Ti è mai capitato di avere uno scatto d’ira sul posto di lavoro? Se sì, la recente ordinanza emessa dalla Corte di Cassazione potrebbe riguardarti da vicino. In caso contrario, la decisione della Suprema Corte può tornare utile per il futuro in un Paese dove otto lavoratori su dieci sono a rischio burnout.
La vicenda che ha portato alla storica sentenza riguarda un dipendente di un’azienda toscana di imballaggi di materie plastiche che, esasperato dalle tensioni in reparto, aveva sbattuto alcuni flaconi di plastica a calci e pronunciato parole volgari, incluse alcune bestemmie. Pur trattandosi di un evento isolato e privo di violenza verso i colleghi, il 5 maggio 2021 il lavoratore è stato licenziato per giusta causa dall’azienda dove lavorava sin dal giugno 1999. Ma la Cassazione ha ribaltato tutto.
Senza violenza il licenziamento è illegittimo
Il Tribunale aveva inizialmente ritenuto sussistente un licenziamento per giustificato motivo soggettivo, limitando la condanna dell’azienda al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso. La Corte d’Appello di Firenze aveva ribaltato la decisione, ravvisando la sproporzione della sanzione espulsiva rispetto al fatto accertato. I giudici avevano definito l’episodio un “momentaneo scatto di rabbia” e condannato l’azienda al pagamento dell’indennità risarcitoria di 59.960,88 euro.
La Suprema Corte ha quindi confermato la decisione d’appello, stabilendo un principio importante per tutti i lavoratori e le lavoratrici italiane: l’assenza di danni reali e di aggressione fisica rende sproporzionato il licenziamento per giusta causa. Al posto del licenziamento, l’azienda avrebbe dovuto prevedere una sanzione pecuniaria, spiega l’ordinanza.
Le motivazioni della Cassazione
La Corte ha sottolineato come la perdita di controllo fosse conseguente allo stress ambientale e costituisse un episodio isolato. Elemento cruciale della decisione è stata la valutazione del contesto lavorativo: un’azienda che opera nel settore degli imballaggi, con ritmi serrati, scadenze precise e forte rumore di fondo dovuto ai macchinari. Circostanze che, secondo i giudici, possono costituire il terreno fertile per uno scatto d’ira.
Non solo, la Cassazione ha inoltre evidenziato il principio di corresponsabilità del datore di lavoro: un’azienda che non garantisce un ambiente sano e sereno non può poi punire con la massima severità le reazioni emotive che essa stessa contribuisce a generare.
Cosa puoi fare senza perdere il lavoro
Secondo la sentenza della Suprema Corte, non costituiscono più giusta causa per il licenziamento comportamenti come:
- Urlare e imprecare contro colleghi o superiori in momenti di forte stress
- Utilizzare espressioni volgari durante episodi di rabbia isolati
- Colpire oggetti aziendali senza causare danni materiali significativi
- Perdere momentaneamente il controllo a causa di tensioni accumulate nel reparto
La linea rossa tracciata dalla giurisprudenza è chiara: se non c’è aggressione fisica diretta ai colleghi né danni materiali rilevanti ai beni aziendali, un gesto d’ira isolato non può legittimare l’espulsione dal posto di lavoro.
L’emergenza burnout in Italia
La sentenza assume particolare rilevanza in un contesto nazionale drammatico. I dati più recenti dipingono un quadro allarmante per il Belpaese:
- Il 31,8% dei lavoratori ha sperimentato forme di esaurimento professionale, con picchi del 47,7% tra i giovani nella fascia 18-34 anni;
- Il 73% dei dipendenti vive forme di ansia o stress legate al lavoro;
- Il 76,8% fatica a bilanciare vita privata e professionale;
- Il 64% dei lavoratori italiani soffre di elevati livelli di stress sul lavoro, la percentuale più alta d’Europa
Al livello europeo, l’Italia detiene primati tutt’altro che invidiabili:
- Prima in Europa per stress lavorativo;
- Solo il 10% dei lavoratori si dichiara realmente coinvolto nel proprio lavoro;
- Il 40% dei dipendenti è pronto a cambiare azienda;
- Oltre 22.000 denunce di malattie professionali legate a disturbi psichici nel primo trimestre 2024, con un aumento del 17,9% sull’anno precedente.
La situazione è peggiorata significativamente dopo la pandemia: la pressione temporale o il sovraccarico di lavoro è saltato dal 19,5% al 46% tra il 2020 e il 2022.
Una nuova tutela per i lavoratori stressati
La decisione della Cassazione rappresenta un cambio di paradigma nel diritto del lavoro italiano. In un Paese dove il 43% dei dipendenti è “spesso” o “sempre” esausto alla fine della giornata lavorativa, la sentenza riconosce implicitamente che lo stress può portare a reazioni impulsive che non minano necessariamente il rapporto fiduciario con l’azienda.
La tutela prevista dalla Corte di Cassazione si estende potenzialmente a tutti i settori caratterizzati da ritmi intensi e stress elevato, dal metalmeccanico ai servizi, dove un gesto isolato dettato dalla frustrazione non può più legittimare automaticamente l’espulsione dal posto di lavoro.
La sentenza arriva in un momento cruciale per il mercato del lavoro italiano, dove i salari hanno perso 1.000 euro di potere d’acquisto in 30 anni e dove solo il 5% dei dipendenti si sente pienamente ingaggiato dalla propria azienda.
Pur non risolvendo le cause strutturali del malessere lavorativo, l’ordinanza offre almeno una protezione giuridica a chi, schiacciato dalla pressione quotidiana, rischia di perdere il controllo (e il lavoro) in un momento di particolare vulnerabilità.