L’uso di composti clorati per la disinfezione dell’acqua nelle piscine rappresenta uno standard consolidato a livello internazionale, ma le modalità di gestione di queste sostanze chimiche – altamente reattive e classificate come pericolose – richiedono protocolli di sicurezza rigorosi e controlli puntuali. In Italia, tuttavia, si registra un aumento preoccupante dei casi di intossicazione legati a una dispersione anomala di cloro, soprattutto durante la stagione estiva, quando la pressione sugli impianti è massima e la manutenzione più esposta a criticità operative.
L’episodio verificatosi a Roma nel quartiere della Borghesiana – dove cinque bambini sono stati ricoverati, uno dei quali in condizioni gravi, dopo aver inalato presumibilmente vapori di cloro fuoriusciti da una bocchetta durante il bagno in piscina – non rappresenta un’anomalia isolata, bensì l’ennesimo caso documentato di reazione tossica acuta da esposizione a gas clorati. A sottolinearlo è la Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima), che parla apertamente di “una serie di gravi episodi che si stanno verificando con frequenza crescente nelle piscine italiane, mettendo a rischio la salute dei cittadini”.
La dinamica dei fatti – ancora oggetto di accertamenti – potrebbe essere legata a un malfunzionamento del sistema di dosaggio automatico o a una sovrappressione imprevista nelle tubazioni, che avrebbe causato l’immissione localizzata di cloro in concentrazione anomala. In questi contesti, anche un breve contatto con vapori di cloro può provocare effetti respiratori acuti, specie nei soggetti pediatrici. Il caso romano diventa così un punto di partenza per analizzare i rischi chimici associati alla gestione del cloro nelle piscine, le lacune nella prevenzione e i nodi normativi che ancora oggi rendono difficile una mappatura completa degli incidenti.
Cosa c’è davvero dentro l’acqua in cui nuotiamo
Dietro l’apparente trasparenza dell’acqua delle piscine si cela un equilibrio chimico complesso, ottenuto attraverso l’impiego di agenti disinfettanti come l’ipoclorito di sodio, l’ipoclorito di calcio, l’acido tricloroisocianurico e altri correttori di pH come acido solforico o cloridrico. Queste sostanze, tutte regolarmente impiegate nei protocolli di disinfezione, sono classificate come corrosive e pericolose secondo la normativa Reach e Clp dell’Unione Europea. L’elemento critico non è la loro presenza in sé, ma le modalità con cui vengono gestite, dosate e monitorate.
In condizioni ideali, il cloro libero attivo presente nell’acqua svolge un’efficace funzione antimicrobica. Ma in presenza di errori di dosaggio, guasti tecnici o interferenze con altre sostanze chimiche (ad esempio acidi usati per la regolazione del pH), può liberarsi cloro gassoso. Si tratta di un gas di colore verdognolo, altamente irritante, già noto in ambito industriale e militare per la sua tossicità acuta. A concentrazioni superiori a 1 ppm (parti per milione), può provocare bruciore alle mucose oculari e respiratorie; oltre i 10 ppm può causare edema polmonare acuto e compromissione respiratoria grave.
La reazione più pericolosa è quella tra ipocloriti e acidi forti, una combinazione che può verificarsi accidentalmente durante il caricamento manuale dei serbatoi o per malfunzionamento dei sistemi automatici. Ma anche l’accumulo e la liberazione irregolare di vapori di cloro, dovuti a un blocco delle bocchette o a un disallineamento dei flussi idraulici, rappresentano situazioni a rischio elevato. Il caso della Borghesiana sembrerebbe inquadrarsi in questa seconda categoria: una concentrazione anomala localizzata, probabilmente dovuta a una sovrapressione, ha causato l’emissione improvvisa del disinfettante in prossimità di un gruppo di bambini.
Come riconoscere un’intossicazione da cloro e chi rischia di più
Bruciore agli occhi, gola irritata, tosse continua, senso di costrizione al petto, nausea, vomito. Sono questi i sintomi più frequenti che possono comparire dopo un’esposizione acuta al cloro in piscina. A volte si manifestano pochi minuti dopo il contatto con il gas, altre volte passano quasi inosservati fino a quando la situazione peggiora. E il problema, in molti casi, è proprio questo: il contesto. In piscina, è facile confondere i primi segnali con un colpo di calore o con una banale stanchezza. Intanto, l’irritazione si fa strada, e se non si interviene in tempo, può diventare seria.
Il cloro, quando viene rilasciato in forma gassosa, è altamente irritante anche a concentrazioni relativamente basse. In ambienti chiusi o poco ventilati, può arrivare a creare un vero e proprio “effetto camera a gas”, con bruciore alle vie respiratorie, difficoltà a respirare e perfino crisi respiratorie acute. Nei bambini, tutto questo accade più in fretta: hanno vie aeree più piccole e sensibili, e spesso non riescono a spiegare subito cosa stanno provando. In questi casi, agire tempestivamente è fondamentale: allontanare subito la persona dall’area, farle prendere aria fresca, sciacquare viso e occhi con acqua, e chiamare i soccorsi se i sintomi non migliorano in pochi minuti.
Ma l’intossicazione da cloro non è solo un problema acuto. Chi frequenta abitualmente piscine trattate con disinfettanti clorati – come istruttori, bagnini, nuotatori agonisti – può sviluppare disturbi anche nel lungo periodo: bronchiti croniche, congiuntiviti, asma da sforzo, irritazioni cutanee e perfino problemi ai reni o al sistema nervoso. In particolare, le clorammine (composti che si formano quando il cloro reagisce con urina, sudore o altre sostanze organiche) sono tra i principali responsabili di irritazioni persistenti, soprattutto in ambienti coperti con scarsa ventilazione. “Le complicanze più gravi possono includere insufficienza renale, anemie e alterazioni neuropsichiche”, avverte la Sima.
Le categorie più a rischio non sono solo i bambini e gli sportivi. Ci sono anche gli addetti alla manutenzione, i tecnici di impianto, chi lavora nei locali dove vengono conservati o diluiti i prodotti chimici. In questi ambienti, se mancano dispositivi di protezione adeguati o sistemi di estrazione dell’aria, è facile che l’esposizione diventi cronica. E spesso ci si accorge del problema solo quando compaiono sintomi sistemici più complessi.
Anche in altri settori industriali dove si usa cloro – come la produzione di disinfettanti, la metallurgia o il trattamento delle acque – il rischio è noto e gestito con protocolli specifici. Ma nelle piscine, dove tutto appare pulito e sotto controllo, manca ancora una vera cultura della prevenzione. Non basta avere impianti “a norma”: serve formazione, attenzione costante e protocolli ben chiari su cosa fare quando qualcosa va storto. Perché il cloro, pur essendo indispensabile, può trasformarsi da alleato a pericolo, se usato senza le dovute precauzioni.
Parametri sotto controllo? Cosa (non) funziona nella gestione del cloro
In Italia, la gestione delle piscine pubbliche e private è regolata da norme regionali e linee guida ministeriali che impongono controlli regolari sui parametri chimico-fisici dell’acqua: cloro libero, pH, torbidità, temperatura, presenza di clorammine e composti azotati. Ogni struttura deve mantenere un “registro di trattamento”, detto comunemente “libro del cloro”, in cui vengono annotate più volte al giorno le misurazioni effettuate. Ma tra il dettato normativo e l’applicazione pratica esiste un divario significativo.
Il personale tecnico responsabile delle operazioni di dosaggio non sempre ha una formazione scientifica adeguata. In molte strutture private – e non di rado anche in quelle pubbliche – le operazioni chimiche vengono delegate a figure generaliste, spesso affaticate da turni prolungati o stagionali. A ciò si aggiunge l’età avanzata di molti impianti, con sistemi di dosaggio automatico obsoleti o mal calibrati, e una manutenzione non sempre tempestiva. Una variabile tecnica – come una variazione di pressione nei condotti – può determinare l’emissione localizzata e improvvisa di cloro gassoso senza che l’operatore se ne accorga.
Il responsabile della struttura della Borghesiana, dove si è verificato l’ultimo caso grave, ha dichiarato di aver effettuato i controlli chimici alle 9:30, meno di un’ora prima dell’intossicazione, con valori regolari. Alle 10:26 ha chiamato personalmente il 112, dopo aver notato che cinque bambini stavano tossendo e avevano difficoltà a respirare. Questo mostra un elemento chiave: la criticità non risiede solo nella conformità apparente dei parametri, ma nella capacità del sistema di reagire agli imprevisti, come picchi di pressione, blocchi nelle pompe o accumuli localizzati.
Secondo molti esperti, sarebbe necessario introdurre un sistema di monitoraggio continuo e automatizzato, che possa rilevare in tempo reale variazioni anomale dei livelli di cloro disciolto e allertare l’operatore prima che la situazione diventi pericolosa. Parallelamente, occorre rafforzare i requisiti di formazione e aggiornamento per il personale addetto, oggi troppo spesso affidato a corsi brevi e generici, privi di una reale valutazione del rischio chimico. La Sima sottolinea inoltre la necessità di creare un registro nazionale degli incidenti legati alla gestione del cloro, per poter analizzare i trend e intervenire in modo sistemico.