Centrali a carbone diventano data center, grazie all’intelligenza artificiale

Microsoft, Amazon e Google investono in ex centrali a carbone per alimentare l’Ai: ma è sostenibile?
6 Agosto 2025
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Centrali Carbone Canva

Le vecchie centrali elettriche a carbone e a gas d’Europa stanno trovando una nuova vita. A riscrivere il loro destino sono le grandi aziende tecnologiche, come Microsoft, Amazon, Google: destinate alla dismissione, le vecchie centrali si trasformeranno diventando il cuore pulsante dell’intelligenza artificiale (Ai). Ma a quale costo? Dietro questa riconversione, infatti, si cela un nuovo problema: l’approvvigionamento di energia. Una fame insaziabile, che rischia di mettere in crisi le reti elettriche, rallentare la transizione ecologica e ridefinire il concetto stesso di sostenibilità.

L’Impatto inatteso dell’Ai sulla domanda energetica

Dalle diagnosi mediche alle playlist personalizzate, dai viaggi organizzati con un click alle auto che si guidano da sole: dietro queste capacità di raggiungere qualsiasi utente nel mondo, si celano più di 10.000 data center a livello globale, ognuno dei quali è un enorme magazzino che contiene migliaia di server e altre infrastrutture per l’archiviazione, la gestione e l’elaborazione dei dati. Solo negli Stati Uniti, ci sono oltre 5.000 data center, e ne vengono costruiti di nuovi ogni giorno. Spesso, decine di essi si raggruppano vicino ai centri abitati, attratti da politiche che offrono agevolazioni fiscali e da quella che sembra una disponibilità abbondante di elettricità.

Questi data center, tuttavia, consumano enormi quantità di elettricità. Quelli statunitensi si stima abbiano consumato oltre il 4% dell’elettricità totale del Paese nel 2023, e si prevede che questa percentuale possa salire al 9% entro il 2030, secondo l’Electric Power Research Institute. Un singolo data center di grandi dimensioni può consumare tanta elettricità quanto 50.000 case.

Il professor William Green, direttore del Mitei (Mit Energy Initiative) del Massachusetts Institute of Technology, uno degli hub di riferimento del settore tra i più importanti al mondo, ha sottolineato che “in passato, l’informatica non consumava molta elettricità. Veniva utilizzata per i processi industriali e per alimentare elettrodomestici come condizionatori e luci, e più recentemente per alimentare pompe di calore e ricaricare auto elettriche. Ma ora, all’improvviso, l’elettricità utilizzata per l’informatica in generale e per i data center in particolare sta diventando una nuova, gigantesca domanda che nessuno aveva previsto”.

A cosa è dovuta questa mancanza di lungimiranza? Secondo il professore, il problema è che la domanda di energia elettrica aumenta di circa mezzo punto percentuale ogni anno e i produttori installano nuovi generatori e fanno investimenti quando è necessario soddisfarla. Ma la nuova richiesta, oggi, è diventata costante: “è fondamentale che un data center fornisca i suoi servizi 24 ore su 24, 7 giorni su 7, senza interruzioni per l’elaborazione di grandi set di dati, l’accesso ai dati archiviati e il funzionamento delle apparecchiature di raffreddamento”.

Rete elettrica e fonti pulite

Come si può rendere sostenibile questo sistema? Il problema significativo è che, anche se viene generata sufficiente elettricità, farla arrivare dove serve può essere difficile. Come spiega Deepjyoti Deka, scienziato ricercatore del Mitei, le reti di trasmissione potrebbero non avere sufficiente capacità per trasportare l’elettricità, e l’espansione della capacità di trasmissione è un processo lento. Inoltre, l’aggiunta di un nuovo generatore alla rete può causare instabilità, portando a lunghi ritardi nelle “code di interconnessione”, che attualmente possono arrivare a circa cinque anni, spesso intasate da nuovi progetti eolici e solari.

Per complicare ulteriormente la sfida, molte aziende tecnologiche, comprese le “hyperscaler” come Google, Microsoft e Amazon, si sono impegnate pubblicamente a raggiungere gli obiettivi globali che puntano a zero emissioni nette di carbonio entro i prossimi dieci anni. Sebbene abbiano fatto passi avanti concludendo “power purchase agreements” (Ppa, contratti a prezzi prenegoziati) con società che producono impianti solari o eolici, questo approccio ha i suoi limiti di fronte alla domanda estrema di elettricità di un data center. La crescente domanda di energia sta addirittura ritardando la chiusura di alcune centrali a carbone in molti Stati, poiché le fonti di energia rinnovabile non sono ancora sufficienti per servire le big tech.

La soluzione è nelle vecchie centrali?

È qui che entra in gioco l’idea innovativa di riconvertire le vecchie centrali elettriche a carbone e a gas. Come spiega la Reuters, la maggior parte delle 153 centrali a carbone ancora attive nell’Unione europea e nel Regno Unito sono destinate alla chiusura entro il 2038, unendosi alle 190 già chiuse dal 2005. La conversione offre un modo per compensare gli ingenti costi di dismissione di questi impianti.

Le utility possono affittare il terreno o persino costruire e gestire i data center stessi, assicurandosi accordi a lungo termine per la fornitura di energia con le aziende tecnologiche. Questi accordi offrono ricavi stabili e ad alto margine, molto più che la semplice vendita di terreni inutilizzati. Le aziende tecnologiche sono disposte a pagare premi fino a 20 euro per megawattora per l’energia a basse emissioni di carbonio. Per una domanda di un gigawatt o più, il “premio verde” annuale potrebbe tradursi in un contratto a lungo termine del valore di centinaia di milioni o persino miliardi di euro.

Questi contratti possono contribuire a finanziare e sostenere lo sviluppo di nuovi impianti a energia rinnovabile. Si tratta di una vera e propria “diversificazione del modello di business” che crea nuovi tipi di attività e flussi di entrate. Le vecchie centrali, inoltre, hanno già connessioni alla rete elettrica e sistemi di raffreddamento ad acqua pronti all’uso. E, come spiega Reuters, diverse aziende europee sono già in prima linea in questa trasformazione:

  • La francese Engie ha identificato 40 siti a livello globale, molti dei quali in Europa, inclusi ex impianti a carbone e gas, da proporre agli sviluppatori di data center. Un esempio è la centrale a carbone di Hazelwood in Australia, chiusa nel 2017.
  • La tedesca Rwe e l’italiana Enel stanno cercando di capitalizzare questa tendenza. Anche la portoghese Edp e la francese Edf stanno promuovendo vecchi siti a gas e carbone per nuovi sviluppi di data center.
  • La società immobiliare Jll sta lavorando a diverse conversioni, tra cui un data center da 2,5 gigawatt in una ex centrale a carbone tedesca e quattro siti nel Regno Unito per un importante cliente tecnologico.
  • La britannica Drax sta cercando un partner per sviluppare parti inutilizzate di un vecchio sito carbonifero nello Yorkshire (ora parzialmente convertito a biomassa), offrendo accesso a attrezzature di raffreddamento ad acqua inutilizzate e un accordo di fornitura diretta di energia.
  • Edf ha già selezionato sviluppatori per due siti presso centrali a gas nella Francia centrale e orientale.

Oltre alla riconversione, le aziende tecnologiche e i ricercatori stanno esplorando diverse altre vie per soddisfare la loro domanda energetica: Microsoft, ad esempio, ha firmato un accordo ventennale per acquistare energia da un reattore nucleare riaperto a Three Mile Island (famosa per essere stata la sede del più grave incidente nucleare negli Stati Uniti, avvenuto nel 1979 e dovuto alla parziale fusione del nocciolo di un reattore); Meta ha lanciato una richiesta di proposte per identificare sviluppatori di energia nucleare. Così come si stanno esplorando i piccoli reattori modulari (Smr), centrali prefabbricate che potrebbero essere installate vicino ai data center, potenzialmente senza i costi e i ritardi delle grandi centrali. Google ne ha ordinato una flotta: il primo sarà completato entro il 2030.

Impatti sulla comunità

L’arrivo di un data center in un quartiere solleva preoccupazioni per i residenti, non solo estetiche, ma anche pratiche: l’affidabilità del servizio elettrico locale, la posizione delle nuove linee di trasmissione e chi pagherà per le nuove infrastrutture. A differenza di altre industrie, i data center creano pochi posti di lavoro diretti. Le utility stanno ripensando le loro strutture tariffarie per non gravare eccessivamente sui consumatori residenti per i cambiamenti infrastrutturali necessari.

Il Mitei, in questo senso, agisce anche da catalizzatore, riunendo aziende e stakeholder per affrontare questa problematica critica. Mentre i data center continuano a proliferare e la domanda di energia per il calcolo cresce in modo senza precedenti, Green afferma che scienziati e ingegneri sono in una corsa per fornire le idee, le innovazioni e le tecnologie in grado di soddisfare questa necessità, avanzando al contempo la transizione verso un sistema energetico decarbonizzato.

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