L’Etna e lo Stromboli danno spettacolo. I due vulcani in questi giorni sono in piena attività, suscitando meraviglia ma anche scompiglio. Lo scorso fine settimana è stato caratterizzato dalla pioggia di cenere arrivata fino a Catania e da disagi assortiti per la popolazione, fino alla chiusura dell’isola di Stromboli ai turisti, a cui è seguito ieri un piccolo allentamento. Sono tanti i modi in cui la coabitazione con un vulcano incide sulla vita delle popolazioni, ma uno forse è il più importante di tutti: la sicurezza.
Un obiettivo che avrà un’arma in più e su cui l’Europa sta lavorando, in testa il nostro Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv): un gemello virtuale dell’Etna, che diventerà così il primo vulcano al mondo ad avere una sua replica in numeri e grafici.
Il modello digitale del vulcano siciliano, infatti, servirà per simulare e prevedere le dinamiche che portano a un’eruzione e gli effetti dell’eruzione stessa, attraverso quattro aspetti: magma sotterraneo, ceneri disperse, gas emesso e lava eruttata.
Creare dei modelli digitali: il progetto europeo Horizon Dt-Geo
Al gemello dell’Etna sta lavorando l’Ingv, nella cornice del più ampio progetto europeo Horizon Dt-Geo (Digital Twin for Geophysical Extremes), a sua volta parte dell’ancora più ampio progetto Destionation Earth che punta a creare una copia virtuale della Terra intera.
Su quest’ultima, Adnkronos lo scorso febbraio, in occasione di un evento milanese dedicato all’intelligenza artificiale, ha incontrato Sabrina Ricci, Artificial Intelligence ecosystem manager ESA Φ-lab, che ci aveva raccontato come questi modelli, enormi, ultra-complessi e possibili solo grazie all’AI e alle nuove capacità di calcolo dei computer, possano aiutarci a capire i fenomeni naturali e non, e a cercare di prevenirli e gestirli. L’AI sta cambiando l’osservazione della Terra, ci aveva detto Ricci: permette di simulare sia modelli predittivi sia l’interazione tra uomo e natura. E “ci regala l’opportunità di sbagliare e adottare misure correttive in tempo”.
Nello specifico, DT-GEO mira a sviluppare un prototipo per un gemello digitale su eventi estremi geofisici tra cui terremoti, vulcani, tsunami o indotti dall’uomo, in modo da fornire analisi, previsioni e scenari ipotetici per pericoli naturali o dovuti alle attività umane.
Molte parti del mondo infatti sono esposte a rischi geologici che possono avere impatti anche devastanti. Gli estremi geofisici sono responsabili di almeno il 10% delle perdite causate da tutti i tipi di calamità naturali in tutto il mondo, con un livello di rischio in aumento negli ultimi decenni.
Da qui l’importanza di avere dei gemelli digitali del sistema terrestre, che stanno diventando in grado di imitarne le diverse componenti – atmosfera, oceano, terra, litosfera – con una precisione sempre maggiore, e che forniscono analisi, previsioni e scenari possibili. L’ambizione di DT-GEO è quella di assistere nella valutazione dei pericoli, nella pianificazione territoriale, nelle previsioni di allerta precoce, nella gestione delle urgenze, nella rapida valutazione post-evento e nello sfruttamento delle risorse in relazione al verificarsi di un evento geofisico estremo.
DT-GEO incorpora 12 Digital Twin Components (DTC) o flussi di lavoro autonomi che saranno verificati in ambienti operativi presso 13 Site Demonstrators (SD) di particolare rilevanza. Uno di questi è appunto il digital twin dell’Etna.
Il vulcano in quattro modelli: magma, lava, ceneri disperse, gas emesso
Sono quattro gli aspetti su cui i modelli vulcanici si concentreranno: magma sotterraneo, lava eruttata, ceneri disperse, gas emesso.
Mentre per gli ultimi due sono stati scelti i vulcani dell’Islanda, i primi due aspetti verranno modellizzati grazie a ‘Mongibeddu’, come i catanesi chiamano l’Etna.
Dunque il principale oggetto di studio è il meccanismo di ‘unrest’, ovvero il passaggio dallo stato di quiete di un vulcano a quello di una possibile eruzione, attraverso l’analisi del magma sotterraneo, delle forze che si agitano all’interno del vulcano, e la deformazione dei terreni.
Per farlo, verranno usati i dati provenienti da stazioni GPS e da specifici sensori che misurano la variazione di pendenza dei fianchi del vulcano e i dati satellitari che scannerizzano la superficie terrestre.
Il secondo digital twin etneo è quello dedicato flusso della lava eruttata, quindi la sua quantità e tipologia, oltra alla direzione e ai movimenti della colata. Ai dati satellitari in questo caso si associano quelli sul flusso e sull’emissività, con la complicazione che il tutto va studiato in tempo reale, in concomitanza con l’eruzione.
Naturalmente servirà anche approfondire come le ceneri si disperdano nell’atmosfera in seguito alle eruzioni – per immaginare la complessità basi pensare che lo scorso fine settimana l’Etna ha creato una nube alta fino a 4,5 km –, oltre al comportamento dei gas prodotti dalle eruzioni, ovviamente tossici.
Ma come detto su questi due aspetti gli scienziati stanno lavorando in Islanda.
Obiettivo finale: predire un’eruzione
Il risultato congiunto sarà un digital twin che unirà tutti gli aspetti di un vulcano e che rappresenterà una sorta di ‘modello standard’ che chiunque (tra i ricercatori) potrà adattare a qualsiasi altro vulcano.
Questo consentirà di mitigare i rischi per la popolazione che vive a stretto contatto con queste enormi pentole a pressione, nonché di gestire meglio i disagi. Per rimanere in Sicilia, l’aeroporto di Catania, ad esempio, è soggetto a chiusure a causa delle ceneri disperse in aria, e poter prevedere il loro andamento può essere utile per organizzarsi, oltre ovviamente per diramare le allerte.
Naturalmente l’obiettivo finale è quello di arrivare a prevedere le eruzioni, in modo da poter mettere in campo le opportune contromisure.
Per avere fra le mani il digital twin etneo, però, servirà ancora del tempo, almeno altri due anni. Nel frattempo, mentre i ricercatori lavorano a un’impresa quasi titanica, non possiamo che continuare che ammirare – e temere – la forza dirompente della natura.