I ghiacciai europei cedono sotto il peso della crisi climatica

Il crollo del Birch è solo l’ultimo segnale dell’emergenza glaciale che trasforma le Alpi e minaccia le pianure
30 Maggio 2025
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Ghiacciaio Birch
Ghiacciaio Birch (Ipa/Fotogramma)

Un’altra ferita si è aperta tra le vette alpine, là dove un tempo l’eterno sembrava appartenere alla neve e al ghiaccio. Il 29 maggio, sopra il villaggio svizzero di Blatten, nel Canton Vallese, il ghiacciaio Birch è crollato. Una massa glaciale antica e monumentale si è disgregata sotto il peso di un cambiamento che non è più solo climatico, ma ormai anche geologico, culturale, umano. Il crollo – annunciato da segnali preoccupanti, tanto che la popolazione e il bestiame erano già stati evacuati il 19 maggio – ha sollevato una nube di consapevolezza ben più vasta delle macerie lasciate lungo i fianchi del Lötschen. È l’ennesimo segnale che le Alpi non sono più le stesse. E che non lo saranno mai più.

“Questo episodio – ha dichiarato Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – rappresenta un campanello d’allarme per tutti i territori alpini e richiama con forza l’urgenza di rafforzare le politiche di mitigazione e di adattamento alla crisi climatica nelle aree montane, ma anche nei territori a valle”. La catastrofe del Birch non è un fatto isolato. È parte di una tendenza in accelerazione: instabilità, fusione, frane, smottamenti. Il clima cambia, e i ghiacciai collassano.

La crisi climatica non conosce confini, e nemmeno altitudini. Secondo le ultime ricerche, l’Europa centrale – con Alpi e Pirenei – si sta riscaldando a un ritmo doppio rispetto alla media globale. Le zone un tempo dominate dal permafrost stanno diventando instabili, liberando masse rocciose un tempo tenute insieme dal “cemento” del ghiaccio. Frane e colate detritiche si moltiplicano. Le mappe del rischio idrogeologico vanno riscritte in tempo reale. E, mentre si discute ancora nelle sedi politiche su target e percentuali, le montagne si sgretolano.

Ma non è solo la montagna a tremare. Il crollo del Birch ci dice che ogni crollo in quota si riflette anche a valle. Le valli alpine e le grandi pianure del continente dipendono in larga misura dai ghiacciai per l’approvvigionamento idrico, la stabilità del territorio, la biodiversità.

L’Europa che si scioglie

Solo il 7% dei ghiacciai dell’Europa centrale sopravviverà se le emissioni globali continueranno sulla traiettoria attuale. Secondo uno studio della Vrije Universiteit di Bruxelles l’estinzione glaciale è già iniziata, e a meno di un’inversione di rotta radicale, sarà totale. L’analisi disegna un futuro inquietante: con un riscaldamento globale di 2,7°C entro il 2100, in linea con le attuali politiche, i ghiacciai scompariranno del tutto in Scandinavia. In Norvegia resterebbe solo il 6% della massa attuale, in Islanda appena il 4%.

I ghiacciai sono le riserve idriche del continente: alimentano fiumi come il Reno, il Rodano e il Po. La loro scomparsa ha già ripercussioni tangibili. L’innevamento sulle Alpi è diminuito del 60% rispetto al decennio precedente, riducendo la capacità dei bacini glaciali di rifornire i fiumi durante l’estate. In Italia, la produzione del riso da risotto è calata sensibilmente, anche a causa della riduzione dell’apporto d’acqua glaciale, fondamentale per l’irrigazione in Pianura Padana. In Germania, il commercio fluviale è stato rallentato dall’abbassamento dei livelli del Reno, con effetti diretti sul Pil nazionale. Le barche non riescono più a navigare nei mesi estivi e l’economia lo paga.

È un’Europa che si scioglie. Letteralmente. E che perde, con ogni metro di ghiaccio, una parte della sua resilienza. I ghiacciai hanno sempre rappresentato una garanzia idrica estiva: accumulano neve e pioggia in inverno, per restituirla in modo lento e costante durante i mesi caldi. Con la loro scomparsa, questo equilibrio si rompe. Arriveranno fiumi più impetuosi in primavera, e poi siccità in estate. Le centrali idroelettriche, i sistemi agricoli, le città dipendono da questi ritmi. E senza ghiacci, i ritmi cambiano. Drammaticamente.

“Le scelte di oggi riecheggeranno per secoli”, ha affermato il glaciologo Harry Zekollari. Una differenza tra +1,5°C e +2,7°C nel riscaldamento globale può determinare la sopravvivenza o l’estinzione del 75% dei ghiacciai europei. Limitare l’aumento della temperatura secondo gli obiettivi dell’Accordo di Parigi (1,5°C) consentirebbe di salvare circa un terzo dei ghiacciai dell’Europa centrale e oltre la metà della massa glaciale globale. Ma il tempo stringe.

Verso una governance europea del ghiaccio

Non è più possibile separare ciò che accade in quota da ciò che accade a valle. I ghiacciai non sono più solo sentinelle della crisi climatica: sono diventati attori protagonisti di un nuovo scenario di rischio diffuso. Frane, alluvioni e movimenti di massa colpiscono ormai con regolarità le aree deglaciate, coinvolgendo anche le vallate sottostanti. Le comunità alpine, un tempo custodi di un equilibrio fragile ma stabile, oggi si trovano a fronteggiare un’inedita combinazione di emergenze: crisi idrica, rischio geologico, declino della biodiversità, minacce al turismo e all’agricoltura.

Per affrontare questa nuova realtà, serve una svolta radicale nella governance. Non bastano più piani nazionali o iniziative locali. Serve una strategia europea integrata per i ghiacciai, un sistema di cooperazione che unisca scienza, istituzioni e società civile. Lo chiedono a gran voce le organizzazioni ambientaliste, ma anche i ricercatori sul campo. Campagne di informazione e sensibilizzazione devono affiancare i monitoraggi in quota, oggi più cruciali che mai per prevenire disastri come quello del Birch.

L’esempio svizzero lo dimostra: la sorveglianza del ghiacciaio ha permesso di adottare misure preventive, salvando vite e limitando i danni. Ma non si può affidare tutto alla previsione. È necessario prevenire a monte, con politiche climatiche coraggiose. Il Comitato scientifico consultivo europeo sul cambiamento climatico raccomanda una riduzione delle emissioni tra il 90% e il 95% entro il 2040. Eppure, il dibattito politico resta impantanato tra le pressioni per la sburocratizzazione e la competitività industriale. Nel frattempo, la montagna frana.

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