Benessere o ambiente? Nessuno vince nel gioco della sostenibilità

Uno studio italiano evidenzia le sfide globali per entrare nello “spazio sicuro e giusto” del modello della "ciambella" di Raworth
13 Gennaio 2025
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Mani che sorreggono piccolo mappamondo

Nel vasto panorama della ricerca economica e ambientale, c’è un modello che continua a fare discutere e riflettere, nonostante le sfide evidenti che pone. La cosiddetta “ciambella”, proposta dalla studiosa Kate Raworth delle Università di Oxford e Cambridge, ha lanciato una sfida globale: individuare un “spazio sicuro e giusto” per l’umanità, che si colloca tra i limiti ambientali planetari e i bisogni socioeconomici fondamentali. Questo concetto, che si fonda sull’idea che la crescita economica debba rispettare i limiti naturali del nostro pianeta, ha affascinato molti, ma un recente studio realizzato da Tommaso Luzzati dell’Università di Pisa e Gianluca Gucciardi dell’Università degli studi di Milano Bicocca ha rivelato un ulteriore dato (sconfortante). Nonostante le riflessioni e gli sforzi di decine di esperti, al momento nessun paese al mondo sembra riuscire a entrare in questo spazio sicuro.

Luzzati e Gucciardi hanno scelto di esplorare il concetto della “ciambella” con uno sguardo più flessibile, riducendo i rigidi limiti che avevano caratterizzato le precedenti ricerche. La loro analisi ha coinvolto 81 nazioni, eppure il risultato rimane preoccupante: anche con parametri meno stringenti, nessun paese rispetta completamente i confini della ciambella. Un dato che, purtroppo, conferma l’esistenza di un divario globale enorme tra sviluppo economico, benessere sociale e sostenibilità ambientale.

Un mondo spaccato tra benessere e sostenibilità

Il fulcro dello studio di Luzzati e Gucciardi è una disamina approfondita di come i paesi si comportano rispetto a due dimensioni cruciali: gli indicatori ambientali e quelli socioeconomici. I risultati, purtroppo, non sorprendono: i paesi ricchi tendono a superare abbondantemente i limiti ambientali, soprattutto in termini di emissioni di CO2 e uso eccessivo delle risorse naturali, mentre i paesi poveri, purtroppo, non sono in grado di garantire i livelli minimi di benessere per i loro cittadini.

In questo scenario, la classifica dei paesi più vicini a rispettare i parametri socioeconomici è dominata dai paesi scandinavi, che si trovano ai vertici grazie alla loro capacità di coniugare politiche sociali avanzate con un livello di sostenibilità ambientale relativamente contenuto. Paesi come Belgio e Svizzera si avvicinano a questo modello virtuoso, mentre l’Italia si colloca al 19° posto, con una sufficienza che, sebbene positiva, non la colloca tra le eccellenze. Supera infatti solo Portogallo, Spagna e Ungheria, ma non è lontana da nazioni come la Grecia o la Polonia. Un dato che ci invita a riflettere sui progressi fatti e sugli enormi passi ancora da compiere, specialmente in ambito sociale.

Il dato più interessante arriva dall’analisi degli indicatori ambientali. Qui, un numero sorprendente di paesi del sud globale, come Malawi, Bangladesh, Nigeria e Mozambico, rispetta i parametri ambientali, benché questi stessi paesi siano molto lontani dal garantire condizioni socioeconomiche dignitose per i propri cittadini. Eppure, la lezione che emerge è chiara: la sostenibilità sociale ed ecologica non sono facilmente conciliabili, specialmente quando si tenta di bilanciare la protezione dell’ambiente con il benessere umano. Il paradosso sembra essere sempre lo stesso: dove c’è benessere economico, c’è una tendenza a trascurare l’ambiente; dove c’è povertà, l’ambiente è spesso l’ultima preoccupazione.

La soluzione

Dopo aver analizzato il quadro delle nazioni in relazione ai parametri della “ciambella”, il team di ricercatori ha concluso che, nonostante l’adozione di criteri più flessibili, nessun paese riesce a rientrare completamente nel “banco di prova” della sostenibilità ambientale e sociale. Questo gap, secondo Luzzati e Gucciardi, evidenzia una realtà in cui le politiche ambientali e sociali si trovano su traiettorie divergenti, e l’equilibrio tra questi due settori resta una sfida aperta.

La domanda che si pone ora è: cosa deve cambiare affinché si riesca a rientrare nei parametri della “ciambella”? Per Luzzati, professore di economia politica all’Università di Pisa, la risposta non è semplice. “Non basta adottare un approccio più permissivo nei criteri,” afferma. “Il problema è che la strada da percorrere è lunga e le politiche pubbliche devono evolversi in modo radicale su entrambi i fronti, ambientale e sociale”. Una rivoluzione che richiede interventi urgenti e strutturali, mirati non solo a ridurre le emissioni e il consumo delle risorse naturali, ma anche a garantire l’accesso a servizi essenziali come l’istruzione, la salute e l’energia, in modo equo e universale.

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