Come il surriscaldamento climatico sta cambiando le colture in Italia

Avocado in Sicilia, olive al Nord e grano in crisi: l’agricoltura italiana fa i conti con il cambiamento climatico
5 Agosto 2024
6 minuti di lettura
Coltura Terreno

Lo comprereste un avocado dalla Sicilia? Ormai, è un prodotto locale dell’isola, che intanto continua a fare i conti con una grave siccità.

Non è un esperimento isolato o una bizzarria agricola, ma un sintomo di come il cambiamento climatico sta cambiando le colture in Italia e nel mondo.

Come il clima cambia l’agricoltura

L’aumento delle temperature medie, la modifica dei regimi di precipitazioni e l’intensificarsi dei fenomeni estremi stanno costringendo gli agricoltori a ripensare le proprie strategie colturali.

In Italia, questo fenomeno si manifesta in modi diversi da nord a sud: al Settentrione, colture tradizionalmente associate al Mediterraneo stanno gradualmente risalendo la penisola; al Centro, alcune produzioni storiche soffrono per la siccità e le ondate di calore, mentre al Sud e nelle Isole, si assiste all’arrivo di specie tropicali e subtropicali che fino a pochi anni fa erano impensabili a quelle latitudini.

Il caso emblematico degli avocado siciliani

Torniamo agli avocado siciliani, esempio perfetto di come il cambiamento climatico stia modificando il panorama agricolo italiano. Negli ultimi anni sono nate diverse piantagioni di avocado sull’isola, in particolare nella zona di Siracusa. Il clima sempre più caldo ha creato condizioni ideali per questa coltura tropicale, tradizionalmente associata a Paesi come Messico e Perù.

Ma non è solo una questione di temperature più elevate. Gli agricoltori siciliani hanno dovuto adattare le tecniche di coltivazione, studiare sistemi di irrigazione efficienti e selezionare varietà adatte al microclima locale. Il risultato? Avocado di alta qualità che stanno conquistando i mercati nazionali e internazionali, offrendo una nuova opportunità economica per l’isola, ma ne riflettono anche un cambiamento forse irreversibile. La produzione di avocado in Sicilia è passata da poche centinaia di chili nel 2015 a oltre 50 tonnellate nel 2023, con una previsione di crescita del 20% annuo nei prossimi anni.

L’olivo conquista il Nord, il riso soffre in Pianura Padana

Spostandoci verso nord, troviamo un altro esempio sorprendente: l’espansione dell’olivicoltura in regioni tradizionalmente considerate troppo fredde per questa coltura. Negli ultimi anni si sono moltiplicate le coltivazioni di olivo in Veneto, Trentino e persino in Valle d’Aosta. L’aumento delle temperature medie ha reso queste zone adatte a varietà selezionate di olivo: secondo i dati dell’ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare), la superficie dedicata all’olivicoltura in Veneto è aumentata del 15% negli ultimi 5 anni, raggiungendo i 5.000 ettari nel 2023.

Al contempo, però, colture storiche del Nord Italia stanno affrontando sfide importanti. È il caso del riso in Pianura Padana la cui produzione è messa a serio rischio dall’aumento delle temperature e dalla diminuzione delle precipitazioni, costringendo gli agricoltori a cercare varietà più resistenti alla siccità e a rivedere le tecniche di irrigazione. Secondo dati dell’Ente Nazionale Risi, la produzione di riso in Italia ha subito un calo del 30% nel 2022 rispetto alla media degli ultimi cinque anni, principalmente a causa della siccità.

Frutta tropicale in Italia

Tornando al Sud, il cambiamento climatico non sta portando solo gli avocado della Sicilia. Come riporta Greenme.it, nell’isola e in Calabria si stanno diffondendo coltivazioni di mango, papaya e frutto della passione, prodotti tipicamente esotici, a riprova di come l’allarme siccità di questi mesi potrebbe diventare una caratteristica inesorabile per il Mezzogiorno del Paese.

Un risvolto positivo?

Forzando la mano, si può scorgere una nota positiva in questa situazione ai limiti della distopia, ma prima bisogna fare una riflessione sulle abitudini di consumo. La globalizzazione ha senz’altro fatto schizzare in alto la domanda di prodotti che il nostro territorio non offre, frutti esotici in primis, oppure che offre in altri periodi dell’anno (cosiddetta frutta fuori stagione).

Questa elevata richiesta di frutta “estera” genera almeno tre tipi di conseguenze negative:

  • mangiamo cibi trattati per affrontare lunghi viaggi e resistere nella rete della grande distribuzione organizzata;
  • sfruttiamo, spesso inconsapevolmente, il lavoro di persone che operano in Paesi privi di alcuna misura di sicurezza e tutela legale nei confronti degli agricoltori. Sia chiaro: anche l’Italia ha un enorme problema di sfruttamento e caporalato, ma altrove questo non desta scalpore tra la gente né tra le istituzioni; è semplicemente la normalità;
  • la mancanza di regole colpisce gli abitanti di alcuni Paesi in via di sviluppo anche se non lavorano a quella specifica produzione. Alcune comunità, ad esempio, perdono la loro unica fonte di acqua accessibile perché le multinazionali la utilizzano per soddisfare le richieste del mercato.

Alla luce di queste riflessioni, la “tropicalizzazione” delle colture in Italia può portare degli effetti positivi. Dati del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (CREA) indicano che la superficie dedicata a queste colture tropicali in Sicilia e Calabria è aumentata del 40% tra il 2018 e il 2023, passando da circa 500 a 700 ettari.

È indubbio, però, che avere in Italia frutti esotici a “chilometro zero” non possa lasciare indifferenti. Inoltre, la gestione dell’acqua per le colture in un contesto di crescente siccità è un aspetto preoccupante per le comunità locali. Bisogna infine valutare l’impatto che queste nuove colture portano sull’ecosistema locale.

Le colture tradizionali sotto pressione

Senza dimenticare che se alcune produzioni trovano nuove opportunità, altre soffrono. È il caso di grano duro della Puglia, cuore della produzione italiana di pasta, messo a rischio dall’aumento delle temperature e dalla riduzione delle precipitazioni. Le rese sono costantemente in calo, una intera filiera rischia di crollare sotto i colpi del surriscaldamento climatico.

Secondo dati di Coldiretti, la produzione di grano duro in Puglia ha registrato un calo del 35% nel 2023 rispetto alla media degli ultimi cinque anni.

Analogamente, la vitivinicoltura italiana, fiore all’occhiello del Made in Italy agroalimentare, deve fare i conti con il cambiamento climatico. Vendemmie sempre più precoci, gradazioni alcoliche in aumento e rischi legati a gelate tardive o grandinate improvvise sono solo alcune delle sfide che i viticoltori devono affrontare. Dati dell’Associazione Enologi Enotecnici Italiani (ASSOENOLOGI) mostrano che negli ultimi 30 anni la vendemmia si è anticipata in media di 10-15 giorni in tutta Italia, con punte di 20-25 giorni in alcune regioni del Sud.

Adattamento e innovazione: le risposte dell’agricoltura italiana

Di fronte a questi cambiamenti, il settore agricolo italiano sta dimostrando una notevole capacità di adattamento e innovazione. Le iniziative volte a rendere l’agricoltura più resiliente ai cambiamenti climatici sono diverse:

1. Ricerca e selezione di varietà resistenti alla siccità e alle alte temperature;
2. Sviluppo di sistemi di irrigazione più efficienti e sostenibili;
3. Adozione di pratiche agronomiche conservative, come l’agricoltura di precisione e le tecniche di minima lavorazione del suolo;
4. Utilizzo di tecnologie digitali per il monitoraggio delle condizioni ambientali e la gestione ottimale delle risorse;
5. Diversificazione delle colture per ridurre i rischi legati agli eventi climatici estremi;

Un esempio concreto di questa capacità di innovazione viene dalla Toscana, dove alcuni produttori di vino stanno sperimentando con successo varietà di vitigni resistenti alle malattie fungine. Questa scelta non solo riduce l’uso di pesticidi, ma rende anche le viti più resilienti di fronte alle sfide poste dal cambiamento climatico. Secondo dati del Consorzio Vino Chianti, l’adozione di queste varietà resistenti ha permesso di ridurre l’uso di fitofarmaci del 70% nelle aziende che le hanno introdotte.

Il ruolo cruciale delle politiche agricole

Tuttavia, l’adattamento dell’agricoltura al cambiamento climatico non può essere lasciato solo all’iniziativa dei singoli agricoltori. È fondamentale un approccio sistemico che coinvolga istituzioni, mondo della ricerca e settore privato.

In questo senso, la nuova Politica Agricola Comune (PAC) dell’Unione Europea pone una forte enfasi sulla sostenibilità ambientale e sull’adattamento ai cambiamenti climatici. Incentivi per pratiche agricole rispettose dell’ambiente, sostegno alla ricerca e all’innovazione, e misure per la gestione del rischio climatico sono alcuni degli strumenti messi in campo. Il regolamento prevede che almeno il 40% del budget totale sia destinato ad azioni per il clima e l’ambiente.
Sul nostro progetto Eurofocus, abbiamo visto come la PAC venga aspramente contestata dagli agricoltori e dai partiti di destra, ma al tempo stesso sia necessario una inversione di rotta per ridurre i danni del cambiamento climatico alla colture.

A livello nazionale, il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC) dedica ampio spazio al settore agricolo, delineando strategie e azioni concrete per aumentare la resilienza delle produzioni italiane.

Uno sguardo al futuro: sfide e opportunità

Il cambiamento climatico sta dunque ridisegnando il panorama agricolo italiano, portando con sé sfide ma anche opportunità. Se da un lato alcune colture tradizionali sono minacciate, dall’altro si aprono nuove prospettive per produzioni innovative e ad alto valore aggiunto.

La chiave per il futuro dell’agricoltura italiana risiederà nella capacità di coniugare tradizione e innovazione, valorizzando il patrimonio di biodiversità e know-how agronomico del Paese, ma al contempo abbracciando le nuove tecnologie e adattandosi a un contesto climatico in rapida evoluzione.

Si pensi, a titolo di esempio, a come Google vuole usare l’intelligenza artificiale contro il cambiamento climatico. Un anno fa, il colosso americano ha annunciato tre prodotti che sfruttano l’Ai e il machine learning per affrontare le sfide ambientali e aiutare aziende e cittadini a ridurre il proprio impatto ambientale. Questi software combinano l’Ia, il machine learning, le immagini aeree e i dati ambientali per fornire informazioni aggiornate sul potenziale solare, la qualità dell’aria e i livelli di polline. Tutti e tre i prodotti rientrano nelle Api (application programming interface), ovvero interfaccia di programmazione delle applicazioni (qui se vuoi saperne di più).

Questo è solo un esempio di come la tecnologia può aiutare a migliorare la situazione e a contrastare il cambiamento climatico, prima che sia troppo tardi. In questo scenario, la formazione degli agricoltori, il sostegno alla ricerca scientifica e la promozione di pratiche agricole sostenibili diventano elementi cruciali. Solo attraverso un approccio integrato e lungimirante sarà possibile trasformare la sfida del cambiamento climatico in un’opportunità di crescita e innovazione per l’intero settore agroalimentare italiano.

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