Il tempo delle valutazioni interlocutorie è finito. I dati accumulati negli ultimi quattordici anni mostrano che l’Italia non sta semplicemente rallentando il passo verso gli Obiettivi di sviluppo sostenibile, ma procede lungo una traiettoria che rende sempre più complesso colmare i divari territoriali. A pochi anni dal 2030, l’orizzonte che emerge non è quello di un Paese in recupero, bensì di un sistema frammentato, in cui avanzamenti localizzati convivono con arretramenti strutturali. Il sesto Rapporto dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile sui territori fotografa una condizione che riguarda l’intero perimetro istituzionale: Regioni, Province autonome, Città metropolitane. Il nodo non è solo quanto si è fatto, ma come e dove, perché le differenze non si limitano più alla storica frattura Nord-Sud e investono la tenuta stessa delle politiche pubbliche.
L’Italia rispetto all’Agenda 2030
L’analisi condotta dall’ASviS sui quattordici Goal di sviluppo sostenibile osservabili a livello territoriale restituisce un quadro di diffusa criticità. Tra il 2010 e il 2024, solo l’economia circolare (Goal 12) mostra miglioramenti estesi, con progressi in diciotto Regioni e Province autonome su ventuno. Tutti gli altri ambiti strategici presentano segnali di peggioramento o stagnazione. La povertà (Goal 1) cresce in ampie porzioni del Paese, le risorse idriche (Goal 6) risultano gestite in modo sempre più inefficace, le disuguaglianze (Goal 10) aumentano, mentre la qualità degli ecosistemi terrestri (Goal 15) continua a ridursi.
Anche la dimensione istituzionale, che comprende giustizia e qualità delle istituzioni (Goal 16), evidenzia arretramenti diffusi. Il dato più rilevante non è solo l’andamento negativo di singoli indicatori, ma la persistenza di una condizione complessiva che colloca oggi l’Italia su livelli simili, se non peggiori, a quelli registrati quattordici anni fa per dieci dei diciassette Obiettivi dell’Agenda 2030.
Le differenze territoriali restano marcate: il Nord-Ovest e il Nord-Est mostrano miglioramenti significativi quasi esclusivamente sull’istruzione (Goal 4), mentre Centro e Mezzogiorno presentano andamenti più instabili. Allo stesso tempo, il Rapporto segnala come alcune Regioni meridionali raggiungano livelli prossimi o superiori alla media nazionale in ambiti come energia (Goal 7), economia circolare (Goal 12), vita sulla terra (Goal 15) e giustizia e istituzioni (Goal 16).
Si tratta di segnali importanti, che però restano circoscritti e incapaci di modificare la traiettoria complessiva. Secondo Enrico Giovannini, direttore scientifico dell’ASviS, “le politiche attuate negli anni passati e il Pnrr non sono stati in grado di accelerare lo sviluppo sostenibile in gran parte del Paese e di ridurre le distanze tra i diversi territori”, un giudizio che chiama direttamente in causa l’efficacia degli strumenti adottati.
Regioni e Città metropolitane
Quando l’analisi si sposta sugli obiettivi quantitativi fissati da strategie e programmi europei e nazionali, la disomogeneità territoriale emerge con maggiore nettezza. Il Rapporto valuta la capacità delle Regioni di raggiungere ventinove dei trentotto target disponibili, evidenziando che in undici Regioni e Province autonome la quota di obiettivi conseguibili entro il 2030 resta sotto il 30%. Dieci territori mostrano un allontanamento progressivo da oltre il 30% dei target analizzati, segnale di politiche che non riescono a correggere le tendenze in atto. Le realtà più avanzate si concentrano nella Provincia Autonoma di Trento, in Valle d’Aosta, Liguria e Umbria, dove appare realistico il conseguimento di dodici o tredici obiettivi su ventinove, pari a circa il 43%. Piemonte, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana e Puglia limitano l’arretramento al 17% degli obiettivi, ma non presentano dinamiche tali da indicare una convergenza estesa.
Il Rapporto conferma la persistenza del divario Nord-Sud, ma mette in luce anche fratture interne alle stesse macro-aree, con arretramenti in zone tradizionalmente considerate più solide e segnali di dinamicità in territori fragili. La lettura urbana accentua queste differenze. Tra le Città metropolitane, Torino, Milano, Bologna e Firenze risultano in grado di conseguire almeno il 43% degli obiettivi analizzati. In molte altre realtà, invece, gli andamenti negativi o i progressi insufficienti riguardano almeno la metà dei target. Venezia, Napoli e Reggio Calabria superano il 70% di obiettivi non raggiungibili o in peggioramento, evidenziando criticità profonde sul piano sociale, ambientale e amministrativo. Le Città metropolitane diventano così un indicatore sensibile delle politiche pubbliche: dove la capacità amministrativa è più solida e il coordinamento istituzionale più efficace, i risultati tengono; altrove, le fragilità strutturali si amplificano. Marcella Mallen, presidente dell’ASviS, sottolinea che i dati rivelano “un’Italia attraversata da profonde disuguaglianze territoriali e vulnerabilità ambientali che colpiscono in modo più grave le comunità più fragili”, un’affermazione che trova riscontro nella distribuzione dei risultati urbani.
I nodi aperti
Il Rapporto ASviS lega strettamente l’andamento degli indicatori territoriali alla qualità dell’attuazione delle politiche pubbliche. A pochi mesi dalla conclusione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, emergono ritardi significativi e una capacità di spesa disomogenea, con differenze marcate tra territori. Anche la politica di coesione 2021-2027 procede lentamente, frenata da blocchi amministrativi e da un coordinamento spesso insufficiente tra i diversi livelli istituzionali. Le criticità risultano particolarmente evidenti nelle politiche di adattamento climatico e nella prevenzione del dissesto idrogeologico, dove gli interventi avanzano in modo frammentato e senza un disegno unitario.
Il Rapporto richiama l’attenzione sui rischi naturali e antropici, inclusi quelli legati agli impianti industriali a rischio di incidente, e sulla necessità di un governo del territorio capace di rendere coerenti rigenerazione urbana, decarbonizzazione dei trasporti, miglioramento della qualità dell’aria e gestione del suolo. In questo contesto, l’ASviS propone un rafforzamento deciso delle capacità amministrative e progettuali degli enti locali, la semplificazione dei sistemi di finanziamento e l’adozione di indicatori di risultato chiari e misurabili per valutare l’efficacia delle politiche.
Particolare attenzione viene riservata alle aree montane e interne, con incentivi per il lavoro, la residenzialità e il recupero del patrimonio edilizio, finalizzati a sostenere processi di ripopolamento. Sul fronte urbano, l’Alleanza indica come prioritaria una rigenerazione delle periferie basata su pianificazione metropolitana, reti ecologiche e governance multilivello, sostenuta da una legge quadro nazionale sul governo del territorio e dal rilancio del Comitato Interministeriale per le Politiche Urbane. Centrale anche la predisposizione del Piano per l’attuazione della Nature Restoration Law europea, che impone di preservare e incrementare gli spazi verdi urbani.
Accanto alle proposte di policy, il Rapporto valorizza trenta buone pratiche territoriali selezionate tra oltre duecento candidature, che spaziano dalla rigenerazione dei borghi al recupero dei terreni agricoli abbandonati, dai modelli di economia circolare localizzata alla gestione partecipata dei beni comuni. Per Renato Brunetta, presidente del Cnel, “i divari territoriali restano una delle principali sfide del nostro Paese”, mentre Pierluigi Stefanini, presidente dell’ASviS, ha ricordato che “Il 2030 si avvicina, è il momento di impegnarsi e agire”, indicando nella collaborazione tra istituzioni, enti locali e società civile una leva indispensabile per rendere le politiche territoriali all’altezza delle sfide in corso.