Camminare non è più un gesto scontato. È un modo per rimettere in discussione come viviamo lo spazio, il tempo e perfino la città. L’11 e 12 ottobre, la Giornata del Camminare promossa da FederTrek attraverserà l’Italia intera, dai centri storici ai borghi di montagna, con decine di iniziative che fanno del passo il simbolo di una nuova mobilità.
A Roma, il Sabato Blu unisce 15 percorsi tematici tra storia e ambiente, dal Ghetto ebraico al Parco dell’Aniene, fino a Ostia Antica. A Siena torna la Francigena Ultramarathon, un cammino non competitivo tra le colline toscane, lungo fino a 120 chilometri. In Abruzzo, a Barrea, e in Piemonte, a Ormea, i Borghi Autentici d’Italia aprono i loro sentieri come spazi di memoria e partecipazione.
Dal Lazio al Piemonte, il weekend dell’11 e 12 ottobre diventa un esperimento nazionale: capire cosa accade quando una comunità, invece di correre, decide di mettersi in cammino.
Camminare, oggi, non è solo un esercizio salutare. È una risposta al tempo frammentato, alla solitudine urbana, alla distanza crescente tra le persone e i luoghi che abitano. Ma perché questo gesto antico sta tornando al centro delle politiche urbane e del dibattito culturale? Perché, semplicemente, camminare conta.
1. Una camminata aumenta la creatività fino al 60%
Ogni volta che camminiamo, riscriviamo il rapporto tra il corpo e lo spazio.
In un mondo in cui, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, la sedentarietà è tra le prime cause di mortalità evitabile, il passo è diventato un atto di ribellione fisiologica. Camminare riattiva la circolazione, abbassa la pressione, regola il metabolismo e, soprattutto, rimette in connessione mente e movimento.
Uno studio dell’Università di Stanford ha dimostrato che la creatività cresce fino al 60% durante una camminata: il ritmo costante del passo stimola i processi associativi e favorisce la produzione di endorfine. È come se il cervello, in movimento, trovasse una frequenza più nitida.
Il cammino, però, non è solo una ginnastica della mente: è una forma di attenzione.
A piedi, la realtà torna a scala umana: si misura la fatica, si ascolta il tempo, si vede ciò che normalmente sfugge. È un’esperienza cognitiva prima ancora che motoria.
In Giappone, il forest bathing (camminata immersiva nel verde) è riconosciuto come pratica di salute pubblica: studi della Nippon Medical School hanno mostrato che trascorrere mezz’ora in un ambiente naturale riduce il cortisolo e rinforza il sistema immunitario. Anche in Italia nascono esperienze simili: alcune Asl, tra cui quelle di Trento e Reggio Emilia, hanno avviato sperimentazioni di “prescrizione verde”, invitando i pazienti a camminare nei parchi come parte di percorsi di prevenzione.
Camminare, insomma, non è solo salute fisica: è un modo per uscire dal rumore di fondo e tornare a pensare con il corpo.
2. Camminare in città genera partecipazione
Una città attraversata a piedi è una città che si capisce. Lo sanno bene le amministrazioni che, negli ultimi anni, hanno riscoperto la “walkability” come parametro di qualità urbana. Bologna, con il suo piano “30 all’ora”, ha restituito spazi pubblici a pedoni e ciclisti. Milano ha esteso la rete di percorsi ciclopedonali e “zone 30” nei quartieri periferici, mentre Roma, con la rete del Sabato Blu e i cammini giubilari, tenta di collegare aree verdi e quartieri con una logica pedonale continua.
Ma la trasformazione non riguarda solo le infrastrutture: è anche culturale. Camminare significa abitare la città in modo diverso. Chi cammina non attraversa: partecipa.
Ogni passo diventa un gesto di riconoscimento — verso i luoghi, verso gli altri, verso se stessi.
La “città dei 15 minuti” teorizzata da Carlos Moreno a Parigi nasce proprio da questa idea: garantire a ogni cittadino la possibilità di raggiungere a piedi o in bici tutto ciò che serve alla vita quotidiana — scuola, lavoro, sanità, cultura — in un quarto d’ora. È un modello che riduce traffico, migliora la qualità dell’aria e ricuce il tessuto sociale.
Camminare in città non è nostalgia del passato, ma innovazione urbana.
A piedi si percepiscono distanze reali, si incontrano persone, si riscopre l’identità dei quartieri.
È un gesto lento, ma produttivo: genera commercio locale, sicurezza diffusa, salute collettiva.
E mentre, secondo Istat, la gran parte degli spostamenti inferiori ai tre chilometri continua a essere fatta in auto, camminare è diventato un atto di modernità: la più semplice delle tecnologie civiche.
3. L’impronta ecologica del passo
Ogni passo produce meno Co₂ di qualunque altra tecnologia mai inventata.
Un chilometro percorso a piedi evita in media 140 grammi di anidride carbonica, l’equivalente di un minuto di marcia di un’auto media. Se solo un cittadino su cinque rinunciasse alla macchina per tragitti brevi, le emissioni urbane si ridurrebbero del 10% in un anno.
Camminare è una forma di mitigazione climatica immediata, accessibile e gratuita.
Eppure resta sottovalutata, oscurata dal dibattito su bici elettriche e auto a batteria. L’Italia, dove l’auto copre ancora il 63% degli spostamenti quotidiani, potrebbe tagliare milioni di tonnellate di Co₂ solo garantendo percorsi pedonali sicuri e continui.
Progetti come l’Eco – Festival della Mobilità Sostenibile o le iniziative delle città metropolitane spingono a un cambio di paradigma: non si tratta solo di ridurre le emissioni, ma di restituire spazio e tempo alle persone.
Il passo è una tecnologia ecologica, nel senso pieno del termine: non consuma carburante, non produce rumore, non genera scarti. Ma soprattutto, rigenera. Rigenera i quartieri, perché aumenta la presenza negli spazi pubblici. Rigenera l’economia locale, perché chi cammina compra nei negozi di prossimità.
Rigenera anche la percezione ambientale: chi cammina non legge l’inquinamento, lo sente.
E c’è un aspetto ancora più radicale: camminare è il mezzo di trasporto più democratico che esista.
Non richiede patente, né benzina, né reddito. In un’epoca in cui la sostenibilità rischia di diventare un privilegio, il passo resta un gesto egualitario. Ogni metro percorso a piedi è un frammento di giustizia ambientale.
4. Camminare come infrastruttura sociale
Camminare oggi è un atto politico, anche quando non lo sembra. In un tempo costruito sulla velocità, fermarsi e scegliere di muoversi lentamente è una forma di disobbedienza gentile. Significa riappropriarsi del tempo, dello spazio e del proprio diritto alla presenza. Camminare non è evasione, ma riemersione: un modo per tornare a far parte del paesaggio invece di attraversarlo distrattamente.
Ogni passo è una dichiarazione implicita di appartenenza. Quando percorri una strada, la rendi tua. Ne riconosci i limiti, i rumori, i profumi. La attraversi con il corpo e non attraverso uno schermo. In questo senso il cammino non è un hobby, ma una pratica civica: restituisce alla cittadinanza la dimensione del contatto, la misura dei luoghi e delle persone. È la differenza tra vivere in una città e abitare una città.
Alcuni urbanisti parlano di “democrazia del passo”: la possibilità di riconoscersi nello spazio comune attraverso la lentezza. Nei percorsi della Giornata del Camminare — che si tratti del Ghetto di Roma, della Francigena o dei borghi dell’Appennino — la lentezza diventa il ritmo di una memoria condivisa.
Camminare in gruppo non è solo compagnia: è ascolto. È restituire valore ai silenzi, alle parole, ai gesti minimi che nel flusso veloce si perdono.
In un’epoca di crisi ecologica e mentale, il cammino è una forma di ecologia integrale.
Riduce l’impronta ambientale, ma anche quella emotiva: rallenta, ordina, ridisegna le priorità.
Camminare costringe a guardare, a sostare, a sentire. È un modo per rieducare la percezione, per ricordare che lo spazio pubblico non è solo infrastruttura ma esperienza condivisa.
Forse è per questo che, nel 2025, camminare torna a essere ciò che è sempre stato: un gesto umile, ma rivoluzionario.