Cala il sipario sulla Terza Conferenza delle Nazioni Unite sull’Oceano (UNOC3), che si è svolta a Nizza dal 9 al 13 giugno con una parola d’ordine: agire. Il summit, che segue le prime due conferenze a New York (2017) e Lisbona (2022), ha riunito capi di Stato, scienziati, agenzie specializzate, società civile, settore privato e donatori internazionali con l’obiettivo di correre in soccorso degli oceani, sempre più vicini al collasso a causa delle azioni dell’uomo.
Da segnalare l’assenza, scontata e ingombrante, degli Usa: senza di loro, viene meno uno dei Paesi più importanti per portare avanti l’obiettivo della protezione dei mari. D’altronde, la recente autorizzazione data dal presidente Donald Trump all’estrazione di minerali in acque profonde nel Pacifico – acque internazionali, va precisato – dà l’idea della direzione presa dal Paese, già delineata da una serie di iniziative poco ‘sostenibili’.
Per l’Italia invece era presente il sottosegretario al Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Claudio Barbaro, che ha portato “all’attenzione della comunità internazionale l’impegno del nostro Paese per la tutela e la valorizzazione del Mare Nostrum”, come fa sapere una nota del ministero.
Moltissimi i temi sul tavolo: l’inquinamento da plastica, l’esplorazione dei fondali marini (deep sea mining), l’innalzamento delle acque, la resilienza delle coste, la pesca sostenibile, la ratifica del trattato sull’Alto mare. Fil rouge, l’intenzione dichiarata di ‘Accelerare l’azione e mobilitare tutte le parti interessate per conservare e utilizzare in modo sostenibile l’oceano’.
Oceani minacciati dall’uomo
Gli oceani rappresentano il 70% della superficie della Terra e sono fondamentali per l’equilibrio della biosfera terrestre, basti pensare che assorbono circa il 30% delle emissioni di CO2 del pianeta. Non solo, ma forniscono cibo e sostegno economico a miliardi di persone, oltre ad essere una via di comunicazione che connette Paesi e genti e aver forgiato culture e tradizioni.
Nonostante la loro importanza, oggi sono però gravemente minacciati dall’aumento delle temperature, dall’acidificazione delle acque, dalla perdita della biodiversità, dalla plastica, dall’inquinamento e dallo sfruttamento eccessivo delle risorse ittiche.
“Il sistema di supporto vitale del nostro pianeta è in uno stato di emergenza”, ha dichiarato Li Junhua, capo del Dipartimento degli Affari Economici e Sociali delle Nazioni Unite, martedì durante un incontro con la stampa presso la sede Onu a New York. Ma “il futuro dell’oceano non è predeterminato. Sarà plasmato dalle decisioni e dalle azioni che stiamo compiendo ora. Questo è il momento di trasformare l’ambizione in azione”, ha concluso Li invitando governi, imprese, scienziati e società civile a collaborare.
Ma quali sono dunque i risultati dei cinque giorni di lavori?
Una conferenza con luci ed ombre
Durante la Conferenza molte nazioni, tra cui Colombia, Grecia e Samoa, hanno presentato i propri piani per creare nuovi parchi marini e aree protette, mentre altri hanno annunciato restrizioni sulla pesca a strascico. I Paesi più piccoli, soprattutto le isole del Pacifico che più di tutti subiscono l’impatto del collasso degli oceani, hanno fatto pressione sui Paesi industrializzati perché agiscano al più presto. Tra innalzamento delle acque e fenomeni metereologici estremi, non c’è tempo da perdere.
Trattato sull’Alto Mare
Uno di punti più importanti di questi giorni riguardava il Trattato sull’Alto Mare (BBNJ). Qui si è ottenuto un risultato importante: 19 Paesi lo hanno ratificato, portando il totale a 50 aderenti. Il quorum necessario per l’entrata in vigore dell’accordo è 60 Stati, dunque l’obiettivo sembra a portata di mano. Una volta raggiunte le 60 ratifiche, il trattato sarà effettivo dopo 120 giorni. Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha definito “da record” il ritmo dei progressi.
Il Trattato, noto come ‘Accordo sulla biodiversità oltre la giurisdizione nazionale (Agreement on Marine Biological Diversity of Areas beyond National Jurisdiction – BBNJ)’, punta alla protezione della biodiversità marina nelle acque internazionali, ovvero quelle acque che sono fuori dalle giurisdizioni degli Stati e sulle quali quindi non c’è nessun tipo di regolazione. Parliamo di quasi due terzi dell’oceano e di quasi metà della superficie del pianeta, un’area immensa minacciata dalla pesca eccessiva, dal riscaldamento delle acque e dalle attività minerarie. E dove va evitato il Far West, ha commentato Guterres.
L’accordo, nel momento in cui entrerà in vigore, colmerà questo vuoto e fornirà un quadro giuridico completo e vincolante per creare aree marine protette e per far rispettare la conservazione in alto mare, includendo norme contro attività distruttive come il deep sea mining e la geoingegneria.
Il trattato inoltre è necessario per raggiungere l’obiettivo globale ‘30×30‘, ovvero l’impegno a proteggere almeno il 30% degli ecosistemi marini del pianeta (compresi quelli extra-giurisdizione) entro il 2030.
Nice Ocean Action Plan – Dichiarazione di Nizza
La Conferenza ha poi adottato, per consenso, una Dichiarazione Politica, orientata all’azione e concordata a livello intergovernativo: è la ‘Nice Ocean Action Plan’, che contiene impegni volontari e non vincolanti su conservazione marina, pesca sostenibile, tutela delle coste e lotta all’inquinamento da plastica.
La dichiarazione, firmata da 95 Paesi, ribadisce l’ambizione “di porre fine al flagello dell’inquinamento da plastica”. Ma è un’arma he rischia di essere spuntata, nel momento in cui gli impegni sono volontari.
Nessun accenno ai combustibili fossili
Non mancano le questioni irrisolte, a partire proprio dalla mancata definizione di politiche efficaci contro l’inquinamento da plastica e contro la pesca indiscriminata. Inoltre, non sono stati presi nuovi impegni finanziari da parte dei Paesi ricchi, frustrando le nazioni più piccole, maggiormente in pericolo. Per queste ultime, un’ulteriore delusione è arrivata dal fatto che la Conferenza non ha fatto progressi sui combustibili fossili, come dimostra la dichiarazione politica finale, priva di riferimenti a quella che è la principale causa del riscaldamento degli oceani.
Ancora, pochi Stati hanno aderito all’appello per una moratoria sull’estrazione mineraria dei fondali marini, cosa che avrebbe potuto mandare un segnale a Trump (ammesso che al presidente Usa interessi).
Il senso della Conferenza è comunque racchiuso nelle parole del presidente francese Emmanuel Macron, che, lasciando da parte gli ideali, ha ricordato molto praticamente: “Proteggere gli oceani significa proteggere un immenso pozzo di carbonio e riserve di biodiversità inimmaginabili. Significa anche dare speranza a tutti coloro la cui vita dipende dai nostri oceani e a coloro che dovranno affrontare l’innalzamento del livello del mare. Significa reinventare insieme l’economia blu, poiché non deve mai essere dimenticato che il mare è prima di tutto una fonte di reddito, di posti di lavoro, di cibo e di innovazione per i popoli di tutto il mondo”.