La crisi del riso in Giappone non si è risolta, anzi, si è incancrenita. A oltre un anno dal raccolto disastroso del 2023, i supermercati continuano a razionare le vendite, mentre i prezzi restano a livelli mai visti. A giugno 2025, secondo quanto riportato dall’agenzia Kyodo, il costo di un sacco da 60 chili ha toccato i 153 euro, quasi il doppio rispetto allo stesso periodo del 2024. La corsa agli acquisti è tutt’altro che terminata, alimentata da una persistente sfiducia nella stabilità dell’approvvigionamento. Le misure di emergenza adottate dal governo nei mesi scorsi — rilascio di oltre 200mila tonnellate di riso dalle riserve strategiche — non hanno prodotto gli effetti sperati: la materia prima non ha raggiunto in modo capillare la grande distribuzione.
Secondo Zen-Noh, la principale federazione delle cooperative agricole, solo 55mila tonnellate del riso distribuito ad aprile sono effettivamente arrivate ai grossisti. Il resto è rimasto bloccato a causa di problemi logistici mai del tutto chiariti. A questo si aggiunge il timore di una scarsa qualità del prodotto, soprattutto per quello stoccato per anni nelle riserve. Molti consumatori continuano a evitare gli scaffali, sospettando che il riso venduto sia troppo vecchio o deteriorato. La rete distributiva, frammentata e poco flessibile, si è rivelata un anello debole.
Un problema che, per stessa ammissione del ministro dell’Agricoltura Taku Eto, “non è legato alla disponibilità di riso, ma alla capacità di metterlo nei punti vendita”. Il premier Shigeru Ishiba ha riconosciuto, in una riunione con i suoi ministri, che “le stime sulla domanda si sono rivelate errate”, segnalando una sottovalutazione dell’impatto che caldo, calamità e panico dei consumatori avrebbero avuto sulla filiera. Il sistema agricolo giapponese, impostato per decenni sulla stabilizzazione dei prezzi attraverso il contenimento della produzione, si è ritrovato impreparato di fronte a una domanda in crescita e a condizioni climatiche fuori controllo.
Il Giappone ribalta la sua strategia sul riso
Il governo giapponese ha deciso di cambiare rotta. Dopo anni di sussidi per disincentivare la produzione di riso, Tokyo ha annunciato il passaggio a una politica di incentivo attivo all’aumento della produzione. Il premier Shigeru Ishiba, insediatosi all’inizio del 2025, ha descritto la decisione come un “cambiamento importante”, destinato a sostituire le strategie messe in campo fin dal dopoguerra per garantire la stabilità dei prezzi. “Cambieremo rotta, per andare verso una maggiore produzione di riso”, ha dichiarato Ishiba nel corso di una riunione di governo, indicando il 2027 come data ufficiale per la revisione completa del quadro normativo.
La svolta arriva in un contesto politico delicato: la coalizione guidata dal Partito Liberaldemocratico ha perso la maggioranza alla Camera alta nelle elezioni di luglio. L’opposizione ha fatto leva proprio sulla crisi dei beni alimentari di base — e sul malcontento popolare legato ai prezzi — per conquistare consensi. E la risposta del governo non si è fatta attendere. In base alle nuove linee guida, gli agricoltori che scelgono di riprendere o espandere la coltivazione di riso riceveranno supporti diretti, sia economici che infrastrutturali. È previsto inoltre un piano di riutilizzo dei terreni agricoli abbandonati, oggi stimati in circa 420mila ettari a livello nazionale.
Il ministro dell’Agricoltura Shinjiro Koizumi, figlio dell’ex premier Junichiro, ha confermato che, sebbene la politica di limitazione della produzione sia formalmente terminata nel 2018, i suoi effetti “sono rimasti con forza fino ad oggi”. Di fatto, gli agricoltori hanno continuato a ricevere incentivi per coltivare meno riso o convertire i terreni ad altre colture. Questo approccio, pensato per evitare surplus e mantenere alti i prezzi, si è rivelato insostenibile in un contesto di domanda crescente, clima instabile e ridotta capacità di importazione.
Una lobby minuscola ma potente
I coltivatori di riso in Giappone rappresentano meno dell’1% della popolazione — circa 1,2 milioni di persone su 124 milioni — ma continuano a esercitare un’influenza sproporzionata sulla politica agricola nazionale. Il sistema, per decenni, è stato costruito attorno a meccanismi protettivi e conservativi, che hanno rallentato ogni tentativo di riforma. Nonostante il programma di riduzione della produzione sia stato archiviato formalmente nel 2018, la cultura agricola dominante è rimasta quella della gestione dell’offerta, più che della crescita produttiva.
Le nuove direttive, se applicate pienamente, potrebbero rompere questo schema. Ma ci sono forti resistenze. Gli stessi agricoltori temono che un aumento incontrollato della produzione possa riportare i prezzi a livelli insostenibili, compromettendo i margini in un settore già fragile. Il problema è che la redditività della coltivazione del riso è rimasta bassa per anni, e il settore è dominato da una popolazione agricola anziana: l’età media dei coltivatori è oltre i 70 anni, con un tasso di ricambio generazionale tra i più bassi dell’Ocse.
Il governo punta a intervenire anche qui, prevedendo accesso a nuove tecnologie, supporto nella meccanizzazione e strumenti di formazione per i giovani agricoltori. L’obiettivo è duplice: aumentare la produttività e rendere il lavoro agricolo meno pesante e più attraente. Ma i tempi sono stretti. Nel frattempo, l’importazione di riso, da sempre scoraggiata da dazi e quote, resta bloccata su livelli minimi: solo 100mila tonnellate all’anno, una cifra simbolica in un Paese che consuma oltre 8 milioni di tonnellate ogni dodici mesi.
Il clima non dà tregua
L’intervento del governo arriva mentre il cambiamento climatico continua a colpire duramente l’agricoltura giapponese. L’estate 2025 si è rivelata ancora più calda di quella, già drammatica, del 2023. Nella città di Isesaki, nella prefettura di Gunma, sono stati registrati 41,8 gradi Celsius, un record assoluto. Il caldo estremo non ha solo ridotto la resa dei campi, ma ha compromesso la qualità del riso prodotto, con un aumento significativo della percentuale di chicchi imperfetti, non adatti alla vendita nei canali premium.
Le ondate di calore, combinate alla minaccia ricorrente di tifoni e scosse sismiche, hanno generato un clima di incertezza che si riflette direttamente sui comportamenti dei consumatori. La corsa agli acquisti, già registrata nel 2023 e nel 2024, si è ripresentata quest’anno, aggravando lo squilibrio tra domanda e offerta. Anche il turismo internazionale, tornato su livelli pre-pandemici, ha contribuito alla pressione sulla filiera alimentare: hotel, ristoranti e mense scolastiche hanno aumentato le richieste, con un impatto significativo sulle scorte.