, pur mostrando una forte consapevolezza teorica (68,6% considera la sostenibilità molto importante), mostra minori risultati pratici: solo il 6,3% partecipa ad attività di pulizia ambientale.
Questi dati disegnano un Paese spaccato tra intenzioni e azioni, tra nord e sud, tra parole e gesti. E pongono una sfida centrale: come trasformare la coscienza ambientale in comportamento collettivo?