Gli scoiattoli rossi sfidano il clima (ma soccombono agli scoiattoli grigi)

Non è il riscaldamento globale a piegare la specie: a minacciarla sono habitat frammentati, malattie e l’espansione degli scoiattoli grigi introdotti dall’uomo
9 Settembre 2025
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Scoiattolo Rosso Vs Scoiattolo Grigio Canva Ai
Scoiattolo rosso vs scoiattolo grigio (immagine generata con l'Ai)

Non è il riscaldamento globale a decidere le sorti degli scoiattoli rossi in Europa. Non lo è oggi, e con ogni probabilità non lo sarà nemmeno nei prossimi decenni. A dirlo sono i risultati di uno studio europeo condotto dalla Bournemouth University in collaborazione con il Wight Squirrel Project. Il team guidato dalla biologa della conservazione Alyson Buchanan ha analizzato come le popolazioni di Sciurus vulgaris rispondano a diversi scenari climatici, testando gli effetti dell’aumento delle temperature e delle variazioni nelle precipitazioni su habitat e disponibilità di cibo. Il clima, da solo, non è il fattore che spiega il declino della specie. Al contrario, le vere minacce hanno radici più tangibili e meno astratte: perdita di habitat, diffusione di malattie e pressione dello scoiattolo grigio americano, un invasore introdotto dall’uomo che ha già quasi cancellato i rossi in gran parte del Regno Unito.

Il risultato è sorprendente, ma anche spiazzante. Per anni il dibattito pubblico ha accostato automaticamente il tema del cambiamento climatico al rischio di estinzione di numerose specie animali, assumendo che tutte fossero ugualmente vulnerabili. Gli scoiattoli rossi dimostrano che la realtà è più complessa: la loro resilienza agli stress climatici non li salva comunque da un declino che prosegue, ma sposta l’attenzione sulle cause reali.

Il clima come variabile secondaria

Gli scoiattoli rossi sono distribuiti in gran parte del continente europeo, dalla penisola iberica alla Siberia, passando per i boschi di conifere scandinavi e le foreste di latifoglie italiane. Una gamma ambientale così ampia implica già una flessibilità ecologica notevole. Non sorprende allora che, nei modelli climatici elaborati dai ricercatori di Bournemouth, la specie dimostri di poter reggere bene sia a un aumento medio delle temperature, sia a una diminuzione delle precipitazioni. Ciò che in altre specie scatena collassi demografici — estati torride, piogge più irregolari, stagioni alterate — negli scoiattoli rossi sembra non avere effetti immediati. La loro dieta varia, che comprende semi di conifere, nocciole, funghi e germogli, permette di ammortizzare eventuali oscillazioni stagionali. Allo stesso tempo, il loro comportamento li porta a immagazzinare cibo, creando una sorta di “assicurazione” naturale contro carenze temporanee.

Questo non significa che il clima sia irrilevante. Ondate di calore più intense possono influenzare la fenologia delle piante, anticipando o riducendo la produzione di semi. Inverni più brevi possono modificare i cicli riproduttivi. Tuttavia, nel complesso, la specie mostra una tenuta superiore alle attese. Buchanan lo ha riassunto così: “Le popolazioni di scoiattoli rossi non sono direttamente influenzate dagli attuali modelli climatici nei modelli”. È una frase che pesa, perché sposta l’attenzione da un nemico spesso percepito come onnipresente a minacce più concrete e immediate. Per la comunità scientifica, la lezione è doppia: non tutte le specie sono uguali di fronte al riscaldamento globale e la resilienza, pur significativa, non è un lasciapassare per abbassare la guardia.

Habitat ridotti, malattie e invasori

Se il clima non è il primo responsabile, lo è invece la pressione esercitata dall’uomo e dalle specie introdotte. La perdita di habitat resta la minaccia più evidente: la frammentazione forestale, causata da urbanizzazione, agricoltura intensiva e infrastrutture, riduce lo spazio vitale per gli scoiattoli. Aree un tempo continue si spezzano in porzioni isolate, dove le popolazioni rischiano di diventare troppo piccole per restare geneticamente sane. Le foreste sostituite da piantagioni monocolturali, spesso di conifere non autoctone, offrono meno risorse e meno rifugi, impoverendo il mosaico ecologico che sostiene la specie.

Ma il colpo più duro arriva dal concorrente diretto: lo scoiattolo grigio nordamericano (Sciurus carolinensis), introdotto in Inghilterra a fine Ottocento come curiosità ornamentale e oggi trasformato in super-invasore. Più robusto e adattabile, il grigio ha un metabolismo che gli consente di sfruttare meglio le risorse, lasciando i rossi sistematicamente svantaggiati. Non basta: è portatore sano del squirrelpox virus, un patogeno innocuo per lui ma letale per gli scoiattoli rossi, che sviluppano lesioni gravi e muoiono rapidamente. In molte aree del Regno Unito, la combinazione di competizione e malattia ha spazzato via le popolazioni native in pochi decenni.

A peggiorare il quadro, le malattie non si fermano al poxvirus. Parassiti intestinali e altre infezioni incidono sulla sopravvivenza, soprattutto in popolazioni già stressate. Laddove i rossi convivono con i grigi, la curva di declino è netta e difficile da invertire. È qui che la ricerca invita a concentrare gli sforzi: contenere il grigio e proteggere gli habitat.

L’isola di Wight come laboratorio naturale

In questo contesto, l’isola di Wight, nel sud dell’Inghilterra, assume un valore simbolico e pratico. Isolata dal continente, è rimasta immune all’invasione dello scoiattolo grigio, conservando popolazioni stabili di rossi. La sua funzione è quella di un laboratorio naturale: dimostra che, in assenza di specie invasive e con habitat relativamente intatti, gli scoiattoli rossi possono resistere e prosperare. Per gli scienziati, Wight è una roccaforte e al tempo stesso un avvertimento. Se il grigio riuscisse a colonizzarla, l’equilibrio si spezzerebbe in poco tempo.

L’isola è anche un banco di prova per le politiche di conservazione. Qui, le autorità locali e i volontari monitorano con attenzione i movimenti di fauna e merci, per impedire introduzioni accidentali. Il modello dimostra che la prevenzione, più che l’eradicazione a posteriori, è la strategia vincente. Allo stesso tempo, però, mette in luce la fragilità di un sistema basato sull’isolamento: basta un errore per cancellare decenni di sforzi. In Europa continentale, dove gli spazi non sono protetti da barriere naturali, la sfida è ancora più dura. Wight resta dunque un rifugio prezioso ma precario, una sorta di microcosmo che evidenzia quanto sia sottile la linea tra resilienza e collasso.

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