Scoperta discarica segreta nella Bassa Reggiana: acque contaminate

17 Dicembre 2025
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Falde acquifere inquinate veleno canva
Acque sotterranee inquinate (Canva)

A Brescello, terra nota per i racconti di Don Camillo e Peppone, la realtà supera la finzione con un copione drammatico: sono state trovate oltre 900mila tonnellate di scorie d’acciaieria e di fusione interrate illegalmente, che hanno contaminato le acque sotterranee. La Procura di Reggio Emilia, coordinata da Calogero Gaetano Paci, ha scoperchiato un sistema che, secondo l’accusa, ha compromesso le acque sotterranee con arsenico e ferro, coperto da chi avrebbe dovuto vigilare.

Il mostro invisibile dell’area Dugara

L’area sotto sequestro non è un terreno abbandonato qualsiasi, ma la zona Dugara, destinata sulla carta a diventare un polo logistico intermodale mai realmente completato. Qui, secondo le indagini dei Carabinieri del Nucleo Investigativo e Forestale, sono state smaltite illecitamente 910.730 tonnellate di rifiuti.

Invece di materiali inerti idonei per le opere di urbanizzazione, nel sottosuolo sarebbero finite scorie di acciaieria non trattate per un volume che ha trasformato l’area in una discarica abusiva sotterranea. Secondo le ricostruzioni, l’attività illecita andrebbe avanti almeno dal 2016, anno in cui era scaduta la concessione edilizia per la lottizzazione.

Rifiuti tossici: arsenico e ferro contaminano le acque

Il danno ambientale rilevato dagli inquirenti è preoccupante. Le analisi hanno evidenziato nelle acque sotterranee concentrazioni di ferro e arsenico superiori ai limiti di legge, che avrebbero reso la risorsa idrica come “compromessa e deteriorata”.

La presenza di questi metalli pesanti nelle falde è un rischio diretto per l’ecosistema e la salute pubblica. L’arsenico, in particolare, è un elemento tossico che, se entra nella catena alimentare o nelle riserve idriche potabili, può avere effetti devastanti a lungo termine. La Procura contesta che tali valori non siano frutto di una conformazione naturale del terreno, come sostenuto in passato, ma la diretta conseguenza del percolato prodotto dalla massa di scorie interrate senza le dovute protezioni.

Gli effetti dell’arsenico sulla salute

L’esposizione cronica all’arsenico, anche a basse dosi, rappresenta una minaccia insidiosa perché agisce silenziosamente nel tempo. L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) classifica l’arsenico inorganico come cancerogeno certo di classe 1, associando la sua ingestione prolungata — tipicamente attraverso acqua contaminata o cibi coltivati su terreni inquinati — a un aumento del rischio di tumori a polmoni, vescica, reni e pelle.

Oltre al rischio oncologico, l’accumulo di questo metallo nell’organismo può innescare patologie cardiovascolari gravi, come cardiopatie ischemiche e ipertensione, anche in chi è esposto a livelli inferiori ai limiti attuali. Non vanno sottovalutati poi i danni dermatologici (iperpigmentazione e cheratosi), le disfunzioni neurologiche e il rischio di diabete di tipo 2, che completano un quadro clinico severo per la popolazione residente in aree compromesse.

Un sistema di controlli compromesso

L’aspetto più inquietante dell’inchiesta coordinata dal procuratore riguarda il coinvolgimento delle istituzioni. Tra i nove indagati figurano cinque tecnici di Arpae (Agenzia regionale per la prevenzione, l’ambiente e l’energia), accusati di falso ideologico in atti pubblici.

Secondo l’accusa, questi funzionari avrebbero attestato il falso nei rapporti di controllo del 2017, 2020 e 2022, certificando che i superamenti dei limiti di contaminazione erano dovuti a cause naturali (“fondo naturale geochimico”) e non alla presenza della discarica. Un cortocircuito nel sistema di controllo che avrebbe permesso al disastro di continuare indisturbato per anni, garantendo una copertura istituzionale a un’attività illecita gestita da privati.

Le reazioni e le prospettive sul futuro dell’area

L’inchiesta coinvolge anche i vertici della società proprietaria dell’area e i professionisti incaricati dei piani di monitoraggio. L’area Dugara era legata a progetti di espansione della famiglia Bacchi, nome noto nell’imprenditoria locale, le cui attività erano già state sfiorate in passato da interdittive antimafia, poi revocate o contestate in sedi amministrative, generando un quadro complesso circa gli interessi economici che ci sono sul territorio.

La Cgil ha espresso forte preoccupazione per un modello di sviluppo che sacrifica l’ambiente, mentre la politica locale chiede chiarezza immediata sul ruolo di Arpae.

Il sequestro probatorio e le perquisizioni segnano solo l’inizio di un iter giudiziario che dovrà accertare le responsabilità e, soprattutto, quantificare i costi di una bonifica che si preannuncia colossale.

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