“La vita è la cosa più rara dell’universo, e noi la stiamo distruggendo”. Cosa possiamo imparare dalle piante

Il neuroscienziato Stefano Mancuso spiega al Festival Cauthamente che forse non è l’uomo la specie più intelligente del pianeta
29 Ottobre 2025
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Piante

La vita è la cosa più rara dell’universo, e noi la stiamo distruggendo”. È chiaro e diretto Stefano Mancuso, neuroscienziato e professore di Arboricoltura generale ed etologia vegetale all’Università di Firenze, nel suo intervento al Festival della Scienza Cauthamente che si è svolto dal 15 al 18 ottobre a Cortona, dal titolo ‘Sensibilità e intelligenza del mondo vegetale’.

Il problema, ha spiegato Mancuso, è che “ci sfugge completamente quanto la vita sia un fenomeno incredibilmente raro e fragile. È bene ricordarlo, visto quello che stiamo facendo al pianeta”. E ci sfugge da più punti di vista.

“La vita è come la polvere sui mobili”

Intanto, ha spiegato Mancuso, “abbiamo evidenza della vita solo sulla Terra“. Ovvero, un granello di polvere nell’universo. “Tutta la vita che conosciamo nell’universo sta in uno strato di venti chilometri al massimo, che si chiama biosfera: da dieci chilometri sotto il livello del mare a dieci chilometri sopra il livello del mare. Ma già arrivare a venti è ottimistico. Se lo volessimo visualizzare, questo strato sarebbe come la polvere sui mobili”.

A noi la Terra sembra brulicare di vita, ma non è così: “La vita è rarissima. Anche su questo pianeta è la cosa più rara che esista”. E “il fatto che noi la stiamo distruggendo assume un valore ancora più grave”, ha sottolineato lo scienziato.

“Dire vita è dire piante”

Ma c’è anche un altro bias cognitivo che ci accompagna in maniera testarda. La vita non è quella che pensiamo. “Dire vita significa dire piante”, ha spiegato Mancuso, perché per quanto ci sembri incredibile esse rappresentano l’87% del peso della biomassa, a fronte di un misero 0,3% dato dagli animali, tra cui l’uomo. “I funghi – che non sono né animali né piante – sono l’1,2%. Cioè, in peso, ci sono quattro volte più funghi che animali. Quello che resta, 12-13%, sono microorganismi”. “In un’analisi chimica, accanto a una voce con lo 0,3% scriveremmo: ‘tracce’. Non vale neanche la pena quantificarlo”, ha evidenziato lo scienziato.

Noi però queste piante non le vediamo, anche se ci viviamo immersi: “Le cancelliamo. È la ‘plant blindness’, cecità alle piante”, dovuta al fatto che il cervello tralascia le cose che ritiene meno importanti a favore di quelle che reputa rilevanti.

È un retaggio dell’evoluzione: nasciamo come specie arboricola e “ancora oggi il verde è il colore per cui distinguiamo di gran lunga il maggior numero di gradazioni”. Ma mentre all’inizio “filtrare via le piante e concentrarsi sugli animali era un enorme vantaggio evolutivo”, oggi “non capire che il mondo è costruito dalle piante è un problema gigantesco”, come ha raccontato l’esperto.

L’uomo non sembra essere la specie più intelligente del pianeta

In primis perché prendiamo continuamente ispirazione dal mondo animale per risolvere problemi, tralasciando che quello vegetale “ha una quantità di soluzioni che noi non possiamo neanche immaginare“. Basti pensare che non si muovono, dunque “devono fare tutte le cose che facciamo anche noi – nutrirsi, riprodursi, difendersi – restando ferme”. Noi crediamo che il movimento sia fondamentale, indispensabile per risolvere problemi”, ma non lo è.

E lo dimostrano i fatti: “Parliamo di una forma di vita che esiste da 380 milioni di anni, durante i quali l’ambiente del pianeta è cambiato in modo drastico, moltissime volte: tre milioni di anni fa il clima era tre gradi più caldo, il livello del mare era trenta metri più alto, l’Antartide era una foresta. Loro erano qui. Poi è diventato più freddo. Poi più caldo. Poi siamo arrivati noi. E loro sono ancora qui”.

Il punto dunque non è tanto parlare dell’intelligenza delle piante, che è auto-evidente. Piuttosto, “dobbiamo chiederci se siamo intelligenti noi. O se siamo davvero la specie più stupida che sia mai apparsa su questo pianeta“.

“Non lo dico per provocazione”. ha precisato lo scienziato portando un dato eloquente: “La durata media di una specie è di circa cinque milioni di anni. Noi esistiamo da 300mila anni. Arriveremo a cinque milioni? Ce lo auguriamo tutti, ma con quello che stiamo combinando, siamo davvero sicuri di essere così intelligenti? O siamo la specie che non comprende le conseguenze delle proprie azioni”?

Stefano Mancuso a Cauthamente2025
Stefano Mancuso durante il suo intervento a Cauthamente 2025

Dipendiamo dal mondo vegetale e non ce ne accorgiamo

Pensiamo al fatto che “negli ultimi due secoli abbiamo tagliato 2000 miliardi di alberi, senza capire che stavamo distruggendo le basi della nostra stessa sopravvivenza”, ha riportato l’esperto. Infatti, metà della CO₂ che produciamo ogni anno viene assorbita dalle piante.

Questo gas, ha ricordato Mancuso, ha una funzione positiva fondamentale: senza di esso la temperatura media del pianeta sarebbe 35 gradi più bassa. È l’effetto serra, descritto già nel 1857 dalla scienziata americana Eunice Newton Foote: l’anidride carbonica nell’atmosfera mantiene la temperatura del Pianeta più alta di quella che sarebbe altrimenti, consentendo la vita come la conosciamo. E fin qui tutto bene. Ma, aggiunse già all’epoca Newton Foote, citata testualmente dallo scienziato, “le attività umane producono anidride carbonica e metano, e se questa produzione dovesse aumentare indiscriminatamente nel futuro, non è improbabile che la temperatura del pianeta arrivi a livelli incompatibili con la vita sul pianeta stesso”.

In sostanza, ha sottolineato Mancuso, sappiamo da molto tempo a cosa è dovuto il riscaldamento globale e i suoi effetti: “Quando qualcuno dice ‘Eh ma non sappiamo ancora da che dipende’, questa è una bufala. È qualcosa che la scienza conosce dal 1857, senza alcun dubbio, perché il pianeta è caldo e perché si sta scaldando”.

E si sta scaldando molto velocemente: “Secondo le proiezioni, entro pochi decenni il 18% del pianeta non sarà più vivibile per limiti termici. E in quel 18% oggi vivono tra 800 milioni e 2 miliardi di persone. Dove andranno? Come faremo? Le accoglieremo?”, ha chiesto lo scienziato.

“Tutto quello che mangiamo viene dalle piante”

Di fatto, dunque, mentre ignoriamo il mondo vegetale e le soluzioni che questo può offrici, ne siamo strettamente dipendenti senza nemmeno pensarci. Anche dal punto di vista alimentare: “Tutto quello che noi mangiamo viene dalle piante. Se scomparissero domani, dopo sei mesi non ci sarebbe più niente da mangiare. Scomparirebbe tutta la vita animale come la conosciamo”, ha chiarito Mancuso. Tanto per farci due conti, l’Europa avrebbe sei mesi di scorte di cibo, il resto del pianeta non ne ha o potrebbe andare avanti per meno di 15 giorni.

Le piante sono l’anello di congiunzione fra l’energia del Sole e l’energia del pianeta: prendono l’energia del Sole, che noi non possiamo usare direttamente, e la trasformano in energia chimica”, ovvero “il panino che mangiamo”.

Cos’altro possiamo imparare dalle piante?

Ma la lezione delle piante non finisce qui. Il mondo vegetale ha la capacità di costruire comunità solide, nelle quali l’obiettivo è la sopravvivenza della specie”. “Anche noi siamo una comunità, ma l’obiettivo è la sopravvivenza dei singoli individui”, ha precisato l’esperto.

Per andare avanti, però, occorre “prendersi cura del vicino”, come fanno ad esempio gli alberi, che “si prendono cura perfino dei ceppi” fornendo loro tutto ciò di cui hanno bisogno: acqua, nutrienti, protezione”.

“È come se noi decidessimo di prenderci cura, per secoli, dell’ultimo di noi. E lo facessimo non per pietà, ma perché è il modo più efficiente per garantire la sopravvivenza della comunità e della specie“, ha spiegato Mancuso. “Perché la vita funziona così: ce l’ha insegnato Darwin. Devi avere la maggiore diversità possibile. Più siete diversi, più è probabile che la specie sopravviva“.

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