Per gli amanti dell’autunno, dell’armocromia e della vivacità, il record di foliage del Giappone è una bella notizia. In realtà, c’è ben poco di positivo nel fatto che così tante foglie siano ancora attaccate agli alberi con i loro colori caldi, ma fuori tempo. La ragione è esattamente questa: un caldo fuori stagione, con temperature troppo elevate per il territorio.
Secondo l’Agenzia meteorologica giapponese (Jma), la temperatura media del Paese tra settembre e novembre 2023 è stata di 1,97 °C superiore alla norma, rendendolo questo l’autunno più caldo mai registrato almeno dal 1898, anno in cui sono iniziate le rilevazioni ufficiali. Questa anomalia climatica si inserisce in un quadro più ampio di estati torride e autunni prolungati, segnali sempre più evidenti dell’impatto del cambiamento climatico.
Mentre i turisti e i locali si godono gli ultimi scampoli di questa stagione atipica, i dati sul surriscaldamento globale continuano a minacciare il nostro futuro.
Temperature record e ritardo del foliage
Le anomalie termiche registrate sono impressionanti: a Tokyo, la temperatura media è stata superiore di 2,4 °C rispetto alla norma, a Nagoya di 2,9 °C e a Sapporo di 1,2 °C. Questi cambiamenti hanno avuto effetti tangibili sul famoso foliage autunnale giapponese, una delle principali attrazioni naturali e turistiche del Paese.
A Kyoto, la Eizan Railway, nota per i suoi trenini attraverso i boschi di aceri, ha dovuto prolungare la stagione delle escursioni per via del ritardo nella colorazione delle foglie. Questo fenomeno si è protratto in molte zone del Paese: secondo la Japan Meteorological Corporation, il picco del foliage a Tokyo si sarebbe verificato il 5 dicembre e a Osaka addirittura il 9 dicembre, molto più tardi rispetto alle medie storiche.
Gli effetti del surriscaldamento
Il riscaldamento globale non colpisce solo gli alberi, ma sta cambiando il volto stesso del paesaggio giapponese. Un esempio drammatico è il Monte Fuji, simbolo del Giappone: quest’anno, la neve che normalmente ricopre la sua cima è scomparsa per il periodo più lungo mai registrato, ritornando solo il 6 novembre, con oltre un mese di ritardo rispetto alla media storica.
Solo qualche mese davamo notizia dell’estinzione del ghiacciaio Flua, della grave riduzione della Marmolada e del confine tra Italia e Svizzera, mutato per via dello scioglimento dei ghiacciai.
Ricerche statunitensi indicano che il cambiamento climatico potrebbe impoverire il fenomeno, non solo riducendo la vivacità dei colori autunnali, ma compromettendo la salute delle foreste a livello globale. In Italia, così come in Giappone, si osservano segnali simili: temperature anomale stanno influenzando i cicli stagionali di piante, alberi e persino le colture stanno cambiando.
2024 anno più caldo
Per quanto possa sembrare affascinante un autunno più lungo e colorato, il ritardo del foliage e il cambiamento dei ritmi stagionali rappresentano un segnale d’allarme.
Le temperature globali continuano a infrangere nuovi record, e il 2024 è destinato a diventare l’anno più caldo mai registrato, superando persino il 2023. Secondo l’ultimo bollettino del Climate Change Service dell’osservatorio europeo Copernicus, è quasi certo che il 2024 sarà il primo anno a oltrepassare la soglia critica di 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali. Questo rappresenta un superamento del limite più ambizioso stabilito dall’Accordo sul clima di Parigi del 2015, considerato fondamentale per evitare le conseguenze più devastanti della crisi climatica, ormai difficilmente raggiungibile.
A novembre 2024, il pianeta ha vissuto il secondo mese più caldo mai registrato, con temperature superiori di 1,6 °C alla media preindustriale. Questo è il diciassettesimo mese consecutivo a superare questa soglia critica. Tuttavia, secondo gli scienziati, affinché la soglia dei +1,5 °C sia definitivamente considerata superata, il surriscaldamento medio deve persistere per almeno vent’anni.
Le proiezioni per il 2025
Le proiezioni per il 2025 non lasciano ben sperare: gli esperti prevedono che le temperature globali rimarranno vicine ai livelli record. Julien Nicolas, scienziato di Copernicus, sottolinea che il fenomeno La Niña, solitamente associato a un raffreddamento globale, rimane incerto quest’anno, rendendo improbabile un’inversione di questa tendenza.
Persino l’impegno dell’Unione Europea, tra i principali sostenitori dell’obiettivo di 1,5°C, barcolla a causa delle forti resistenze al Green Deal di diversi Stati membri e gruppi parlamentari che potrebbero far cadere la debole maggioranza von der Leyen da un momento all’altro.
Eppure, il limite fissato nel Green Deal non è frutto di una scelta arbitraria, ma di attente analisi scientifiche: il margine d’azione per evitare il collasso di interi ecosistemi e delle economie mondiali è sempre più stretto.
Anche il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (Unep) avverte che, con gli attuali impegni climatici, il mondo si avvia verso un aumento della temperatura di 3,1 °C entro la fine del secolo. Tuttavia, se tutte le promesse climatiche fossero rispettate, il riscaldamento globale potrebbe essere limitato a 2,6 °C, un livello comunque pericoloso per ecosistemi e società.
Gli effetti del riscaldamento globale sono sotto gli occhi di tutti: dalle terribili alluvioni nella regioni di Valencia, alla tempesta Boris che ha devastato (anche) l’Emilia-Romagna, alla siccità senza fine che sta colpendo la Sicilia e sta mettendo in ginocchio l’Amazzonia, i devastanti tifoni che hanno colpito l’Asia. L’elenco potrebbe essere molto lungo, ma la causa si riassumerebbe in due parole: surriscaldamento globale. Lo stesso che ci fa vedere le belle foglie per più tempo, che dà sfogo ai consumi energetici nel breve periodo, ma lascia sempre meno speranza al futuro.