Trasporto ferroviario regionale, ecco le linee peggiori d’Italia

Dal Rapporto Pendolaria 2025 di Legambiente un quadro critico tra cancellazioni, cantieri e servizio ridotto sulle principali tratte pendolari
18 Dicembre 2025
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Treno In Corsa Canva
Un treno in corsa_Canva

Un binario non è mai solo un binario quando diventa l’unico corridoio tra casa e lavoro quotidiano. Nelle prime ore del mattino, sulle tratte regionali più fragili, l’Italia scopre la propria vulnerabilità con un lessico ripetuto: corse soppresse, treni che arrivano già pieni, porte che non si chiudono, stazioni senza personale, annunci che cambiano pochi minuti prima della partenza. Non è un disagio generico: per chi deve timbrare, sostenere un esame, raggiungere un reparto, la differenza tra un servizio affidabile e uno intermittente si traduce in giornate che saltano. Nei territori dove l’offerta ferroviaria è scarsa, l’alternativa è quasi sempre la stessa: auto privata o autobus sostitutivo, spesso più lento e più caro, con un impatto immediato su traffico e qualità dell’aria. Quando la rete regge, le città assorbono; quando cede, i costi si spostano sulle famiglie, che in Italia destinano ai trasporti una quota di spesa superiore alla soglia europea di vulnerabilità.

In questo spazio si inserisce anche la dimensione climatica: frane, allagamenti, ondate di calore e cedimenti dei rilevati non sono più eventi “straordinari” per chi prende treni locali, ma variabili che interrompono linee già deboli e che amplificano la necessità di manutenzione e adattamento. Legambiente, attraverso l’Osservatorio Città Clima, conta dal 2010 al 2025 centinaia di eventi meteo estremi che hanno interrotto il servizio ferroviario; nel solo 2025 ne vengono censiti 26, con Roma, Milano e Napoli tra le città più colpite. Lo stesso Rapporto richiama una stima del Ministero secondo cui, entro il 2050, i danni su infrastrutture e mobilità potrebbero arrivare a 5 miliardi di euro l’anno, una quota significativa del PIL, se non si interviene con misure di adattamento.

Il Rapporto Pendolaria 2025 di Legambiente – ventesima edizione – riparte dalle tratte “peggiori”, individuate con i comitati pendolari, perché è lì che i problemi di gestione e manutenzione diventano leggibili senza filtri. Il quadro generale è consolidato: meno risorse reali al trasporto pubblico rispetto a quindici anni fa, dismissioni di rotabili non compensate e investimenti infrastrutturali urbani che avanzano a passo ridotto. Nel 2024, rileva il Rapporto, hanno circolato 185 treni regionali in meno rispetto all’anno precedente; nello stesso periodo l’età media delle flotte scende, ma la sostituzione non basta a coprire l’offerta. È un contesto in cui le grandi opere monopolizzano attenzione e bilanci, mentre le linee che muovono ogni giorno lavoratori e studenti accumulano ritardi per binari unici, segnalamenti obsoleti, cantieri senza un piano di esercizio che garantisca continuità. Per questo la lista dei casi critici non fotografa un’Italia marginale: include assi metropolitani come Roma-Ostia, linee che drenano domanda verso Milano e collegamenti essenziali tra capoluoghi e aree interne. Dentro questi corridoi si incrociano tre fattori: infrastrutture incomplete, flotte che non coprono il servizio programmato e governance frammentata tra gestori, enti proprietari e decisori politici. Il risultato è una mobilità trattata come variabile residuale: si tagliano corse e si allungano i tempi, poi si rincorrono i problemi con bus sostitutivi e interventi tampone. Nel focus sulla transport poverty il Rapporto richiama la soglia del 6% della spesa familiare per i trasporti indicata da documenti della Commissione europea come segnale di vulnerabilità; in Italia la spesa media arriva al 10,8%, dato che rende più pesante ogni discontinuità del servizio su ferro. Le “linee peggiori” funzionano anche come stress test per le politiche pubbliche: dove il servizio cade, la domanda non scompare, si sposta. Una parte si riversa sulle arterie stradali, un’altra rinuncia agli spostamenti, con effetti su lavoro e istruzione. Il Rapporto lega la qualità del servizio a scelte verificabili: raddoppi rimandati, elettrificazioni bloccate, rotabili che entrano ed escono dall’esercizio, cantieri comunicati ma non coordinati con l’orario reale. In questo perimetro, la lista delle tratte critiche diventa una cartina di tornasole su ciò che lo Stato e le Regioni considerano “essenziale”.

1. Circumvesuviana e linee interne campane

La Campania concentra due casi che, pur diversi, mostrano la stessa fragilità. Sulla ex Circumvesuviana Pendolaria registra 13 milioni di passeggeri persi in dieci anni e descrive un servizio sotto gli standard: convogli datati, climatizzazione spesso assente, stazioni senza personale e varchi d’accesso aperti, con controlli ridotti a eccezione. Nel capitolo dedicato alle corse, l’assetto dell’offerta resta legato a un orario definito “provvisorio” dal luglio 2023, che sposta capacità verso la direttrice per Sorrento: 29 corse al giorno e ultima partenza da Napoli alle 22:11, mentre per Baiano si scende a 13 corse con cambio a Volla e ultima partenza alle 18:00; Poggiomarino ne ha 19 e Sarno 20, con ultime partenze intorno alle 19:30. Nel frattempo, le tratte interrotte (Volla è il punto critico citato nel Rapporto) affidano la continuità a bus sostitutivi spesso disallineati dagli orari, mentre sovraffollamento e guasti alimentano la fuga dall’abbonamento. Il Rapporto richiama anche gli ulteriori slittamenti sulle consegne dei nuovi treni e il braccio di ferro tra gestore e fornitore sulle penali, segno di una modernizzazione rimasta a metà.

 A pochi chilometri, la Salerno-Avellino-Benevento è l’altra faccia del problema: l’Irpinia resta l’unica provincia campana senza collegamenti ferroviari per passeggeri e la riapertura della stazione di Avellino viene indicata come rinviata a giugno 2027, dopo una sequenza di posticipi su un intervento finanziato per circa 174 milioni di euro. I lavori di elettrificazione e ammodernamento procedono a rilento e, oltre al rifacimento dei binari, includono il rafforzamento di ponti, gallerie, muri e opere civili lungo la tratta. Nel vuoto ferroviario, studenti e lavoratori continuano a spostarsi su gomma o in auto, con frequenze serali ridotte e collegamenti extra-regionali spesso affidati a operatori privati. Pendolaria descrive la stazione ricostruita dopo il sisma del 1980 come un luogo fermo, tra binari deserti e monitor spenti, mentre l’assenza del treno pesa anche sui collegamenti verso i poli universitari e sanitari dell’area salernitana.

2. Roma Nord–Viterbo e Roma–Lido

Nel Lazio le due ferrovie ex concesse che servono Roma – la Roma Nord-Viterbo e la Roma-Lido – continuano a produrre numeri da emergenza ordinaria. Pendolaria, citando i report del Comitato Pendolari Ferrovia Roma Nord, indica un trend di corse soppresse che cresce: 7mila nel 2023, oltre 6.500 nel 2024, più di 8mila nei primi dieci mesi del 2025; il solo ottobre conta 1.050 soppressioni, 994 nel tratto urbano, pari al 23% del servizio urbano totale. Sullo sfondo ci sono cantieri diffusi e una gestione dell’infrastruttura che fa affidamento su lavori mobili notturni, annunciati come necessari anche per la tratta extraurbana e destinati a proseguire fino ad aprile 2026, mentre in molte stazioni restano chiuse le biglietterie e le barriere architettoniche limitano l’accesso.

La Roma-Lido, 28,3 chilometri tra centro e mare, alterna stop improvvisi e ripartenze a ranghi ridotti: nel 2025 il Rapporto segnala il blocco della linea per un guasto alla rete in fibra ottica il 30 ottobre e un nuovo fermo sull’infrastruttura il 13 novembre, oltre alle difficoltà del materiale rotabile, con convogli MA200 temporaneamente sospesi per guasti alle porte e alla trazione. Tra i correttivi citati figurano il trasferimento di sette treni Hitachi dalla Metro B, il rinnovo della linea aerea, l’ammodernamento di segnalamento e controllo e la manutenzione rafforzata, insieme a nuove stazioni come Mezzocammino e Giardino di Roma.

Il dossier Roma Nord include anche il raddoppio tra Riano e Morlupo, avviato nell’estate 2025, con interventi che prevedono due viadotti, due gallerie e l’eliminazione di alcuni passaggi a livello; sul materiale rotabile si cita la gara per dotare cinque treni Alstom del sistema train-stop, passaggio tecnico che consentirebbe di aumentare i convogli utilizzabili sulla tratta urbana. Parallelamente Astral sta intervenendo sui sistemi di informazione all’utenza, con l’attivazione di nuovi impianti di diffusione sonora lungo la linea. Ma la ricaduta concreta resta concentrata sulle ore di punta: corse che saltano a ridosso della partenza, tempi di percorrenza che si dilatano e coincidenze con metro e bus costruite su orari teorici. Sulla Roma-Lido, l’accordo tra Comune e Regione per i treni in arrivo da un’altra linea mostra l’approccio tampone: spostare materiale per reggere la domanda senza sciogliere, nell’immediato, i nodi su affidabilità e disponibilità di flotta. Ma il disservizio non riguarda solo le reti sottofinanziate o le ferrovie ex concesse. Anche dove i cantieri sono aperti e gli investimenti annunciati, la qualità del servizio resta fragile.

3. Sistema ferroviario regionale e metropolitano piemontese

In Piemonte il problema non è l’assenza di investimenti, ma la loro gestione quotidiana. Il Sistema Ferroviario Regionale e Metropolitano è attraversato da una stagione di cantieri estesi e sovrapposti, avviati con l’obiettivo dichiarato di aumentare affidabilità, velocità e capacità dell’infrastruttura. Nella pratica, però, l’effetto immediato per gli utenti è un peggioramento sensibile della qualità del servizio: ritardi frequenti, cancellazioni improvvise, sostituzioni con autobus che allungano i tempi di percorrenza e rompono la continuità del viaggio. I lavori si innestano su criticità storiche che riguardano sia l’infrastruttura sia il materiale rotabile e che tendono a ripresentarsi negli stessi nodi: malfunzionamenti di passaggi a livello, deviatoi e segnalamento; avarie alle porte di carrozze vetuste e con manutenzione discontinua; immissione in servizio di convogli trasferiti da altre regioni, già logori e in condizioni igieniche precarie. A questo si somma una gestione dell’esercizio che fa largo ricorso alla cancellazione delle corse, talvolta senza alternative credibili, e una comunicazione all’utenza giudicata insufficiente nei momenti critici. Le carenze strutturali si riflettono anche sull’accessibilità: molte banchine restano inadeguate all’incarrozzamento, soprattutto per le persone con ridotta mobilità, mentre sulle linee a binario unico il numero limitato di punti d’incrocio continua a ridurre la flessibilità dell’orario.

La consegna dei nuovi convogli Pop e Rock, prevista completarsi nel corso del 2026, rappresenta un passaggio atteso ma non risolutivo. Secondo Pendolaria, l’arrivo dei nuovi treni non consentirà comunque la sostituzione integrale del materiale circolante oggi in esercizio. Nel frattempo, rispetto al 2024 si registra un miglioramento degli indici di puntualità e un aumento dei passeggeri trasportati, ma il dato va letto alla luce di un’offerta ancora ridotta rispetto al periodo pre-pandemico. Nel Servizio Ferroviario Metropolitano torinese le criticità maggiori si sono concentrate sulla linea SFM 2 Pinerolo-Chivasso, mentre segnali di parziale miglioramento emergono sulla SFM 4 Alba-Germagnano e sulla SFM 7 Fossano–Germagnano. Anche su queste direttrici, però, persistono disfunzioni incompatibili con un servizio che dovrebbe garantire frequenze affidabili e integrazione reale con il trasporto urbano. Sul fronte del servizio regionale, la situazione resta particolarmente delicata sulle linee Torino-Savona e Torino-Milano, che continuano a registrare livelli di efficienza e puntualità tra i più bassi del Nord Italia. La Torino-Cuneo mostra performance leggermente migliori, ma con margini di recupero ancora ampi, mentre la Novara-Biella resta penalizzata da un’infrastruttura che limita velocità e regolarità. Fatta eccezione per alcune corse ripristinate sulla Torino-Milano, permangono le riduzioni introdotte durante la pandemia, alle quali si aggiunge la sospensione prolungata di otto linee regionali. L’attivazione di collegamenti diretti tutto l’anno tra Asti e Milano Centrale, con cadenzamento biorario, viene indicata come segnale positivo, ma anche in questo caso emerge la necessità di rafforzare le linee complementari verso le aree interne, dove il treno resta spesso l’unica alternativa all’auto privata.

4. Linee ferroviarie regionali tra Lombardia e Veneto

Spostandosi verso est, il quadro cambia ma non migliora: qui il servizio non cede per mancanza di investimenti, bensì per saturazione delle linee e ritardi infrastrutturali accumulati. La Milano-Mortara-Alessandria, utilizzata da circa 19mila viaggiatori al giorno, viene indicata tra le peggiori per ritardi e soppressioni legati al mancato raddoppio: Pendolaria ricorda l’episodio del 30 settembre, con ritardi fino a due ore, corse cancellate e perfino l’intervento delle forze dell’ordine per gestire l’affollamento nei vagoni. Il problema, nel report, non è solo il cantiere che si prolunga nelle ore notturne, ma l’assenza di un accordo operativo tra Governo, Regione e Comuni per colmare il tratto mancante di doppio binario, anche con soluzioni selettive meno invasive. Le novità d’orario di dicembre 2025 – l’istituzione della suburbana S19 Abbiategrasso-Rogoredo e lo spostamento della R31 Milano-Mortara da Porta Genova a Rogoredo – vengono lette come un passo in avanti perché agganciano l’alta velocità e il nodo metropolitano; resta però il rischio di vanificarle senza biglietti e abbonamenti integrati tra treno, metro e bus. La direttrice lombarda attraversa territori dove il pendolarismo è spesso l’unico antidoto ai costi dell’abitazione milanese: Abbiateense, Vigevanese e Lomellina portano ogni mattina verso il capoluogo una platea che dipende da coincidenze strette e margini di recupero quasi nulli. Quando il segnalamento o un deviatoio impongono rallentamenti, l’effetto si propaga fino alle stazioni periferiche, con soste prolungate e informazioni frammentarie.

Nel Nord-Est, la Vicenza-Schio mostra un altro collo di bottiglia: 30 chilometri a binario unico, non elettrificati, ancora affidati a trazione diesel, con frequenze che nelle ore di punta non reggono una domanda crescente di studenti e lavoratori. Pendolaria mette in fila i fattori che frenano l’ammodernamento: 25 passaggi a livello – sei privati – difficoltà tecniche e una cronica mancanza di fondi, mentre l’elettrificazione prevista nei piani di Rfi resta sulla carta e i pendolari attendono un calendario credibile. Sulla Vicenza-Schio, oltre all’elettrificazione, nel Rapporto compare la richiesta di una nuova fermata in località Pilastroni, pensata per servire un’area industriale e ridurre traffico stradale: un dettaglio che restituisce la scala dei bisogni, spesso più minuta delle grandi opere, ma decisiva nella vita quotidiana.

5. Reti ferroviarie insulari e del Sud Est

Nelle reti periferiche il disservizio assume spesso la forma di un servizio rarefatto, dove basta un guasto per spezzare l’unica alternativa all’auto. La Sassari-Alghero, 30 chilometri tra due poli che potrebbero funzionare come un unico bacino urbano, entra tra le criticità 2025: il nuovo orario in vigore dall’8 settembre, secondo Pendolaria, ha generato proteste per la cancellazione di quattro coppie di treni e per l’allungamento dei tempi di percorrenza di circa dieci minuti imposto da misure di sicurezza. Il Rapporto osserva che gli investimenti sul materiale rotabile non bastano senza una rete capace di offrire frequenza e affidabilità e richiama, come ipotesi più razionale, l’integrazione con un sistema tram o tram-treno elettrico, capace di collegare anche l’aeroporto senza “rotture di carico”.

In Sicilia resta aperta la ferita della Catania-Caltagirone-Gela: la ricostruzione del viadotto Carbone, crollato nel 2011, non vede avanzamenti e il progetto in corso prevede solo ammodernamenti senza elettrificazione e senza secondo binario, con una velocità commerciale indicata in 42 km/h sulla tratta Catania-Caltagirone. Pendolaria segnala inoltre la Piraineto-Castelvetrano-Trapani, chiusa per lavori e poi riaperta senza miglioramenti sostanziali, e i disagi a Mozia-Birgi e Marausa, con 13 treni soppressi il 22 ottobre su 26 programmati; restano fermi anche i lavori di ammodernamento ed elettrificazione della Alcamo-Trapani (via Milo), chiusa dal 2013.

Nel Mezzogiorno continentale, Ferrovie del Sud Est è un capitolo a parte: il servizio Bari-Martina Franca (via Conversano) è ripartito solo parzialmente il 15 settembre dopo sei anni di stop, mentre pesa la sentenza del Consiglio di Stato dell’agosto 2024 sul contributo straordinario da 70 milioni del 2016 e, in parallelo, un percorso di ristrutturazione societaria che prevede liquidazione, “newco” e separazione dei debiti. Nel Rapporto si citano l’elettrificazione completata sulla Francavilla Fontana-Lecce e i cantieri ancora aperti sulla Zollino-Gagliano del Capo, ma soprattutto l’effetto contabile della vicenda: la creazione di un fondo rischi da 73 milioni che ha alimentato perdite per oltre 130 milioni, l’istanza di concordato “in bianco” presentata il 31 dicembre 2024 e il piano di ristrutturazione approvato nel 2025, con l’ipotesi di una società operativa entro giugno 2026 e una “bad company” per il contenzioso. In questi contesti, la riduzione del servizio ferroviario non produce solo disagi temporanei, ma ridefinisce in modo permanente le possibilità di movimento di interi territori.

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