Attenzione a cosa mettiamo nel piatto. Se un’alimentazione sana prevede una quota importante di frutta e verdura, allo stesso tempo la presenza di pesticidi e sostanze chimiche in ciò che mangiamo è ancora molto elevato. Lo sottolinea Legambiente, che nel report “Stop Pesticidi nel Piatto 2025” fotografa una situazione da non sottovalutare: quasi la metà del cibo che finisce a tavola è contaminato.
Il dossier, dedicato al tema dei prodotti fitosanitari, affronta la questione agricola nel suo insieme, dunque come nodo che intreccia salute umana, tutela ambientale, biodiversità e legalità, mettendo in evidenza criticità strutturali e allo stesso tempo proponendo possibili traiettorie di cambiamento. Tra queste, alternative concrete già praticabili, dall’agricoltura biologica all’agroecologia fino alle scelte di consumo quotidiane.
In tre campioni su dieci un cocktail di sostanze
Quanto agli aspetti problematici, l’analisi, condotta su 4.682 campioni di alimenti, mostra che nell’agricoltura convenzionale quasi la metà dei prodotti (47,59%) contiene tracce di uno o più fitofarmaci. Il dato più allarmante riguarda il multiresiduo: il 30,26% dei campioni regolari è contaminato da più sostanze contemporaneamente, un fenomeno noto anche come ‘effetto cocktail’, in peggioramento rispetto agli anni precedenti. La frutta risulta il comparto più esposto: il 75,57% dei campioni contiene almeno un residuo e il 58,14% presenta multiresiduo. Gli agrumi mostrano i livelli più elevati, con il 72,95% dei campioni interessati. Situazione diversa per verdura e prodotti animali, che risultano più puliti, con rispettivamente il 58,8% e l’87,81% dei campioni privi di residui.
Particolarmente preoccupante è poi il rinvenimento di tracce di DDT in patate e zucchine, una sostanza bandita dal 2001 ma ancora presente a causa della sua estrema persistenza ambientale e di alcune deroghe sul suo utilizzo a livello internazionale.
L’effetto cocktail: un rischio sottovalutato
Il dossier Legambiente avverte della pericolosità dell”effetto cocktail’, ovvero la presenza simultanea di più pesticidi nello stesso alimento: un fenomeno che come visto riguarda, nel 2025, oltre tre campioni su dieci. Il punto è che il rischio principale non deriva dalla singola sostanza, ma dalla loro interazione sinergica e cumulativa, che può amplificare la tossicità complessiva.
Un nodo critico qui è il vuoto normativo: la legislazione europea stabilisce limiti massimi per ogni principio attivo considerato singolarmente, senza valutare l’esposizione combinata. Un alimento perciò può quindi risultare formalmente “a norma” pur contenendo dieci o più molecole diverse.
La comunità scientifica segnala potenziali danni alla salute umana, in particolare per miscele di organofosfati e carbammati, con effetti sul sistema endocrino e metabolico, soprattutto su bambini e donne in gravidanza, che risultano maggiormente a rischio.
L’impatto non riguarda solo l’uomo: api e impollinatori sono esposti a un vero e proprio cocktail di stress chimico che compromette memoria, apprendimento e difese immunitarie, contribuendo allo spopolamento delle colonie anche a dosi non letali.
Glifosato: i principali rischi per la salute
Il dossier dedica un’attenzione specifica al glifosato, l’erbicida più utilizzato al mondo. Le principali preoccupazioni riguardano la sua potenziale cancerogenicità e la capacità di interferire con diversi sistemi biologici anche a dosi considerate sicure. Il Global Glyphosate Study condotto dall’Istituto Ramazzini ha rilevato un aumento statisticamente significativo di tumori benigni e maligni in diversi organi, oltre a un dato particolarmente allarmante sulle leucemie infantili e giovanili, assenti nei gruppi di controllo. Questi risultati rafforzano la classificazione dello glifosato come “probabile cancerogeno” da parte dello IARC.
Accanto al cancro, emergono timori legati a neurotossicità, interferenza endocrina, tossicità prenatale e multigenerazionale e all’associazione con disturbi metabolici e malattie croniche non trasmissibili, come diabete e infertilità.
Biologico ‘pulito’
Un capitolo specifico dell’analisi è dedicato ai prodotti biologici, che mostrano livelli di contaminazione nettamente inferiori rispetto al convenzionale: l’87,69% dei campioni analizzati risulta infatti privo di residui. Inoltre il bio, specifica Legambiente, non è più un segmento marginale, ma una componente strutturale dell’agricoltura italiana, capace di coniugare qualità, tutela ambientale e reddito agricolo.
Accanto ai dati, emerge poi il ruolo crescente della ricerca e dell’innovazione nel biocontrollo, con strumenti che consentono di ridurre drasticamente l’uso di chimica di sintesi senza compromettere le rese.
Cosa fare: agricoltura biologica e agroecologia
Se la situazione presenta diverse criticità, allo stesso tempo le soluzioni ci sono, spiega Legambiente. Il report propone una trasformazione profonda del sistema agroalimentare, indicando nell’agroecologia la via maestra per garantire allo stesso tempo resilienza climatica, tutela della biodiversità e salute pubblica. Le direzioni in cui occorre agire sono diverse:
Interventi normativi e politici
- rinnovo del Piano d’Azione Nazionale (PAN) sui pesticidi, scaduto dal 2019, e approvazione del regolamento europeo SUR, che dovrebbe fissare obiettivi vincolanti di riduzione della chimica;
- deciso contrasto all’illegalità, inserendo produzione e commercio di pesticidi illegali nel Codice Penale e accelerando l’approvazione della legge sulle agromafie;
- bando nazionale sul glifosato basato sul principio di precauzione, nonostante il rinnovo dell’autorizzazione Ue fino al 2033;
- quanto alla PAC, il rischio evidenziato è che la programmazione 2028-2034 riduca l’ambizione ambientale, trasformandosi in un semplice sostegno al reddito invece che in una leva per biodiversità, qualità del suolo e sostegno alle piccole e medie aziende sostenibili.
Pratiche agricole e innovazione
L’agroecologia viene presentata come l’alternativa strutturale ai modelli intensivi, responsabili di fragilità ambientali e di circa il 20% delle emissioni globali, con diversi effetti positivi:
- dal punto di vista climatico, sono stati stimati 68 milioni di tonnellate di CO₂ l’anno in meno nell’Unione, e un miglioramento dell’adattamento agli eventi estremi grazie a rotazioni, colture di copertura e consociazioni;
- sul fronte della biodiversità, a fronte di una perdita del 75% della biodiversità colturale nell’ultimo secolo, modelli biologici e agroecologici garantiscono un incremento medio del 30%, proteggendo impollinatori e servizi ecosistemici;
- per la salute, con una riduzione del 90-95% dei pesticidi di sintesi stimata, ci sarebbe una minore esposizione a residui chimici e dunque una prevenzione primaria di malattie croniche;
- quanto al suolo, si avrebbero un maggiore sequestro di carbonio, fertilità naturale e riduzione dell’uso di fertilizzanti sintetici.
Biologico, territori e cittadinanza attiva
Tra le altre vie da percorrere, il dossier indica:
- l’obiettivo strategico del 25% di superficie agricola biologica entro il 2030. In Italia la SAU bio ha già superato 2,51 milioni di ettari, oltre il 20% del totale;
- accanto al biocontrollo e alle tecniche agronomiche resilienti, pratiche di agroforestazione, biodistretti, Comuni pesticide-free, filiere corte e mense sostenibili;
- l’adesione a un approccio One Health, che riconosce l’interconnessione tra salute umana, animale e ambientale;
- la dieta mediterranea biologica, strumento concreto di prevenzione primaria e tutela dell’ecosistema.
Secondo Legambiente, infine, i consumatori non sono soggetti passivi ma possono incidere concretamente sulla transizione verso un’agricoltura libera dai pesticidi. Si può fare, spiega l’associazione, scegliendo prodotti biologici, agroecologici e filiere sostenibili e aderendo a biodistretti, mercati locali e gruppi di acquisto. Ma è importante anche leggere attentamente le etichette e chiedere trasparenza su queste e sui metodi produttivi, in modo da fare scelte consapevoli, informandosi da fonti affidabili. Infine, sottolinea Legambiente, è importante ridurre lo spreco alimentare, per diminuire la pressione su produzioni intensive e chimica.