L’agricoltura vitivinicola italiana sta cambiando volto. Al Vinitaly 2025, le ultime innovazioni tecnologiche presentate da Confcooperative dimostrano come il settore sia sempre più orientato verso la sostenibilità e la digitalizzazione. Dalla robotica all’intelligenza artificiale, passando per i nuovi impianti agrivoltaici, la filiera del vino italiano punta su soluzioni che migliorano la produttività e rispondono alla sfida climatica.
Robotica e AI in vigna: il caso Frasky
Una delle novità più promettenti arriva da Frasky, un robot sviluppato dal laboratorio Joiint Lab – un partenariato tra l’Istituto Italiano di Tecnologia, Università di Bergamo, Intellimech e altri attori industriali. Frasky è in grado di muoversi autonomamente tra i filari, percepire l’ambiente circostante e intervenire delicatamente sulle piante grazie a un braccio robotico dotato di end-effector soft. Il cuore dell’innovazione è il sistema di visione artificiale che sfruttando algoritmi di visione artificiale per il rilevamento dell’uva individua i grappoli d’uva, li localizza e li mappa per un’agricoltura sempre più “di precisione”, in grado di ottimizzare i raccolti e ridurre gli sprechi.
Agrivoltaico: energia pulita che protegge le viti
Sul fronte energetico, il Gruppo Caviro ha inaugurato a Forlì il più grande impianto agrivoltaico avanzato d’Italia, posizionato direttamente su un vigneto. I 1.386 pannelli bifacciali e i 63 tracker monoassiali installati su 1,5 ettari non solo producono energia pulita (1.300.000 kWh l’anno), ma svolgono anche una funzione protettiva per le viti, schermandole da grandine, vento e gelo. Il sistema si autoregola grazie a un software che bilancia luce e ombra per ottimizzare la fotosintesi e ridurre il consumo idrico delle piante. È un esempio virtuoso di come agricoltura ed energia possano coesistere in un modello di sviluppo sostenibile.
L’Italia del vino: numeri in crescita e potenziale inespresso
Le innovazioni arrivano in un momento importante per l’Italia: secondo l’Organizzazione internazionale della vigna e del vino (OIV), nel 2024 l’Italia è tornata ad essere il primo produttore mondiale con 41 milioni di ettolitri. Anche l’export registra segnali incoraggianti, con un valore di 8,1 miliardi di euro (+5,5% rispetto al 2023).
Un altro primato italiano riguarda la biodiversità: ben 80 vitigni autoctoni coprono il 75% del patrimonio viticolo nazionale, un dato che surclassa Portogallo (40 vitigni) e Francia/Spagna (15). Anche sul fronte delle denominazioni, l’Italia è in vetta con 528 certificazioni Dop/Igp, contro le 442 della Francia.
Un altro dato positivo è che il raccolto 2024 ha segnato un +7% rispetto all’annata disastrosa del 2023, quando peronospora e calamità climatiche avevano causato un calo del 20%. Tuttavia, i livelli restano inferiori alla media quinquennale (-14%), a conferma di quanto il cambiamento climatico continui a pesare sulla resa agricola, tanto da modificare la geografia dei Paesi produttori di vino, che va spostandosi sempre più verso nord, mentre i territori del sud sono a rischio desertificazione.
Reti frammentate e aziende piccole: un limite da superare
Non mancano tuttavia le criticità, a partire da quelle strutturali: il 35% delle aziende vitivinicole italiane ha meno di 5 ettari (contro il 7% in Francia), un fattore che rende difficile competere con i colossi internazionali. A questo si aggiungono calo dei consumi, difficoltà a intercettare nuovi target e crescente concorrenza estera. E i dazi Usa.
L’ombra dei dazi americani
Su questo scenario incombono infatti anche le nuove tariffe imposte dall’amministrazione Trump anche sui prodotti europei, vino incluso. I nuovi dazi, del 20% per l’Unione europea e dunque per l’Italia, rischiano di colpire duramente l’export italiano, soprattutto nel segmento che ha come principale mercato gli Stati Uniti. L’Ue ha già annunciato contromisure proporzionate, ma i timori di una guerra commerciale stanno crescendo. Secondo uno studio di Goldman Sachs, il rischio di recessione globale dovuto all’escalation dei dazi è salito al 35%.
Per il comparto vinicolo italiano, gli effetti potrebbero essere significativi: la misura impatta direttamente su un export di 2 miliardi annui verso gli Usa e dunque si teme una riduzione della competitività rispetto ai prodotti statunitensi, cileni o australiani, con conseguente calo delle vendite. I settori più esposti sono il lusso, il Prosecco e i vini Dop/Igp, mentre la fascia medio-alta potrebbe essere costretta ad abbassare i prezzi, comprimendo i margini.
Fare sistema e puntare sull’estero: le priorità per il futuro
Secondo Stefania Trenti, responsabile Industry & Local economies research di Intesa Sanpaolo, la risposta alle sfide del settore non può che essere duplice: “Da un lato, è necessario rafforzare la cooperazione tra attori della filiera per valorizzare la qualità del vino italiano. Dall’altro, bisogna investire in innovazione – dalla selezione di vitigni resilienti alla digitalizzazione – e cogliere le opportunità dei mercati esteri”.