L’Italia continua a trovarsi in una posizione di forte svantaggio nella classifica globale delle performance climatiche. A confermarlo è il rapporto annuale stilato da Germanwatch, Can e NewClimate Institute, in collaborazione con Legambiente, secondo il quale, il nostro Paese, purtroppo, non ha fatto significativi progressi, rimanendo stabile in 43esima posizione nel 2024.
Questo conferma la continua difficoltà nel migliorare le proprie politiche ambientali, dopo il deludente 44esimo posto registrato lo scorso anno, quando l’Italia perse ben 15 posizioni.
Il rapporto a Baku durante la Cop29
Il rapporto, presentato a Baku durante la Cop29, valuta le performance climatiche di 63 Paesi, oltre all’Unione europea nel suo complesso, che insieme rappresentano oltre il 90% delle emissioni globali. Le performance sono analizzate attraverso il Climate Change Performance Index (Ccpi), che si basa su tre indicatori principali: l’andamento delle emissioni, lo sviluppo delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica, e le politiche climatiche adottate dai Paesi.
Secondo Legambiente, l’Italia paga il prezzo di un rallentamento nella riduzione delle emissioni di gas serra, con un preoccupante 38esimo posto nella relativa classifica. Inoltre, la politica climatica nazionale, che si colloca al 55esimo posto, risulta inadeguata rispetto alle sfide imposte dalla crisi climatica. Il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (Pniec) viene definito poco ambizioso, e non riesce a tenere il passo con le necessità urgenti di riduzione delle emissioni e di transizione energetica.
Il ritardo energetico
Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, ha sottolineato che l’Italia continua ad avere una visione miope riguardo la propria politica energetica, che non solo non aiuta a ridurre i costi energetici per famiglie e imprese, ma sta creando nuove dipendenze dall’estero, soprattutto da Paesi politicamente instabili. La crisi climatica, infatti, accelera i suoi effetti, con eventi meteo estremi sempre più frequenti, che impattano pesantemente sull’agricoltura e sull’economia del Paese.
“Se l’Italia vuole davvero voltare pagina e risalire anche la classifica delle performance climatiche – ha affermato Ciafani -, deve compiere un deciso cambio di passo con politiche climatiche più ambiziose e interventi decisi, anche nel settore della mobilità e dell’edilizia. Il nostro Paese può colmare l’attuale ritardo e centrare l’obiettivo climatico del 65% di riduzione delle emissioni entro il 2030, in coerenza con l’obiettivo di 1.5 gradi Celsius, grazie soprattutto al contributo dell’efficienza energetica, di rinnovabili, reti e accumuli, e dell’innovazione tecnologica. È su questo che deve lavorare in prima battuta – ha poi concluso -, abbandonando la strada delle fonti fossili e del nucleare, lavorando per semplificare e velocizzare gli iter autorizzativi dei progetti di impianti e infrastrutture che vanno nella direzione della lotta alla crisi climatica e dell’indipendenza energetica”.
Le prospettive globali
Nonostante la persistente crescita delle energie rinnovabili, la classifica globale non premia ancora nessun Paese, poiché nessuno ha raggiunto la performance necessaria per fermare il riscaldamento globale sotto la soglia critica di 1.5 gradi. In testa alla classifica si trova la Danimarca, seguita dai Paesi Bassi e dal Regno Unito, che hanno fatto progressi significativi nelle politiche climatiche. La Cina, che rappresenta la maggiore responsabile delle emissioni globali, scivola al 55esimo posto, mentre gli Stati Uniti restano al 57esimo.
La situazione del G20 è particolarmente preoccupante, con paesi come la Corea del Sud, la Russia e l’Arabia Saudita che occupano le ultime posizioni. Tra i Paesi più virtuosi ci sono il Regno Unito (sesto) e l’India (decimo), che dimostrano come le politiche climatiche ambiziose possano davvero fare la differenza.
Finanzia climatica
Per accelerare la transizione energetica e affrontare l’emergenza climatica, è fondamentale che tutti i Paesi, industrializzati e in via di sviluppo, adottino politiche climatiche ambiziose. Un elemento centrale in questo contesto è la finanza climatica, che dovrà svolgere un ruolo cruciale alla Cop29 in corso a Baku. La richiesta dei piccoli Stati insulari (Aosis) è chiara: occorrono almeno 1.000 miliardi di dollari l’anno in aiuti pubblici per la decarbonizzazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici.
Mauro Albrizio, responsabile dell’ufficio europeo di Legambiente, evidenzia l’importanza di un accordo internazionale che mobiliti risorse per le economie vulnerabili, colpite da disastri climatici sempre più devastanti. Secondo Albrizio, le “risorse possono essere rese disponibili grazie anche alla tassazione delle attività a forte impatto climatico e al phasing-out dei sussidi alle fossili, in grado di mobilitare sino a 5.000 miliardi di dollari l’anno”.
Il rapporto sulla performance climatica globale dimostra che l’Italia è ancora lontana dagli obiettivi di sostenibilità ambientale richiesti per combattere la crisi climatica. Sebbene il Paese abbia il potenziale per migliorare, è necessaria una svolta radicale nelle politiche energetiche, con interventi urgenti per ridurre le emissioni, sviluppare le rinnovabili e ridurre la dipendenza dalle fonti fossili.