Da Roma a Milano, 68°C al suolo e insegne che cedono: le città italiane sotto assedio termico

Tra cooling poverty, periferie vulnerabili e allarmi sanitari
30 Giugno 2025
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Milano, Cedimento Dell'insegna Generali Sulla Torre Hadid Al Citylife
Milano, cedimento dell'insegna Generali sulla Torre Hadid al Citylife (Ipa/Fotogramma)

L’estate è iniziata ufficialmente da poco più di una settimana, ma l’intensità del caldo ha già superato le soglie di sicurezza in molte città italiane. Tra fine maggio e il 20 giugno, il Ministero della Salute ha emesso 21 bollettini di allerta caldo, con 23 giornate classificate come “livello 3” – il massimo previsto. Roma e Milano sono tra le dieci città colpite più duramente. Il fenomeno è sistemico e in rapida crescita. Ma non riguarda solo le temperature: è il modo in cui le città reagiscono – o non reagiscono – a fare la differenza.

Negli spazi urbani, il caldo viene amplificato da asfalto, cemento e carenza di vegetazione. I centri abitati, specialmente quelli più densi e meno verdi, funzionano come accumulatori di calore, trasformandosi in ambienti ostili. Il fenomeno ha un nome tecnico: isola di calore urbana. A Roma, lo scarto termico tra aree centrali con verde e periferie asfaltate può superare i 20°C. A Milano, l’assenza di ventilazione nei quartieri più compatti rende difficile la dispersione del calore anche di notte.

La criticità è doppia: da un lato, l’impatto sulla salute – con un eccesso di mortalità estiva già registrato nel 2024, +8% al Nord e +9% al Centro-Sud tra gli anziani – e dall’altro, l’impatto sociale, che colpisce in particolare chi vive in condizioni abitative precarie. Le case mal isolate diventano forni. I quartieri periferici, senza alberi né ombra, trasformano una giornata estiva in una condizione insostenibile. E chi non ha mezzi per proteggersi, paga il prezzo più alto.

Come la cooling poverty si insinua nelle periferie urbane

Il caldo estremo colpisce in modo selettivo. Non si distribuisce in modo uniforme né sul territorio né tra i gruppi sociali. Le aree più esposte sono spesso quelle con meno risorse: quartieri periferici, densamente popolati, con un alto tasso di povertà abitativa. Ed è qui che si concentra il fenomeno della cooling poverty, la povertà da raffrescamento.

Chi vive in abitazioni non isolate, senza condizionamento, circondato da asfalto e senza ombra, è più esposto. E spesso non può permettersi alternative. Nessun impianto di climatizzazione, nessun parco sotto casa, nessuna copertura alle fermate dei mezzi. I numeri lo confermano: nel 2024, l’eccesso di mortalità tra gli over 85 è aumentato dell’8% al Nord e del 9% al Centro-Sud, in concomitanza con le ondate di calore.

La campagna Che caldo che fa!, lanciata da Legambiente con Banco dell’Energia, ha mappato quartieri a rischio in cinque città: Roma, Napoli, Bologna, Milano e Palermo. A Roma, i quartieri Garbatella e Don Bosco sono stati analizzati con termocamere. Le immagini mostrano temperature medie di 35,4°C e 37,9°C, con punte al suolo di 68°C. Le fermate degli autobus, le piste ciclabili e i parcheggi pubblici risultano tra i punti più critici.

Le differenze all’interno della stessa area sono nette. In Garbatella, il parco Cavallo Pazzo mostra una differenza di temperatura di 24°C tra zone in ombra e in pieno sole. A Don Bosco, una carreggiata ombreggiata – oggi adibita a parcheggio – risulta uno dei pochi luoghi “freschi” del quartiere. A Milano, aree come Quarto Oggiaro, Corvetto o Comasina mostrano profili simili.

Il problema non è solo climatico, ma urbanistico. Molti quartieri sono stati costruiti senza tenere conto della mitigazione termica. Oggi, quegli errori si pagano. La mancanza di spazi verdi, l’eccesso di superfici impermeabili e l’assenza di progettazione climatica sono fattori che rendono queste aree vere e proprie trappole di calore. E senza interventi mirati, la situazione non può che peggiorare.

Roma fra strategia climatica e consumo di suolo

Roma ha ufficialmente una Strategia di Adattamento Climatico. È stata adottata a gennaio 2025: 400 pagine che contengono indicazioni sensate – incremento del verde urbano, uso di materiali riflettenti, creazione di tetti verdi, miglioramento del drenaggio. Ma intanto, in città si continua a tagliare alberi e a costruire suolo impermeabile. Dal 2021 a oggi sono stati abbattuti 13.000 alberi, a fronte di poco meno di 30.000 nuovi esemplari piantati. Il saldo è positivo, ma l’efficacia no: un giovane albero impiega decenni a fornire l’ombreggiamento e l’assorbimento di un esemplare maturo.

Nel frattempo, la cementificazione continua. L’Ispra segnala che nel 2024 Roma ha consumato oltre 105 ettari di suolo, l’equivalente di 150 campi da calcio. I nuovi cantieri, le strade, i piazzali impermeabili aggravano l’effetto isola di calore. Il piano comunale prevede l’utilizzo di materiali riflettenti e superfici drenanti, ma nel concreto i marciapiedi continuano a essere rifatti in asfalto e le grandi aree commerciali continuano a moltiplicarsi.

Non è solo un problema ecologico. L’impermeabilizzazione del suolo aumenta il rischio di alluvioni. Secondo l’ISPRA, nella città metropolitana di Roma vivono 140.000 persone a rischio esondazione. E anche qui, chi abita nelle periferie è il primo a pagare.

A Milano CityLife ‘chiusa per caldo’

E poi c’è Milano, spesso raccontata come esempio di smart city, sostenibile e all’avanguardia. Ma anche qui il caldo estremo sta mostrando limiti e vulnerabilità. Ne è un esempio il cedimento strutturale dell’insegna di Generali in cima alla Torre Hadid, nel cuore del quartiere CityLife. Nessun ferito, ma l’intera area è stata chiusa per sicurezza. Le indagini sono in corso, ma tra le ipotesi c’è anche il ruolo delle alte temperature.

Nel frattempo, la Regione ha approvato un’ordinanza che sospende le attività lavorative all’aperto in caso di temperature eccessive. Il provvedimento arriva dopo le richieste dei sindacati e riconosce un dato ormai ineludibile: l’estate a Milano è diventata un fattore di rischio per chi lavora sotto il sole. Il dato termico è coerente: 66 giorni consecutivi con temperature sopra i 32°C, 79 notti tropicali, e picchi percepiti oltre i 40°C. Anche qui il caldo non si distribuisce in modo uniforme. I quartieri centrali, più verdi e ventilati, reggono meglio. Ma nelle periferie – in particolare a nord-ovest, tra Quarto Oggiaro e Bovisa, o a sud lungo la direttrice di via Ripamonti – il mix tra asfalto, edilizia densa e mancanza di alberature crea veri e propri focolai urbani.

Milano dispone di un piano strategico climatico, e di progetti interessanti come i tetti verdi o il Bosco Verticale. Ma la tenuta complessiva resta parziale. Gli edifici alti, spesso vetrati e scarsamente isolati, diventano accumulatori di calore. E i fenomeni di “urban canyon” – strade strette circondate da palazzi – aggravano l’effetto isola di calore.

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