Nel Metapontino, la raccolta comincia presto, quando le prime luci dell’alba sfiorano i filari bassi e lucidi di rugiada. È lì, nei campi che si estendono tra Policoro, Pisticci e Scanzano Jonico, che prende forma la Fragola della Basilicata, oggi ufficialmente iscritta nel registro europeo delle Indicazioni Geografiche Protette. Un traguardo che arriva dopo un percorso tecnico e amministrativo durato anni, sostenuto da produttori locali, istituzioni e associazioni di categoria.
Il regolamento di esecuzione n. 2025/2239, pubblicato il 5 novembre sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, sancisce il riconoscimento definitivo del marchio, dopo la fase di consultazione pubblica senza opposizioni. È la conferma di un’identità produttiva che la regione difende con orgoglio: un frutto dal colore rosso vivo, dal profumo intenso e dalla dolcezza naturale, risultato di un equilibrio tra clima, suolo e competenze tramandate.
Le condizioni pedo-climatiche del Metapontino sono uniche. Terreni fertili, ricchi di sabbia e ben drenati; un microclima temperato che alterna inverni miti a primavere asciutte; una ventilazione costante che limita l’umidità e favorisce la maturazione uniforme dei frutti. A questi fattori si aggiunge l’acqua di irrigazione, limpida e a basso contenuto di sali, proveniente dai bacini artificiali della zona ionica. È un contesto che permette la produzione di fragole dal calibro uniforme, con grado zuccherino non inferiore a 7,5 Brix e acidità contenuta, parametri che il disciplinare tutela con rigore.
Dietro l’acronimo Igp, tuttavia, non c’è solo un’etichetta di garanzia. C’è un sistema di controllo che coinvolge decine di produttori e operatori, laboratori di analisi, consorzi e tecnici agricoli. Il comitato promotore ha lavorato alla definizione di un disciplinare preciso, che individua ventinove varietà ammesse – dalla Sabrosa alla Flaminia, dalla Primavera alla Medì – ciascuna selezionata per la capacità di adattarsi alle specificità del territorio. “È una giornata storica e un traguardo eccezionale per la nostra agricoltura”, ha dichiarato il presidente della Regione Basilicata, Vito Bardi. “L’Igp non è solo un marchio, ma il suggello ufficiale di un lavoro meticoloso e passionale, che parte dalla terra e arriva sulle tavole di consumatori esigenti.”
L’annuncio europeo è stato accolto con soddisfazione anche a Roma. “Ogni nuovo riconoscimento rappresenta un passo avanti nella valorizzazione del lavoro dei produttori e nel rafforzamento del legame tra territorio e filiera”, ha commentato il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida. Il ministro ha sottolineato come il clima mite e i terreni fertili del Metapontino rendano quest’area “particolarmente predisposta a una coltivazione di eccellenza”.
La filiera delle fragole lucane
Ogni pianta di fragola del Metapontino nasce da una programmazione accurata. Le aziende del territorio hanno adottato sistemi di agricoltura di precisione, monitoraggio dei suoli e irrigazione controllata, ma la manualità resta un elemento centrale. La raccolta è ancora fatta a mano, in più passaggi, per selezionare solo i frutti giunti al giusto grado di maturazione. È un lavoro faticoso e costante, che impegna migliaia di lavoratori stagionali e un numero crescente di giovani imprenditori agricoli.
Il disciplinare Igp fissa criteri severi: i frutti destinati al consumo fresco devono avere un calibro minimo di 25 millimetri, una consistenza superiore a 550 g/cm² e una brillantezza che garantisca riconoscibilità visiva immediata. Dietro questi standard c’è un sapere agronomico costruito nel tempo. Gli agricoltori lucani hanno imparato a interpretare i mutamenti climatici e a scegliere varietà resilienti, capaci di mantenere qualità costante anche in annate difficili. Il risultato è un prodotto che unisce uniformità estetica e complessità organolettica, con note dolci ma non stucchevoli e una polpa soda, adatta sia al consumo diretto che alla trasformazione.
Negli ultimi anni, la filiera si è consolidata intorno a cooperative e organizzazioni di produttori che hanno investito in innovazione e tracciabilità. Sistemi digitali registrano ogni fase del ciclo produttivo, dalla messa a dimora al confezionamento. Le aziende più avanzate sperimentano imballaggi compostabili e linee di lavorazione a basso impatto ambientale. L’obiettivo è coniugare sostenibilità e redditività, mantenendo competitività sui mercati nazionali ed europei.
Il riconoscimento europeo arriva in un momento cruciale. Il mercato della fragola, segnato da una forte concorrenza internazionale, richiede qualità costante e identità territoriale. L’Igp offre una tutela formale ma anche un vantaggio strategico, perché consente di differenziare il prodotto lucano da quello d’importazione e di consolidare rapporti commerciali con la grande distribuzione organizzata. “L’Igp ci offre ora la possibilità di difendere questa eccellenza dalle contraffazioni e di rafforzare la sua posizione sui mercati nazionali e internazionali”, ha dichiarato ancora il presidente Bardi.
La Fragola della Basilicata non è un prodotto di nicchia. Ogni anno vengono raccolte decine di migliaia di tonnellate di frutti destinati ai mercati italiani e stranieri, con una filiera che coinvolge centinaia di aziende agricole. Il riconoscimento europeo consolida una reputazione costruita sul campo e apre prospettive di crescita, soprattutto in termini di export verso l’Europa centrale.
Un primato costruito nel tempo
Con la registrazione della Fragola della Basilicata Igp, l’Italia raggiunge 896 denominazioni registrate, confermandosi ai vertici europei per numero di prodotti agroalimentari tutelati. Un patrimonio che comprende 331 indicazioni nel comparto cibo – 174 Dop, 153 Igp e 4 Stg – e 529 nel settore vitivinicolo. A queste si aggiungono 36 distillati a indicazione geografica. Numeri che raccontano un sistema capillare, dove la qualità non è episodica ma strutturale, e dove il legame tra produzione e territorio è diventato un fattore di competitività.
Il comparto delle indicazioni geografiche italiane vale oltre 20 miliardi di euro alla produzione e genera più di 11 miliardi di export. Dietro questi dati c’è un modello economico che tiene insieme agricoltura, trasformazione e promozione, contribuendo in modo sostanziale al peso del Made in Italy nel commercio mondiale. La Dop economy, come la definisce il rapporto Ismea-Qualivita, non si limita a garantire reddito agli agricoltori, ma alimenta un circuito virtuoso che coinvolge logistica, turismo e ristorazione.
In Basilicata, la Dop economy vale circa 18 milioni di euro, un dato che assume rilievo se rapportato alla dimensione della regione. Con venti denominazioni riconosciute – quattordici per i prodotti alimentari, sei per i vini – il territorio lucano ha costruito nel tempo una reputazione agricola che va oltre i confini locali. Dalle colline del Vulture, dove si produce l’Aglianico Dop, fino alla costa ionica delle fragole, la regione esprime una pluralità di produzioni di alta gamma, legate a un’agricoltura di piccola scala ma di grande competenza tecnica.
“Questo riconoscimento – ha sottolineato l’assessore regionale alle Politiche agricole Carmine Cicala – è il frutto di una forte sinergia istituzionale tra la Regione Basilicata, il Masaf e il comitato promotore, con il determinante supporto del ministro Lollobrigida. È il risultato della costanza e della collaborazione tra amministrazioni e produttori.” Una rete che ha saputo fare sistema, superando la frammentazione che spesso indebolisce i comparti agricoli regionali.
La forza del sistema delle Igp e Dop italiane è anche nella percezione dei consumatori. Le indagini Ismea mostrano che oltre il 70% degli acquirenti riconosce i marchi di origine come garanzia di qualità e sicurezza alimentare. La tracciabilità, obbligatoria per i prodotti registrati, consente di risalire all’intera filiera, riducendo i rischi di frode e valorizzando il lavoro locale. La Fragola della Basilicata, in questo senso, si inserisce in una tradizione che unisce tutela economica e culturale: il prodotto è certificato, ma resta profondamente legato alla comunità che lo coltiva.