L’oceano è il cuore pulsante della Terra. Copre oltre il 70% della superficie del pianeta, ospita l’80% della biodiversità conosciuta e produce almeno metà dell’ossigeno che respiriamo. Eppure, oggi, è malato. Gravemente. E se non si interviene subito, il danno potrebbe essere irreversibile. La Giornata Mondiale degli Oceani, che si celebra l’8 giugno, non è mai stata così urgente come quest’anno. Lo sa bene la Commissione europea, che il 5 giugno ha lanciato il Patto europeo per gli Oceani, un’iniziativa storica che unifica tutte le politiche Ue legate al mare in una strategia coerente, concreta e vincolante.
Il primo asse di intervento del Patto è chiaro: proteggere e ripristinare la salute degli oceani. L’inquinamento da plastica, la pesca eccessiva, il traffico marittimo, il riscaldamento globale e l’acidificazione delle acque stanno erodendo lentamente, ma inesorabilmente, gli ecosistemi marini. A peggiorare il quadro, l’aumento della desertificazione degli oceani, un fenomeno strettamente legato al cambiamento climatico e ancora sottovalutato.
Nel Patto, Bruxelles si impegna a sostenere gli Stati membri nella creazione e gestione efficace delle aree marine protette, nella piena attuazione delle direttive europee sulla biodiversità e nel lancio di nuovi modelli economici rigenerativi per le zone costiere. Si tratta di un cambio di paradigma: dalla logica dello sfruttamento a quella della riconciliazione con il mare.
Un’economia blu tra innovazione e rischio
L’oceano non è solo una risorsa naturale. È anche un motore economico cruciale: il 74% del commercio estero dell’Ue viaggia via mare, il 99% dei dati globali passa per cavi sottomarini, e quasi 5 milioni di posti di lavoro dipendono da settori come la pesca, il turismo costiero, i trasporti marittimi e le energie rinnovabili offshore. Ma questa economia blu, se non viene resa sostenibile, rischia di implodere. Ecco perché il secondo pilastro del Patto punta a rafforzare la competitività dell’economia blu sostenibile europea.
Il piano della Commissione è articolato e ambizioso: una nuova strategia industriale marittima, una strategia europea dei porti, e una visione al 2040 per la pesca e l’acquacoltura, con un’attenzione speciale ai pescatori artigianali, custodi di saperi tradizionali e meno impattanti sull’ambiente. In parallelo, saranno promosse tecnologie emergenti per l’energia eolica e oceanica, e creati incentivi per attrarre giovani professionisti nei settori della ricerca marina, della tecnologia oceanica e della pesca sostenibile, grazie alla strategia per il rinnovamento generazionale blu.
Ma questa riconversione non sarà possibile senza una trasformazione profonda dei modelli produttivi. Le comunità costiere devono passare da beneficiarie passive a protagoniste attive di una nuova economia del mare. E qui si apre un tema centrale: come coniugare innovazione, tutela ambientale e coesione sociale?
Per la Commissione europea, la risposta sta nella rigenerazione ambientale come volano economico. Creare valore senza distruggere valore. Investire nella salute degli ecosistemi marini non è solo una spesa, ma un moltiplicatore di sviluppo. Le imprese del futuro saranno quelle capaci di creare lavoro rispettando i limiti planetari. E l’economia blu, se ben orientata, può diventare il laboratorio europeo della transizione ecologica.
Coste e isole diventano avamposto della sostenibilità
Il 40% degli europei vive entro 50 km dal mare. Questo significa che milioni di persone convivono quotidianamente con le fragilità ambientali delle zone costiere: erosione, tempeste, innalzamento del livello del mare, turismo incontrollato, crisi della pesca. Ma queste stesse comunità sono anche i principali alleati della sostenibilità oceanica, perché vivono il mare, lo conoscono, lo proteggono.
Per questo il terzo asse del Patto è dedicato al sostegno alle comunità costiere, alle isole e alle regioni ultraperiferiche. Bruxelles presenterà strategie specifiche per rafforzare la resilienza socio-economica di queste aree, coinvolgendo direttamente i cittadini, gli amministratori locali, le imprese e le Ong. È una svolta culturale e politica: la periferia diventa centro, le aree marginali diventano snodi chiave della nuova governance dell’oceano.
Il Patto prevede anche la creazione di riserve di carbonio blu, ecosistemi costieri capaci di assorbire grandi quantità di Co₂, che uniscono tutela ambientale e sviluppo locale. Queste aree – dalle lagune salmastre alle praterie sommerse – potrebbero diventare infrastrutture naturali fondamentali per la neutralità climatica europea.
Ma non è solo una questione ecologica. È anche una battaglia per la giustizia territoriale. Le isole e le regioni ultraperiferiche, spesso abbandonate dalle politiche centrali, diventano nel Patto snodi strategici della transizione blu. Verranno aggiornate le strategie specifiche per questi territori, prevedendo risorse, partecipazione e coordinamento intersettoriale.
La nuova geopolitica dell’oceano secondo l’Ue
La tutela degli oceani non può fermarsi ai confini europei. L’oceano è globale, e globale dev’essere anche la sua governance. È questo il cuore del sesto pilastro del Patto europeo: rafforzare la diplomazia oceanica dell’Ue e la cooperazione internazionale. Dall’implementazione del Trattato sulla biodiversità marina oltre le giurisdizioni nazionali all’intensificazione della lotta contro la pesca illegale, l’Ue si propone come attore guida nella costruzione di regole globali per il mare.
In particolare, dal 2026 sarà obbligatoria l’adozione del sistema digitale It Catch per la certificazione delle catture: uno strumento chiave per tracciare le attività di pesca e combattere il commercio illegale di prodotti ittici. La Commissione spingerà anche per la ratifica e l’attuazione del Trattato dell’Alto Mare – un punto di svolta per la tutela della biodiversità in acque internazionali.
Sul fronte interno, il Patto introduce una strategia europea per la sicurezza marittima, a partire dalla rimozione degli ordigni inesplosi nei mari del Nord e Baltico, e la creazione di una flotta Ue di droni marini e aerei equipaggiati con sensori avanzati e AI per il monitoraggio costante delle attività marittime. In un contesto geopolitico instabile, questa rete servirà a proteggere infrastrutture critiche (come i cavi sottomarini), prevenire attacchi e sorvegliare il traffico marittimo.
Infine, la Commissione istituirà entro il 2027 un vero e proprio Ocean Act, una legge quadro che unificherà gli obiettivi marini dell’Ue sotto un unico tetto giuridico. A supporto, nascerà un Ocean Board con rappresentanti del mondo scientifico, delle imprese e della società civile, e un pannello digitale di monitoraggio per garantire trasparenza, coerenza e tracciabilità dei progressi.
L’oceano entra così, con forza, nella geopolitica dell’Unione europea. Da sfondo silenzioso, diventa protagonista. E con esso, cambia anche l’idea di sicurezza: non più solo difesa dei confini, ma cura attiva degli equilibri planetari da cui dipendiamo tutti.